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L’economia italiana non si trova in una crisi di liquidità, ma della liquidità. Pensare di uscirne con nuove iniezioni, non fa solo danni. E’ questa, in estrema sintesi, la tesi portata avanti dai docenti dell’Università Bocconi, Massimo Amato e Luca Fantacci, autori dell’e-book Moneta complementare. Sai cos’è? pubblicato per Bruno Mondadori. Entrambi sono convinti che quella in cui siamo ancora immersi sia “la crisi di un sistema che nasconde, nella logica stessa del suo funzionamento, le ragioni del proprio fallimento. Non riconoscere questo tratto fondamentale – scrivono – ci fa ricadere nella strana situazione in cui un male, la crisi di liquidità, viene curato con lo stesso male, ossia con iniezioni di liquidità, che non fanno altro che indurre gli operatori del sistema a rinviare alle ‘calende greche’ ogni decisione di spesa e di finanziamento”.

SE LA RADICE DELLA CRISI STA NELLA MONETA

L’analisi di Amato e Fantacci, già bollati come “eretici” per le loro idee, parte da una constatazione: “La moneta non è sempre in grado di svolgere adeguatamente la sua funzione”. Il fenomeno del credit crunch è lì a dimostrarlo, con – dicono – “la moneta che tende ad essere tesaurizzata e sottratta alla circolazione, perché appare come la forma più sicura di detenzione della ricchezza, tanto per gli individui quanto per le banche, che saranno disposte a separarsene solo in cambio di un tasso di interesse – un ‘premio al rischio’ – molto elevato”. Così, da mezzo di scambio la moneta diventa una riserva di valore, creando quindi una “divergenza tra l’interesse individuale a tesaurizzare e l’interesse collettivo a vederla circolare”. La radice della crisi sta dunque “nella moneta e nella logica di funzionamento che essa incarna e perpetua”, detta in altre parole si tratta della “trappola della liquidità”.

Lungi però per i due prof bocconiani dal volersi avventurare in analisi sull’euro ed ipotesi di uscita; non è infatti il sistema monetario europeo a finire nel loro mirino, quanto invece una vera e propria concezione capitalistica. “Proprio il fatto che la moneta possa essere accantonata conservando il suo valore nominale – spiegano – fa sì che qualunque aumento della quantità di moneta possa essere assorbito dalla tesaurizzazione, soprattutto quando il prezzo di ogni altra attività mobiliare o immobiliare diminuisce o minaccia di diminuire”. Di conseguenza, gli scambi e le aperture di credito per favorire i quali le monete sono nate, finiscono invece per essere impediti o ostacolati.

LE MONETE COMPLEMENTARI PER USCIRE DALLA CRISI

“Se la radice del male economico rappresentato dalla crisi è la moneta stessa quale noi la conosciamo, allora è bene chiedersi se non si possa concepire un’altra moneta”. Da qui l’idea di “monete complementari” che devono però essere “migliori” di quelle ufficiali. Gli esempi positivi non mancano, e i casi citati, tra gli altri, del sistema Wir in Svizzera o di Sardex in Italia sono lì a dimostrarlo. Non basta infatti fare una moneta complementare, avvertono Amato e Fantacci, occorre farla bene. Quindi, con precise caratteristiche: un ambito di circolazione definito, uno scopo (se a servizio del marketing come i punti fragola di Esselunga o dello sviluppo locale come il Bristol Pound), la modalità di emissione, l’unità di conto, la convertibilità e l’accumulabilità. Su quest’ultimo aspetto, diventa fondamentale prevedere un “tasso di decumulo”, ossia un tasso di interesse negativo sugli accumuli di moneta complementare che incentivi le imprese partecipanti al circuito a spenderla.

Detto ciò, come deve essere fatta una buona moneta complementare? Innanzitutto, ragionano i prof bocconiani, deve rappresentare un circuito locale di compensazione di crediti ancorato con cambio 1:1 alla moneta ufficiale, non inflazionistico e all’interno di un sistema territoriale che agevoli l’incontro tra bisogni insoddisfatti e risorse inutilizzate. Va previsto un tasso di decumulo per favorire la circolazione, serve un’entità terza che funga da camera di compensazione registrando gli scambi e soprattutto la camera deve essere multilaterale: significa che se l’impresa X vende un bene all’impresa Y, il credito maturato potrà poi essere speso acquistando un altro bene dall’impresa Z, mentre Y dovrà saldare il suo debito vendendo qualcosa sempre all’interno del circuito. “Se crediti e debiti si compensano tra tutte le imprese – spiegano Amato e Fantacci – l’effetto macroeconomico del circuito è di sostenere la domanda locale senza aumento della quantità di moneta o della spesa pubblica ma solo con un aumento di scambi o di velocità di circolazione della moneta”. Ovviamente, maggiore è il numero di imprese locali coinvolte, maggiore è la possibilità che si possano spendere crediti e saldare debiti all’interno del circuito; un certo grado di dipendenza reciproca tra le aziende risulta quindi necessario.

Quali potrebbero essere, infine, gli effetti di una moneta complementare ben regolamentata? Maggiore domanda per le imprese, maggiore occupazione e salari più elevati per i lavoratori senza lo spettro dell’inflazione. “Non si tratta della panacea di tutti i mali – concludono i due docenti -, ma certo dell’inizio di una ricostruzione dell’economia, in vista di un rapporto più degno fra denaro e lavoro. Una moneta flessibile per un lavoro degno è la migliore risposta alla (sempre più inutile) richiesta di una (infinita?) flessibilità del lavoro in nome della difesa, tanto dogmatica quanto autodistruttiva, della rendita”.

Fuori dall'euro? Meglio monete complementari. Le tesi dei bocconiani Amato e Fantacci

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