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Diversamente dal suo predecessore Giorgio Napolitano, per non parlare di altri più lontani nel tempo come Francesco Cossiga e Sandro Pertini, tanto espliciti nelle loro denunce da risparmiare ai loro ascoltatori grandi sforzi di fantasia per capire anche il non detto, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella preferisce indicare più i peccati istituzionali che i peccatori. In compenso, grazie forse ad una maggiore competenza acquisita con l’esperienza di giudice costituzionale, egli ha saputo indicare e analizzare i peccati con maggiore precisione ed efficacia negli auguri di fine anno alle “autorità dello Stato”. I primi auguri del mandato affidatogli dal Parlamento il 31 gennaio scorso, e cominciato il 3 febbraio col giuramento.

“Il rispetto delle competenze altrui costituisce la migliore garanzia per la tutela delle proprie attribuzioni”, ha sacrosantamente ammonito il capo dello Stato prima di rilevare che “talvolta” – solo talvolta? – “si registra invece competizione, sovrapposizione dei ruoli, se non addirittura conflitti”. Dei quali, anche se Mattarella non lo ha ricordato, non tutti finiscono davanti alla Corte Costituzionale, preposta a risolverli.

Molti conflitti rimangono latenti, s’inseguono e sovrappongono, contribuendo ancora di più a “generare sfiducia, oltre a indebolire la società nel dispiegarsi delle sue potenzialità e a disorientarla riguardo al concreto esercizio dei diritti”, ha detto Mattarella con la sottigliezza, questa volta, del professore. Che è poi tornato nel ruolo di presidente della Repubblica raccomandando che “la dialettica proficua tra i poteri” si esprima in “confronto collaborativo”.

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Ma chi più frequentemente e ostinatamente si sottragga alla “collaborazione”, non rispetti le competenze altrui, o cerchi di appropriarsene, il presidente Mattarella non ha voluto dirlo. Né penso che si sia lodevolmente riservato di dirlo nel messaggio televisivo di fine anno, quando si rivolgerà un pubblico non limitato agli addetti ai lavori da lui invitati al Quirinale, fra i quali Silvio Berlusconi ha preferito mancare. Si è probabilmente chiesto, l’ex presidente del Consiglio, se si fosse notata più la sua presenza o assenza, optando per la seconda, utile peraltro anche a risparmiargli incontri particolarmente sgraditi: per esempio, con Napolitano. Di cui tuttavia proprio Berlusconi nel 2013 volle di più, o per primo, una rielezione inedita a presidente nella storia della Repubblica.

In mancanza di una indicazione precisa e diretta, si deve andare a tentoni nella ricerca dei peccatori istituzionali lamentati dal capo dello Stato. Si deve magari cadere nella ormai famosa tentazione di Giulio Andreotti di “pensare male” perché si fa peccato, appunto, ma “spesso s’indovina”. Spesso, naturalmente, per gli ottimisti, preferendo i pessimisti pensare che s’indovini sempre.

Anche se le cronache politiche di questi giorni hanno portato in primo piano presunte o reali tensioni fra governo, Banca d’Italia e Consob per malaffari bancari, peraltro deplorati da Mattarella nel discorso al Quirinale, le parole o allusioni del presidente della Repubblica portano a pensare soprattutto all’ormai vecchio conflitto fra magistratura e politica.

Galeotta, per questo sospetto, è la coincidenza diabolica, diciamo così, fra l’intervento di Mattarella e quello del suo ex collega alla Corte Costituzionale Sabino Cassese sul Corriere della Sera. Un intervento, quello di Cassese, particolarmente duro con i magistrati, tanto impegnati, giustamente, a fare rispettare le regole agli altri quanti restii, incredibilmente, a rispettare o a darsene, di natura persino morale, per se’. Evitando, per esempio, commistioni di ruoli giudiziari e amministrativi, o addirittura politici.

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Un’altra coincidenza diabolica è fra l’urticante intervento di Cassese e un’intervista rilasciata proprio al Corriere della Sera dal magistrato Raffaele Cantone, sostenuto dal presidente del Consiglio Matteo Renzi al vertice dell’Autorità Nazionale anti-corruzione e appena investito, dopo le faccende degli appalti all’Expo di Milano e di quelli romani per il Giubileo, anche degli arbitrati per i rimborsi dei danni subiti dai risparmiatori col dissesto della Banca Etruria e simili. Arbitrati, quest’ultimi, così inediti per gli uffici di Cantone da dover essere disciplinati con un’apposita legge, come ha precisato lo stesso magistrato.

Consapevole anche lui del ruolo crescente che sta assumendo, Cantone ha cercato di rassicurare i critici garantendo di non sentirsi e di non voler diventare un “tuttologo” o “parafulmine” o “foglia di fico”. Sarebbe per lui, in effetti, un disastro. Ma lo sarebbe anche per Renzi, arrivato a Palazzo Chigi col dichiarato proposito, più volte ricordatogli nel suo partito dall’insospettabile Luciano Violante, di restituire alla Politica, con la maiuscola, il primato sottrattole o insidiato dalla magistratura.

Mattarella, i conflitti e le cantonate

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