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Nel bene o nel male, il governo Renzi prosegue per la sua strada, ma la visita di Obama è stata effettivamente importante ma non perché l’uomo più potente del mondo (dopo Francesco ora!) ha visitato il Colosseo (lasciandosi furbescamente sfuggire che è più grande di un campo da baseball!!) ma perché è evidente che con quello che sta succedendo tra Russia e America, ma ancora di più tra America e Cina, gli Stati Uniti intendono spingere l’Europa verso scelte drasticamente diverse da quelle degli ultimi anni.

Vogliono una politica economica e monetaria orientata allo sviluppo, che impedisca alla deflazione di succedere alla recessione, e che punisca chi (la Germania) prospera grazie ad un surplus commerciale eccessivo che mette in difficoltà i paesi europei più deboli ma anche gli Usa. Loro vogliono una politica estera europea comune di stampo neo-atlantico, che sappia mettere la museruola a Putin che così che freni lo strapotere in espansione dello Zar ma anche della Cina . Gli USA vogliono una politica energetica comunitaria che riduca drasticamente il tasso di dipendenza dal gas russo, aprendo a quello shale gas che si sta rivelando un fattore rivoluzionario per l’economia americana. E, infine, vogliono un sistema di difesa europeo finalmente integrato, sia sul piano continentale che con quello atlantico. E chiedono, gli Stati Uniti, che i maggiori paesi dell’eurozona extra Germania – Francia e Italia in testa – facciano argine con gli Usa nei confronti dei tedeschi e del loro asse con la Russia. Dunque non ci sono gli F35 in questione ma scelte strategiche di grandissima rilevanza.

E Renzi cosa dice? Non sono scelte semplici, ci sono di mezzo equilibri delicati ed è richiesto un tesoretto di credibilità che il nostro Paese purtroppo non possiede. E’ in gioco la tenuta dell’eurosistema e della stessa moneta unica su basi opposte a quelle fin qui praticate, questione delicatissima dunque, per quanto si sia spavaldi e con molti più vincoli e meno vie di fuga. Ecco perché il giovane toscano deve fare sul serio le grandi riforme che ha annunciato per cambiare l’Italia, dimostrando anche al potente Obama che ha la credibilità richiesta per giocare su quei tavoli, senza solo battere i pugni contro la Merkel, perché bisognerà avere le carte in regola a casa propria per provare a invertire l’indirizzo europeo. Renzi continua a dire che i 20 miliardi della manovra illustrata con enfasi ma non ancora trasformata in provvedimenti legislativi, ci sono. Perché – dice – deriveranno da tagli di spesa. Ma quando gli si chiede quali sono i capitoli della spesa pubblica che verranno toccati non va oltre la populistica evocazione della cessione delle auto blu o del taglio degli stipendi di manager pubblici e commis di Stato. Interventi irrisori, dal punto di vista macroeconomico.

Il governo non può delegare il compito di ridurre e riqualificare la spesa pubblica – perché di entrambe le cose c’è bisogno, in Italia – a Cottarelli non ha responsabilità politica. Non si può sfuggire ai propri obblighi, perché così la politica conta zero e delegittima le istituzioni già massacrate, e non si ottiene nulla. Noi lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: l’obiettivo primario sono le riforme di sistema, mentre la riduzione della spesa è un obiettivo secondario. Nel senso che è conseguenza delle riforme stesse. E queste non possono che essere concepite e realizzate da governo e parlamento. Infatti è qui che ci giochiamo la nostra vita. Il Senato ha infatti dato l’ok al discusso ddl di Graziano Delrio sull’abolizione delle Province. Una vittoria a metà per l’esecutivo, che ora dovrà attendere il voto della Camera.

Ma quella sulle Province non è l’unico provvedimento in attesa. L’Italicum vive su un percorso opposto a quello delle Province: approvato dalla Camera, attende di essere discusso e approvato dal Senato (probabilmente discorso rimandato a dopo le Europee). Poi ci sono le riforme costituzionali: la riforma del Senato e la riforma del Titolo V. Renzi ha chiesto di accelerare per iniziare una loro discussione il prima possibile, ma comunque risultati concreti non si vedranno prima del prossimo autunno (è l’iter di riforma!!!). Il decreto voluto dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, è stato già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Non vuole perdere tempo Renzi e così questo decreto modifica alcuni passaggi dalla riforma Fornero e attua una piccola parte di quel che sarà il Jobs Act, la ricetta del governo sull’occupazione, che sarà oggetto di disegno di legge-delega.

In pratica, il dl Poletti introduce due modifiche: taglio di alcuni vincoli ai contratti di assunzione a tempo determinato e riduzione degli obblighi burocratici per le aziende che assumono un giovane apprendista. Se entro 60 giorni il Parlamento non apporterà nessuna modifica, il dl Poletti rimarrà così com’è stato presentato. Ma il dibattito è già caldo e non mancano le critiche, specialmente dalla minoranza del PD. Bersaniani, cuperliani, civatiani e Giovani Turchi, non vogliono ricoprire il ruolo dei “guastafeste”. Insomma, nessuno vuole mettere in difficoltà l’ex sindaco di Firenze, apparentemente. Ma se si tocca il tema “Lavoro”, da sempre pilastro della sinistra, non possono rimanere in silenzio. Specie se il dl Poletti favorisce i datori di lavori piuttosto che i lavoratori. Ma le modifiche di Poletti sono più che ragionevoli: la prima riguarda le assunzioni a tempo determinato.

Il dl elimina il cosiddetto “causalone”, cioè l’obbligo per il datore di lavoro di indicare il motivo per cui il dipendente è stato inquadrato con un contratto a tempo determinato e non con un rapporto stabile. La riforma dell’ex ministro Fornero prevedeva che la causale fosse obbligatoria dal secondo anno in poi. Per Poletti ciò non sarà più necessario, venendo così incontro ai datori di lavori, che da tempo si lamentavano di questo vincolo troppo “stringente” e che spesso aveva provocato controversie giudiziarie tra le imprese e i dipendenti (la mancanza della causale nel contratto, permetteva ai precari di reclamare un posto a tempo indeterminato). L’altra modifica riguarda l’apprendistato (contratti di inserimento e formazione destinati ai giovani con meno di 29 anni), con uno snellimento degli adempimenti burocratici. La riforma Fornero obbligava infatti il datore di lavoro a redigere in forma scritta l’intero piano di formazione professionale previsto per l’apprendista. Il dl Poletti elimina tale vincolo, poiché avrebbe scoraggiato l’utilizzo di questo tipo di contratto. Il decreto prevede inoltre una sforbiciata alla retribuzione dell’apprendista, che sarà pari al 35% di quanto stabilito dal contratto nazionale per i dipendenti di pari livello. Ma sulle modifiche al contratto a tempo determinato,il diktat della sinistra del PD è molto chiaro: introdurre il contratto unico di inserimento già in questo decreto, anziché attendere il Jobs Act.

E altre proposte di modifica riguardano lo stabilire che i contratti a tempo determinato non siano più del 25% dell’organico di un’impresa e di ridurre la durata di questi contratti da 36 a 24 mesi, così da limitarne l’utilizzo e favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato. Si prospetta una lotta e questo non ci aiuta ad andare avanti.

Obama, Renzi e Poletti, ecco come stanno davvero le cose

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