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Oggi, vigilia di Ferragosto, si riunisce ancora una volta l’eurogruppo (ovvero, i Ministri dell’Economia e delle Finanze) per fare il punto sui negoziati con la Grecia. Secondo Atene (ed alcuni Paesi europei, soprattutto la Francia) la trattativa sarebbe ormai conclusa da entrambi le parti e le “istituzioni” dovrebbero aprire il cordone della borsa per un nuovo programma di 84 miliardi di euro sulla base di un elenco di 35 riforme che i greci si impegnerebbero ad effettuare. Secondo altri (non solo la Germania, ma gli Stati nordici, l’Irlanda, la Slovacchia, il Portogallo e perfino Malta) molti punti del documento dei negoziatori (privatizzazioni, liberalizzazioni) sono ancora molto vaghi.

Da Washington, il Fondo monetario internazionale ha fatto sapere che è non realistico un programma che non includa una ristrutturazione del debito greco. Sarebbe meglio approfondire questi temi e nel frattempo concedere alla Grecia un “prestito ponte” per fare fronte alle scadenze del 20 agosto relative ai rimborsi alla Banca centrale europea. Sempre dai corridoi del Fondo trapela che le stime economiche dalla “svolta greca” (un aumento del Pil dell’1,3% nel 2016, del 2,7% nel 2017 e del 3,1% nel 2018 dopo una contrazione del 2,3% nell’anno in corso) sono da considerarsi pura fantasia.

Che posizione prenderà l’Italia in questo guazzabuglio? Il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier, Carlo Padoan, è “romano de’ Roma”, quindi conosce il detto secondo cui “la gatta frettolosa fa figli ciechi”. Tuttavia, il fiorentino presidente del Consiglio Matteo Renzi (nella convinzione che sia già stata cambiata la Costituzione e sia in vigore un Cancellierato) pensa che in sede europea quel che conta sono le alleanze tra simili.

Nel semestre italiano, pochi gli hanno retta in materia di flessibilità, nell’applicazione dei parametri del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact. In effetti, gli ha mostrato simpatia principalmente  la Francia (sotto procedura di infrazione per averli trasgrediti). Pare che Palazzo Chigi ora ritenga che il caso Grecia rappresenti una buona occasione per stringere una forte alleanza con la Francia. Roma e Parigi chiederebbero, insieme, un’interpretazione estesa del documento stilato dai negoziatori. Per chiedere in futuro altre interpretazioni lasche.

A mio avviso, tale alleanza sarebbe un errore. In primo luogo, sotto il profilo strettamente tecnico, è preferibile concludere i negoziati senza ambiguità e punti che possono dare adito a molteplici interpretazioni. Nel 2005 ero a Berlino durante la lunga trattativa per dare vita alla Gross Koalition (e scrissi sul tema un lungo articolo per il primo numero di Formiche): la trattativa durò alcuni mesi ma i due partiti ne uscirono con disegni di legge concordati tra le delegazione impegnate nel definire il programma di governo e verificati in sostanza con i gruppi parlamentari. Ciò assicurò il successo della coalizione molto meglio di numerosi “patti” e “patticchi” nostrani (speso determinante di liti e di trasformismo).

In secondo luogo, i punti poco chiari del documento dei negoziatori  sono proprio quelli che riguardano la crescita: privatizzazioni, liberalizzazioni, debito pubblico. Non solo, quali che siano le alchimie giuridiche dei “barracuda-esperti” al tavolo negoziale, se la Grecia non riprende a crescere, tra due anni ci ritroveremo al suo capezzale a buttare al vento risorse dei cittadini europei, ma questi sono proprio i temi che bloccano Francia ed Italia e danno rendite alle forze corporative che dominano i rispettivi Governi e Parlamenti. Un accordo Francia-Italia sulla Grecia potrebbe facilmente essere considerata dal resto del mondo come la Santa Alleanza delle Corporazioni per le Rendite. Ci porterebbe non flessibilità ma procedura d’infrazione.

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