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L’autunno delle banche europee si promette minaccioso, insediato da correnti depressionarie preannuncianti burrasche a venire, talché sbiadisce il pallido sole che per tutto il 2014 ha nutrito l’illusione di una tiepida ripresa.

I reiterati allarmi dei banchieri centrali, che ormai si sgolano ripetendo che la politica monetaria non basta a restiture vigore alla crescita del prodotto, suonano al più come un timido espediente per iscrivere chi li recita al capiente club delle cassandre, trascurando però di ricordare che proprio gli allentamenti che anche di recente la Bce ha accordato, altro non fanno che aggiungere rischio a ciò ch’è già rischiosissimo. Ossia il mercato finanziario tutto, stremato eppure instancabile nella sua ricerca di rendimento, che i tassi bassi incattiviscono facendo fibrillare la delicata aorta che regola la circolazione della liquidità.

Peraltro l’autunno della finanza europea, che dalle banche dipende sostanzialmente, dovrà fare i conti con l’atteso, eppure imprevisto nella sua magnitudo, esito degli stress test condotti dalla Bce che, inserendosi in un clima generalmente perturbato, può provocare il classico effetto cigno nero, ossia aggravare il sentiment, quindi la fiducia, proprio in quelle banche che tale fiducia sono chiamate a sostenere con i loro prestiti. E non dovremo aspettare a lungo. La svelamento dell’esito del comprehensive assessment sugli asset bancari avverrà sul finire di ottobre, proprio nell’imminenza dell’avvio della supervisione affidata alla Bce.

Giova perciò fotografare lo stato della finanza europea a così poche settimane da un suo primo redde rationem, servendosi all’uopo dell’ultimo Report on risk and vulnerabilities in the Eu financial system rilasciato dall’Eba, l’autorità bancaria europea che condivide con la Bce il merito – e quindi la responsabilità – d’aver elaborato i criteri per la conduzione di questi stress test, che, come sappiamo, fra le altre cose si sono preoccupati di prezzare il rischio derivante dall’esposizione bancaria sui titoli di stato. Questione temutissima nel nostro Paese.

Che aspettarsi perciò? Ricerca di rendimento, innanzitutto, che i tassi bassi o addirittura negativi, hanno reso sempre più ossessiva. Notate bene: non è la semplice avidità a guidare questa corsa forsennata verso il precipizio, ma il più autentico bisogno di sopravvivenza: delle banche, la cui profittabilità rimane debole, ma soprattutto delle assicurazioni e i fondi pensione, che hanno contratto impegni con i sottoscrittori e adesso devono onorarli, dovendo però fare i conti con un contesto di remuneratività insufficiente che li costringe a giocare d’azzardo.

L’Eba sottolinea più volte i rischi incorporati nel mantenere un ambiente di tassi bassi così a lungo, ripetendo allarmi già scampanellati dalla Bis, dalla Bce e dalla stessa Fed, ossia da coloro che tale ambiente hanno determinato. E ricorda pure che in un contesto di tassi negativi gli investitori potrebbero decidere di raffreddare gli investimenti nei mercati monetari destinando altrove la liquidità, visto che i rendimenti potrebbero addirittura diventare negativi in conseguenza della politica della Bce.

Ma rivolgersi altrove, abbandonando il mercato monetario, significa indirizzarsi su mercati più remunerativi, ossia più rischiosi, ma che somiglino al mercato monetario, ossia abbiano una qualche parvenza di sicurezza. Giocoforza rivolgersi ad altri strumenti di riserva di valore, come l’oro, che ha visto crescere i prezzi da inizio 2014, o, peggio ancora, il mattone che in alcune zone europee è chiaramente sopravvalutato.

Tale ansia da prestazione si inserisce in un contesto in cui il debito, pubblico e privato non solo non è diminuito, ma è addirittura aumentato, come la stessa Eba ci ricorda, aggiungendo quindi un ulteriore elemento di rischio allo scenario europeo. “Un sostanziale eccesso di debito privato e pubblico – dice – oltre a persistenti preoccupazione sulla qualità degli asset bancari contribuisce ai rischi di medio termine”.

