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Approvata la riforma Madia, ora si tratta di renderla concretamente operativa attraverso i tanti decreti delegati che la Ministra per la PA ha assicurato essere già in cantiere.

Se è vero che la riforma pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 13 agosto è, prevalentemente, una riforma della dirigenza pubblica (l’ennesima), bene ha fatto Sabino Cassese sul Corriere della Sera a centrare due punti essenziali: il ruolo delle Commissioni chiamate a gestire il flusso dei dirigenti a livello centrale, regionale e locale, e quello della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA).

Ci sono temi di carattere generale assai più rilevanti che la riforma approvata non tocca come, per fare un esempio, una modellizzazione delle strutture della PA a seconda del ruolo e degli obiettivi che politicamente si intendono profilare o la riorganizzazione del tempo e delle modalità gestionali del lavoro dei dirigenti (ne parlavo proprio su Formiche.net): tuttavia, il reclutamento, la formazione e la gestione delle carriere dei dirigenti pubblici su basi per quanto umanamente possibile meritocratiche resta elemento cardine di ogni pensiero di durata sulle amministrazioni pubbliche.

Va detto, allora, che il ruolo delle Commissioni, legate alla creazione di tre ruoli per la dirigenza (uno per le amministrazioni centrali, uno per le regioni e uno per i comuni), fra loro parzialmente permeabili, è assai delicato. Il principio che si introduce, infatti, è che tutta la PA è vista – finalmente! – come unico mercato in cui far valere le proprie competenze, con libertà di movimento tendenzialmente illimitata, a differenza di oggi, in cui i ruoli delle singole amministrazioni sono fortini da cui non si esce e in cui non si entra.

Le Commissioni, dunque, lavoreranno come arbitri e vigileranno sulla regolarità dei flussi dei dirigenti, fornendo criteri per la scelta e, soprattutto, offrendo ai Ministri e ai vertici politici rose di candidati fra cui scegliere. Purtroppo, a fronte di richieste per la motivazione trasparente delle scelte, avanzata anche dagli ex allievi della SNA, nel concreto poco sembra cambiare, restando, peraltro, tutto inalterato per la dirigenza di seconda fascia, quella di trincea. Avanza, anzi, il rischio che i tre organismi siano travolti da maree di adempimenti cui occorrerà far fronte: potenzialmente, la partita che si giocava nel recinto di casa da domani si giocherà su base nazionale e serviranno tempestività, competenza ed equilibrio per tentare di rendere concreto l’obiettivo di collocare la persona giusta al posto giusto. Una chimera, temo.

Il secondo punto è persino più delicato: la SNA, attraverso tempestose riforme, è riuscita a sfornare negli ultimi quindici anni circa cinquecento dirigenti, grazie al meccanismo del corso-concorso: primo concorso di accesso, periodo di formazione nella scuola con esami e stage, esame finale e ufficio chiavi in mano. Così facendo, sono state posizionate negli uffici in molti casi persone non ancora trentenni, ben selezionate ed altamente motivate, contribuendo nei fatti ad un reale ringiovanimento della classe dirigente amministrativa di questo Paese, formata su basi e valori comuni.

Tutto perfettibile, naturalmente, ma una novità per l’Italia. Tuttavia, non si è mai risposto ad una fondamentale domanda, neppure mai formulata: quale dirigenza serve all’Italia e, soprattutto, per fare cosa? Il “prodotto” della SNA è stato sempre mandato in mare aperto senza nessuna cura del legame con la comunità di cui fa parte, se non in salsa di faticosa auto-organizzazione, ed è stato costantemente percepito come un che di estraneo dal corpaccione amministrativo italiano. Ragazzini senza esperienza che devono aspettare il loro turno. E se non pochi degli ex allievi hanno fatto ottime carriere, piazzandosi in posti prestigiosi ed operando con merito, la riforma sembra sconfessare questa piccola grande novità: i futuri allievi, infatti, dovranno fare ben tre anni di gavetta come funzionari, per poi sostenere un nuovo esame, arrivando quindi alla dirigenza canuti e bene irreggimentati. Viene da chiedersi come mai si vedano con favore Ministre della Repubblica poco più che trentenni ma si respinga l’idea di dirigenti della loro stessa età! Chi garantirà spirito e sangue nuovo? Tutto da vedere, come da vedere cosa sarà della SNA, che attraverserà l’ennesima ristrutturazione.

Cassese parla della necessità di “costruire una classe di amministratori pubblici scelti sulla base dei loro talenti, indipendenti ed imparziali”, di cui la SNA sarà la “principale fornitrice”. La novità è che questa funzione è stata assolta dalla SNA, pur fra mille tentennamenti, per circa quindici anni, quasi di nascosto, a mo’ di istituzione carbonara. Vediamo cosa prevederà il decreto attuativo in materia: là si gioca un tassello importante – non il solo, certamente – di una PA al passo coi tempi, che deve reggersi sulle gambe delle donne e degli uomini che nei valori repubblicani credono fermamente e che con la politica riescano a relazionarsi in modo leale ma imparziale. Non è affatto poco.

Reclutare i dirigenti pubblici? Facciamo chiarezza

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