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Un brivido dev’essere passato nella schiena dei dirigenti della Rai quando il nuovo direttore generale dell’azienda, Antonio Campo Dall’Orto, li ha accomiatati invitandoli ad “andare sereni in vacanza”. E ad aspettare fiduciosi l’esito delle sue ricognizioni e studi d’agosto.

L’aggettivo sereno ha perso ormai tutto il suo significato letterale, diventando un ossimoro, se non un cattivo augurio, da quando a Matteo Renzi venne l’infelice idea di usarlo con l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta, a cavallo fra il 2013 e il 2014, mentre si preparava a sostituirlo a Palazzo Chigi. E da segretario appena eletto del Pd confidava all’amico generale Michele Adinolfi di considerare l’amico e compagno di partito un “incapace”, sia pure di riguardo: di tale riguardo da essere “perfetto” come presidente della Repubblica, solo se avesse avuto anche l’età per diventarlo.

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Un altro aggettivo che in politica ha perso il suo significato letterale, ma questa volta senza che Matteo Renzi ne possa essere considerato responsabile, è quello di emerito.

Da uomo, o donna naturalmente, che “pur non esercitando più il proprio ufficio, ne mantiene la dignità, il titolo e l’onore”, come dice il vocabolario della lingua italiana di Aldo Gabrielli, l’emerito è diventato politicamente una specie di impiccione: uno che non si rassegna a stare al suo posto, ma si sovrappone al successore, e gli procura magari anche attacchi di bile.

Questa è un po’ la rappresentazione di Giorgio Napolitano, presidente appunto emerito della Repubblica, sul Fatto Quotidiano all’indomani di una sua lettera al Corriere della Sera di pressante raccomandazione ai colleghi senatori perché non stravolgano, con l’elezione diretta, la riforma proprio del Senato. Che il presidente del Consiglio vorrebbe invece eletto indirettamente, anche se non si è ben capito, per i soliti pasticci che avvengono nella navetta delle leggi fra Montecitorio e Palazzo Madama, “nei” o “dai” Consigli Regionali.

Sempre al Fatto Quotidiano, è risultato che al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quello effettivo e non emerito, non sia piaciuto per niente l’intervento del suo predecessore. Che non avrebbe saputo  o voluto tenere per sé, come invece lui si è vantato di fare nel recente incontro con i giornalisti parlamentari per la tradizionale consegna del ventaglio, le opinioni personali sulle riforme all’esame delle Camere.

A me invece risulta che il povero Mattarella non se la sia presa per niente, non essendosi ancora ripreso -scusate il bisticcio delle parole- dal colpo infertogli da Renzi con la storia, già ricordata, di Enrico Letta tanto incapace da essere perfetto per il Quirinale.

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Delle disavventure politiche dell’aggettivo emerito porta la responsabilità la buonanima di Francesco Cossiga, il primo presidente appunto emerito della Repubblica grazie ad un decreto praticamente scritto di suo pugno e graziosamente firmato da Massimo D’Alema, che era diventato presidente del Consiglio, dopo la prima caduta di Romano Prodi, nel 1998, proprio grazie ai voti procuratigli in Parlamento dall’ex capo dello Stato con transfughi di centrodestra da lui promossi sul campo “straccioni di Valmy”. Come quei 25 mila francesi male equipaggiati -straccioni, appunto – che nel 1792 erano riusciti a sconfiggere i 40 mila austro-prussiani che muovevano contro Parigi, davanti agli occhi del primo giornalista embedded della storia: Johann Wolfgang von Goethe. Ma non ditelo alla graziosa e brava Monica Maggioni, neo-presidente della Rai, perché potrebbe rimanerci male, o inorgoglirsi a tal punto da perdere la sua bella testa.

Il vocabolario della politica nell'era renziana

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