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Doku Umarov, il leader dei combattenti ceceni è morto. Almeno a quanto ha riportato il 18 marzo Kavkaz Center, sito di riferimento per i ribelli islamisti ceceni, anche se le autorità russe non hanno finora dato alcune conferma.

La notizia in Italia è stato ripresa con una certa timidezza, ma importanti media internazionali come BBC e Al Jazeera ne stanno parlando. D’altronde, non creerebbe stupore un’eventuale smentita: non sarebbe il primo dei leader jihadisti combattenti dato per morto erroneamente. Un esempio su tutti, “Mr Malboro”, Mokhtar Belmokhtar, terrorista legato all’Aqim (la filiale di al-Qaeda nel Maghreb) in Africa del nord, dato per morto più o meno un anno fa (era il 2 marzo del 2013) per mano delle forze armate del Ciad in Mali, per poi ritrovarselo più attivo di prima in questo periodo, potenziato e in grado di spostare le sue attenzioni fino al Corno d’Africa, grazie all’intesa con il Mujao (Movimento per l’unicità e della jihad nell’Africa occidentale).

Lo stesso “Dokka”, così chiamavano Umarov, sarebbe stato dato per morto (o ferito gravemente) più o meno un’altra decina di volte. Nel mese di gennaio 2005, fu segnalato ucciso in uno scontro a fuoco con le forze speciali russe vicino al confine georgiano. Nel mese di marzo, sempre dello stesso anno, è stato segnalato come gravemente ferito da una squadra Spetznaz inviata per assassinarlo. Poi in settembre, l’MVD (il Ministero degli Interni russo) ha annunciato di aver trovato “la tomba di Umarov” e il mese successivo, in ottobre, è stato ancora una volta erroneamente riportato morto nel raid di ribelli a Nalchik, la capitale della Kabardino-Balkaria . Sempre in quell’anno la caccia all’uomo su Umarov fu piena di buchi nell’acqua: ad aprile le forze speciali russe distrussero, praticamente, una piccola unità partigiana cecena durante una battaglia in una zona residenziale di Grozny, dopo aver ricevuto informazioni d’intelligence secondo cui “Dokka” era con loro, eppure non sono stati trovati sui resti tra le vittime. Nel maggio del 2005, si è parlato di un Umarov gravemente ferito da mina anti-uomo – avrebbe perso una gamba nell’esplosione. Non andò così, le sue ferite, ammesso che ci siano state, devono essere state lievi, visto che partecipò all’attacco contro il villaggio di Roshni-Chu tre mesi dopo. Nel maggio 2006, la polizia cecena ha scoperto un suo bunker/quartier generale a al centro del villaggio di Assinovskaya al confine con l’Inguscezia, ma Umarov era riuscito a fuggire in tempo. Successivamente, il 9 maggio del 2009, il presidente ceceno Kadyrov (attuale capo legittimato del governo indipendente), lo dichiarò nuovamente morto dopo un blitz dei suoi militari: ma nel mese di giugno Umarov chiamò personalmente al telefono Radio Free Europe, per smentire la notizia. Fino ad arrivare al 16 gennaio del 2014, quando lo stesso Kadyrov aveva dichiarato che le forze governative russe lo avevano ucciso. Questa sembra sia la volta buona, soprattutto perché la fonte – Kavkaz Center – ha non solo annunciato che il leader è stato «martirizzato», ma anche mostrato il suo successore, Ali Abu Muhammad al Dagestani, che in video su Youtube ha confermato la morte di Umarov.

Doku Umarov Khamatovich, conosciuto anche con il nome islamico di Dokka Abu Usman, era nato nel villaggio ceceno di Kharsenoy, nel 1964 da una famiglia di intellettuali appartenente all’importante teip Malkoy. Studiò e si laureò all’Istituto del petrolio di Grozny come ingegnere edile. Durante la Prima (1994-1996) e la Seconda (1999-2009) guerra cecena, si è distinto per le sue abilità guidando squadre splinter come la Borz e interi battaglioni sotto il comando di Ruslan Gelayev, guadagnandosi riconoscimenti militari e soprattutto la fedeltà dei suoi uomini.

Con la morte del presidente della non-riconosciuta Repubblica cecena di Ichkeria, Abdul Halim, Umarov gli succedette: era il 2006, l’anno successivo si autoproclamò Emiro del Caucaso del nord, dichiarando l’Emirato del Caucaso uno stato islamico. Prima di allora, Umarov era comunemente visto come un convinto nazionalista ceceno ed impegnato per altro nel frenare i pan-islamisti del movimento separatista in Cecenia. Ha negato che la lotta cecena sia legata ad al-Qaeda e agli altri gruppi jihadisti internazionali, definendo come unica priorità «la libertà e l’indipendenza dalla Russia, e la pace nel Caucaso». Per altro, Umarov, che in passato aveva espresso solidarietà verso i «fratelli» in Afghanistan, Iraq, Somalia e Palestina, si era mostrato seccato e contrario alla partenza di combattenti locali verso la Siria – dichiarazione invertita qualche mese dopo, quando ormai la presenza di caucasici nel territorio siriano si era fatta importante, anche grazie al ruolo svolto da comandanti importanti come Omar al-Shisani nell’Isis, e prendendo in considerazione la possibilità che l’esperienza in battaglia potesse poi essere spesa in terra natale.

Umarov è stato protagonista di numerose azioni terroristiche, tra cui gli attentati alla metropolitana di Mosca nel 2010 e quello dell’anno successivo al Domodedovo International Airport. Nel 2004 era stato erroneamente identificato tra i sequestratori che tennero in ostaggio le persone nella scuola di Beslan: ma fu lo stesso Umarov a smentire la legittimità di quella triste vicenda in un’intervista, condannando l’assalto. Aveva poi, nel 2012 annunciato che avrebbe fermato gli attacchi contro i civili russi – considerando soltanto i militari e le forze di sicurezza legittimi obiettivi – decisione a cui ha posto fine nel luglio del 2013, invitando i suoi seguaci a combattere l«l’azienda delle Olimpiadi di Sochi».

Era tra le top list dei più ricercati in diversi paesi, in cima alla lista in Russia, ma anche negli Stati Uniti che avevano messo sulla sua testa una taglia da 5 milioni di dollari – anche per chi fosse soltanto in grado di dare informazioni fondate per la sua cattura.

Sul come sia morto, o sul chi sia stato ad ucciderlo, ci sono dei misteri: il portavoce del corpo-antiterrorismo nazionale russo, non ha confermato il coinvolgimento dell’FSB e dell’SVR (servizio segreto interno ed esterno), ma dopo gli atti di gennaio e dicembre a Volgograd e Makhachkala, Putin aveva promesso di inasprire le ricerche, e quelle dichiarazioni di Kadyrov di cui si diceva, potrebbero essere fondate – tra l’altro è stato lo stesso presidente a riprenderle in un messaggio su Instagram, in cui ha commentato la notizia scrivendo: «Umarov è stato ucciso in una operazione di sicurezza, come ho scritto in precedenza [con riferimento alle dichiarazioni di gennaio]… Ora è confermato dai topi stessi».

La fonte del sito islamista ceceno, però, nella ricerca della causa della morte non può essere per il momento di aiuto, visto che la formula del “diventare martire” in passato è stata utilizzata sia nelle circostanza dell’uccisione di combattenti, sia nei casi di morte naturale. Si diceva comunque già da una mesata che Umarov potesse essere stato avvelenato durante una visita ad una base militare cecena nell’autunno scorso – l’ultimo messaggio risale ad ottobre 2013.

 

Chi era Doku Umarov, che a quanto pare è morto davvero

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