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La mia analisi delle dinamiche intra-palestinesi era errata, ma ho realizzato il mio errore solo il 7 ottobre 2023. Fino a quel momento, come la maggior parte dei politici e degli analisti, credevo ancora nella possibilità di un processo di riconciliazione tra le due principali fazioni palestinesi. Nel triennio 2007-2009, ho verificato sul campo l’escalation del feroce conflitto fratricida tra Hamas e Fatah. Nonostante la sua violenza estrema, consideravo tale rivalità prevalentemente di natura politica, credendo che potesse essere mitigata per raggiungere un accordo tra le due fazioni sulla soluzione a due Stati. Una prospettiva a cui il generale Omar Suleiman, capo dei servizi segreti dell’Egitto sotto il presidente Hosni Mubarak, ha lavorato instancabilmente per anni, senza successo.

Durante il governo di unità nazionale dell’Autorità Nazionale Palestinese guidato da Hamas tra il 12 e il 14 giugno 2007, i miliziani delle Brigate Al Qassam hanno preso il totale controllo della Striscia di Gaza dopo aver ucciso o ferito gravemente circa 700 membri delle forze di sicurezza della ANP. Questo dominio è perdurato per i successivi 17 anni. Ancora oggi, non è chiaro perché Hamas, essendo al potere dal 17 marzo 2007 con il primo ministro Ismail Haniyeh, abbia deciso di attuare il colpo di stato a Gaza.

La mia ipotesi è la seguente: l’attuazione degli accordi di Oslo nel settore della sicurezza, in particolare l’addestramento delle forze di sicurezza palestinesi da parte dell’Occidente, potrebbe essere stata percepite come una minaccia esistenziale da parte di Hamas (e forse anche da Teheran) alla loro dominazione politico-religiosa sulla Striscia, una base logistica indispensabile per combattere Israele. La battaglia fratricida nel giugno 2007 è stata estremamente cruenta, con Hamas che ha utilizzato feroci tecniche di combattimento per sconfiggere i “fratelli” palestinesi fedeli ad Abu Mazen. Purtroppo, poco è stato scritto su questo importante capitolo storico, e sarebbe utile che i giornalisti intervistassero i poliziotti dell’ANP sopravvissuti, costretti a trascorrere le loro giornate su una sedia a rotelle dall’evento tragico. Ricordo che la crudeltà delle Brigate Qassam, specialmente di alcuni reparti speciali, ha colpito profondamente i medici palestinesi che hanno curato le loro ferite. Alcuni si sono chiesti dove e come i miliziani di Hamas abbiano imparato tali feroci tecniche di combattimento. Con il senno di poi, possiamo affermare che la crudeltà emersa negli scontri del 2007 è stata un segnale sottovalutato dalle analisi politiche e di intelligence. In generale, forse distratti dalle vicende dei foreign fighters e dello Stato islamico, è mancata un’analisi accurata e un monitoraggio costante sulle caratteristiche identitarie di Hamas, in particolare dei suoi combattenti.

Hamas presenta tre volti distinti. Il primo, decisamente fuorviante, è rappresentato dalle immagini dei leader politici a Doha, Damasco, o durante le loro missioni all’estero in luoghi come il Cremlino, l’Iran e la Turchia. Il secondo volto è quello della beneficenza, al-Mujamma‘ al-Islāmī, dalle origini agli sviluppi iniziali (1973-1984), un’organizzazione religiosa di tipo solidaristico che fornisce aiuti concreti alla popolazione, combatte la diffusa corruzione nei ranghi dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e difende le ragioni di Gaza rispetto alla rivale Ramallah. Il terzo volto prende forma nel 1992 con la fondazione delle Brigate Qassam, il braccio religioso/armato che in trenta anni ha assunto un peso politico sempre più rilevante all’interno di Hamas. Come evidenziato dal loro sito web, le Brigate Qassam hanno una forte impronta messianica, ricca di richiami di matrice religiosa.

In Israele, i politici che si sono opposti all’ipotesi dei due stati hanno spesso equiparato le Brigate religiose Qassam di Hamas alle Brigate secolari di Al Aqsa fondate nel 2000 dai leader di Fatah. Questa equiparazione è un errore, poiché, anche in presenza di azioni terroristiche simili, le motivazioni ideologiche dei miliziani giocano un ruolo significativo, plasmando l’identità e influenzando i comportamenti dei combattenti. È difficile negare che, quando la fede nella vita eterna è coinvolta, i processi di de-radicalizzazione diventano molto più complessi. Mentre non posso fornire una percentuale esatta, è evidente che una grande parte dei miliziani delle Brigate Qassam desidera morire in combattimento, certi di raggiungere il Paradiso dopo aver inflitto il massimo danno ai nemici.

Non voglio stigmatizzare l’Islam, ma sottolineare il ruolo del fondamentalismo religioso e il suo potenziale incitamento alla violenza e alla guerra. Le comunità religiose dovrebbero prestare molta più attenzione agli effetti indesiderati della fede; in caso contrario, chi sostiene che i secoli passati dalla notte di San Bartolomeo (23/24 agosto 1572) siano passati invano potrebbe avere ragione.

Venerdì a Firenze, nell’aula magna dell’Università su iniziativa della rettrice Alessandra Petrucci, il Rabbino Gad Piperno, l’imam Izzeddin Ezil e padre Bernardo Gianni incontreranno gli studenti. Sono sicuro che ognuno di loro evidenzierà il lato dialogante della propria fede, ma la storia ci ha consegnato anche un lato oscuro che non può essere ignorato.

I tre volti di Hamas tra identità e ideologia. Scrive Mayer

Leader politici impegnati all’estero, attività di beneficenza e Brigate Qassam, che in trent’anni hanno assunto un peso politico sempre più rilevante all’interno dell’organizzazione. L’analisi di Marco Mayer

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