Soprattutto si inserisce in un contesto in cui l’eurozona vede crescere costantemente il peso specifico dei fondi di investimento, fra gli investitori istituzionali, nell’esposizione sul mercato dei bond.

Uno dice: embé?

Il problema nasce dalla circostanza che gli sviluppi dei fondi di investimento, che comprendono sia fondi collegati al mercato monetario sia fondi collegati ad altri asset, hanno importanti implicazioni per l’intero sistema finanziario europeo a causa degli stretti legami fra tali fondi e banche residenti. Legami che si sono infittiti notevolmente fra il 2007 e il 2013.

L’Eba calcola che queste entità detengano il 14% dei bond emessi dalle banche e abbiano fornito prestiti per 400 miliardi alle istituzioni finanziari europee.

In un contesto di crescente rischio di liquidità e di tassi previsti in crescita, tale situazione viene aggravata dalla circostanza che i fondi hanno in portafoglio bond con una durata media di otto anni. Solo il 6% dei titoli hanno scadenze inferiori all’anno. “Il maturity risk – scrive l’Eba – si accompagna a un generale ribassamento del merito di credito, che indica l’aumentato rischio di credito per i prodotti a reddito fisso”.

Traduco: poiché è chiaro che i tassi aumenteranno, tutte le obbligazioni emesse in questi anni di allegria indotta dalla Bce e dalle sue cugine sono destinate alla mestizia della perdita in conto capitale, diminuendo il valore del titolo all’aumentare dei rendimenti. E poiché questi fondi sono imbottiti di debito a lungo, ancora più doloroso sarà il tormento dei gestori, che neanche potranno liberarsene per non provocare ulteriori correzione di prezzo.

Ma c’è dell’altro. Ci sono le spinte deflazionarie che, ricorda l’Eba, aumentano i tassi reali e di conseguenza sollevano paure sulla sostenibilità dei debiti, a cominciare da quelle delle banche e a finire da quelli degli stati. E poi c’è una robusta esposizione delle banche Ue ai paesi emergenti, che dal 2008 in poi non ha mai cessato di aumentare.

I legami finanziari con gli Emergenti, secondo i dati della Bis, quotano circa 3,2 trilioni di euro di esposizione “che rappresentano un significativo canale di trasmissione del rischio emergenti in Europa”. In particolare tale esposizione si concentra in Cina, Brasile, Messico e Turchia, tutti paesi che vivono una condizione assai fragile, come sa chiunque si occupi di queste cose.

Ma aldilà di come vadano queste economie in futuro, esse pongono l’Europa di fronte a un altro rischio: quello di una crisi di fiducia.

I fatti del maggio 2013, quando la Fed fece capire di essere pronta a iniziare il tapering, hanno mostrato con quanta rapidità la fiducia nei confronti degli Emergenti possa degradarsi. L’Europa, data la sua grande esposizione, sarebbe la prima a subirne le conseguenze, così come anche succederebbe qualora le tensioni geopolitiche dovessero aggravarsi a causa della crisi russo-ucraina.

Per concludere in bellezza l’Eba ricorda che esistono anche altri tipi di rischio, oltre a quelli macroeconomici che sommariamente ho illustrato, ossia quelli legali ai comportamenti gestionali delle banche – vengono presi in esame i casi di mis-selling, ossia di vendita ai clienti di prodotti poco trasparenti o perniciosi – e quelli legati ai benchmark europei, come quelli legati ai tassi di interesse che hanno generato diversi scandali nei mesi passati.

Dulcis in fundo, sono aumentati anche gli attacchi informatici alle banche, visto che non ci facciamo mancare niente. Misteriosi hacker hanno preso di mira le nostre casseforti, vittime di un numero crescente di denial of service (DDoS)

Insomma, il futuro delle banche europee, oltre a promettersi turbolento, depresso e preoccupante, si tinge anche di giallo.

Come le foglie in autunno.

L’autunno della finanza europea

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