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La Guardia di Finanza contesta all’azienda 105 milioni di euro di redditi non dichiarati e altri 12 di Iva non versata tra il 2009 e il 2013, ma a loro la questione non sembra interessare più di tanto. Così continuano a lavorare come se nulla fosse accaduto, nonostante quella triangolazione societaria tra Italia, Francia e Irlanda che – secondo gli inquirenti – serve a eludere il Fisco. Non solo, in occasione delle festività natalizie l’azienda ha pure lanciato il pacchetto “Incantevole evasione”, con buona pace di chi gli contesta reati fiscali e concorrenza sleale. Poco importa. Dalle parti di Smartbox, ora sono troppo presi dalle offerte dei cofanetti da far trovare sotto l’albero, tra soggiorni in hotel da sogno e sedute in spa o centri benessere regalate a suon di buoni.

IL COFANETTO PARLA IRLANDESE

I militari del Nucleo operativo di Milano parlano di “stabile organizzazione occulta”. Per loro la società italiana che vende i cofanetti Smartbox invece di limitarsi a fornire servizi ausiliari e preparatori alla sua consociata estera – in questo caso irlandese, Paese dove le imprese pagano molte meno tasse che da noi -, si comporta in piena autonomia; firma contratti, gestisce il portafoglio clienti, spedisce gli ordini e cura fornitori e reti di vendita. Come se fosse la vera azienda. Peccato però che poi sulle fatture ci sia il timbro irlandese.

LA CATENA CONTESTATA

Lo schema è questo: Smartbox & Co srl è l’azienda italiana finita nel mirino della Finanza, opera in Italia dal 2007 in attività di “fornitura di servizi di supporto marketing alle aziende”, in precedenza si chiamava Kivali Italia srl. E’ una società unipersonale controllata al 100% da Smart & Co sarl, di diritto francese. Entrambe sono consociate alla Smartbox Experience Ltd con sede in Irlanda e controllata al 99,9% dall’irlandese Weekendesk e allo 0,1% dall’olandese Smart & Co NV. Sulla carta, quindi, Smartbox & Co srl dovrebbe limitarsi a coadiuvare Smartbox Experience Ltd nella vendita dei cofanetti. In realtà, secondo l’accusa, a operare è quasi esclusivamente la società italiana, che gode quindi di una “stabile organizzazione occulta che si cela all’interno della struttura organizzata di una subsidiary residente dotata di autonoma soggettività” come si legge dal verbale delle Fiamme gialle.

COPERTURE IRLANDESI

Quella irlandese sarebbe solo una copertura per sfuggire dalle grinfie del Fisco nostrano. Di indizi al riguardo i finanzieri ne trovano diversi: nella sede milanese di Smartbox & Co srl spunta un timbro con l’intestazione della società irlandese e “copiosa documentazione” sui rapporti con i clienti nazionali che hanno come referenti i dipendenti della società italiana. La quale partecipa “in modo abituale, ripetuto e decisivo, alla negoziazione ed alla conclusione di negozi giuridici vincolanti con la società estera”. E ancora: “La società italiana si occupa di fatto dell’intero processo di ideazione, creazione, promozione e vendita dei prodotti Smartbox, concludendo contratti a nome della società estera e con in più l’onere di gestione del magazzino”.

I CONTRATTI SOTTO LA LENTE DELLA FINANZA

Conferma di questo arriva, oltre che dalle corrispondenze via mail, anche dai venditori dei cofanetti, da Esselunga a Auchan fino a Coop Italia, che firmano contratti intestati a Smartbox Experience Ltd ma si rapportano esclusivamente col personale italiano. Caso emblematico quello dell’azienda bergamasca che si occupa del trasporto dei cofanetti: nel novembre 2012 emette una fattura a Smartbox & Co srl, la sua vera interfaccia dalla quale riceve gli ordini. Qualcuno si accorge dell’errore e sul documento viene scritto: “NO! Fattura Irlanda”. Detto e fatto, quota stornata e girata oltre Manica.

LE PAROLE DEI FINANZIERI

In definitiva, la Finanza ritiene che Smartbox & Co srl gestisca l’intera organizzazione societaria “senza lasciare alla consociata estera alcun rapporto di rilievo”. Quest’ultima servirebbe solo per pagare le tasse all’estero, cioè per pagarne meno. Peccato che, secondo le Fiamme Gialle, quelle tasse riguardino attività svolte in Italia da una società italiana, e per questo dovrebbero venire versate qui.

UNA VICENDA COSTELLATA DA ANOMALIE

La verifica fiscale inizia il 2 febbraio 2014. Il 7 agosto i finanzieri vergano il verbale di contestazione che poi finirà sui tavoli della Procura di Milano e dell’Agenzia delle Entrate. L’intera operazione, però, viene tenuta in gran segreto, a differenza di tante altre anche meno eclatanti. Solo a inizio novembre spuntano alcuni articoli sul web (in particolare su Lettera43), fino a quello su il Giornale del 7 novembre. La grande stampa però se ne disinteressa, nonostante la pesante accusa di evasione fiscale a una società molto conosciuta. Chi si prende a cuore la vicenda è invece Alessia Rotta, deputata veronese del Pd e neo responsabile della comunicazione, che firma un’interrogazione al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per avere delucidazioni in merito. Sul web intanto parte la mobilitazione. Con quasi 20mila firme raccolte sul sito activism.org, la petizione “Evasione per la francese Smartbox? Azione subito contro i grandi poteri, non solo con i cittadini italiani. #smartboxpagaletasse” chiede al presidente del consiglio, Matteo Renzi, al Ministero dell’Economia e all’Agenzia delle Entrate, di intervenire immediatamente per accertare i fatti. La protesta arriva anche su Facebook, la pagina “Multinazionali, ridate i soldi agli italiani: #smartboxpagaletasse” raccoglie oltre 6mila adesioni, ma poi – come riporta il Fatto Quotidiano – viene chiusa ufficialmente “per motivi legali”.

Nel frattempo, Smartbox continua a vendere i suoi cofanetti, soprattutto adesso a ridosso del Natale, e il silenzio dei grandi canali distributivi e dei grandi quotidiani è assordante.

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