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Di fronte alle titubanze dell’Occidente e alle reazioni per ora solo verbali, il presidente russo Vladimir Putin è prontamente passato all’azione occupando la Crimea, dopo essersi fatto autorizzare dal parlamento russo l’azione militare.

Autorizzazione di ampia portata, poiché non è limitata alla sola Crimea, ma all’intera Ucraina, il cui nuovo governo non è riconosciuto dal Cremlino che continua invece a ritenere il deposto Viktor Yanukovich il legittimo governante. Il che complica ancora di più la questione e la possibilità di arrivare in tempi brevi a una soluzione negoziata.

Sotto il profilo giuridico, l’invasione russa è una chiara violazione del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite e dei principi di base dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che vietano la minaccia e l’uso della forza.

Le motivazioni accampate dalla Russia non reggono. È stato invocato il diritto d’intervenire a difesa dei propri connazionali che si trovano nelle basi russe in Crimea. Ma tale diritto, che un tempo era rivendicato solo dagli stati occidentali, non è stato esercitato nel caso concreto o è stato perseguito in modo abnorme. La dottrina dell’intervento a protezione dei cittadini all’estero prevede che si possa intervenire in territorio altrui quando i propri cittadini siano realmente in pericolo di vita e il sovrano territoriale non voglia o non possa difenderli. Una situazione non ricorrente in Crimea.

Inoltre, in tale tipo d’intervento si salvano i propri cittadini e si riportano in patria e l’azione militare non produce un’occupazione del territorio straniero. L’azione dei militari armati senza mostrine che hanno circondato le basi ucraine in Crimea era chiaramente imputabile alla Federazione russa e non dovuta a forze ribelli locali.

Né potrebbe essere invocata l’esimente del consenso delle autorità locali all’intervento. La Crimea non è uno stato, ma solo una provincia ucraina, sia pure dotata di ampia autonomia. Fu trasferita all’Ucraina nel 1954, un atto interno all’Unione Sovietica.

Probabilmente si andrà verso la secessione della provincia e la costituzione di un nuovo Stato, ma questo difficilmente otterrà il riconoscimento da parte della comunità internazionale, essendo la secessione fomentata dall’esterno e ottenuta con l’intervento di una potenza straniera in violazione delle più elementari regole del diritto internazionale. In questi casi il principio dell’integrità territoriale prevale.

Non occorre una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu per raccomandare o decidere sanzioni obbligatorie, quando uno Stato si sia reso responsabile di violazioni gravi del diritto internazionale. Le sanzioni possono comprendere il congelamento delle risorse finanziarie, il divieto di import/export ed anche sanzioni individuali che includono il congelamento di beni e la limitazione dell’ingresso nei territori degli Stati partecipanti.

Gli Stati Uniti si sono già mossi. Per l’Italia e l’Unione europea in genere una politica sanzionatoria solleva problemi politici ed economici di non poco momento. C’è da giurare che saranno avanzati dubbi sulla loro efficacia.

Clicca qui per leggere l’analisi completa

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.

Ucraina, tutti i passi verso la secessione della Crimea

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