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Ero a pranzo, in un locale a Torino, da solo. Vicino a me una coppia di stranieri. Americani erano, e molto anziani, in quella fase della parabola esistenziale in cui la donna sta fisicamente meglio dell’uomo. Lei, che doveva essere sfiorita da diversi anni, aveva conservato la configurazione del dopo sfioritura, mentre lui, che per qualche tempo si sarà chiesto chi era quella vecchia che lo accompagnava ogni giorno, intrufolandosi perfino nel suo letto che si svegliava ormai senza pieghe, andava adesso sorretto dal braccetto di lei.
Lei, mentre il marito era in bagno, aveva attaccato bottone con il cameriere sfoderando, con orgoglio e piglio d’aquila bipede, un perfetto italiano. Senza neppure l’inflessione alla Stanlio. E, da dentro un sorriso empatico, dopo aver chiarito che lei e suo marito venivano dalla Florida e avevano scelto Torino come base per il loro viaggio di 6 settimane in Italia, chiedeva quali altre città, oltre a Milano e Bologna dove erano stati muovendosi con il Frecciarossa, sarebbe stato opportuno visitare. Ecco.
Al che, spinto dalla domanda della signora, inizio a correre con la mente elaborando itinerari su itinerari. E pensavo alle tante combinazioni secondo le diverse categorie: arte, enogastronomia, coste, montagna. E mi rendevo rendo conto della bellezza infinita del nostro paese. E quasi mi commuovevo pensando a come dovremmo essere orgogliosi di poter spiattellare ai visitatori una tale varietà d’offerta. D’un tratto, torno con i piedi sotto al tavolo del ristorante e il mio sistema neurovegetativo riaccende i sensori dell’orecchio destro. Raccolgo così i consigli che alla signora americana stava dando il giovane cameriere. Gli stava parlando di Vieste. Vieste? Ecco, agli americani era capitato in sorte, come a Romina, il provincialismo del Tavoliere. Un nostalgico esponente dell’orecchietta e del trullo eletti a universo metafisico.
All’Italia mancherà pure una politica industriale, una politica coordinata per lo sviluppo del turismo. Ma soprattutto agli italiani manca la scuola, l’unica cosa che gli può togliere un po’ di provincialissimo pelo vecchio che la rende, sempre, un’Italia in miniatura. Tant’é.

Un pessimo cameriere: l'Italia in miniatura

Ero a pranzo, in un locale a Torino, da solo. Vicino a me una coppia di stranieri. Americani erano, e molto anziani, in quella fase della parabola esistenziale in cui la donna sta fisicamente meglio dell'uomo. Lei, che doveva essere sfiorita da diversi anni, aveva conservato la configurazione del dopo sfioritura, mentre lui, che per qualche tempo si sarà chiesto…

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