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Per mantenere una discreta salute fisica e mentale non bevo alcolici e non fumo. E non guardo i talk show alla tv. Ieri sera, tuttavia, per una serie di circostanze eccezionali, ho seguito per circa mezz’ora ‘Piazzapulita, la ‘’Fumeria di oppio’’ di Corrado Formigli su La 7. Non lo avevo mai fatto in precedenza: una volta mi chiesero di partecipare ma io risposi che con una trasmissione con quel titolo – violentemente ispirato alla peste dell’antipolitica – non volevo averci a che fare per nessun motivo.

Confesso che ieri sera sono rimasto sconvolto. Per chi non avesse assistito, ricordo che si partiva dallo scoop di Alan Friedman sul Corriere della Sera (Friedman è proprio un americano che ha trovato l’America in Italia) e che, pertanto, si conduceva un processo mediatico a cui era sottoposto il presidente della Repubblica con l’accusa di alto tradimento e di attentato alla Costituzione o quanto meno di grave scorrettezza istituzionale, per i fatti dell’agosto 2011, allorché Giorgio Napolitano aveva promosso delle iniziative e preso dei contatti per affrontare la grave crisi di credibilità del Paese. Alla fine, incredulo e stupefatto, ho assistito a una ricostruzione degli eventi del 2011, che portarono alla caduta del governo Berlusconi e alla nascita dell’esecutivo dei tecnici, come congiura architettata da una grande Spectre internazionale capitanata da Angela Merkel (Friedman si è lasciato scappare persino che la Merkel odia Berlusconi, come se gli affari internazionali fossero regolati dalle simpatie o dalle antipatie!), i cui referenti in Italia erano Carlo De Benedetti, Corrado Passera, Mario Monti e lo stesso Napolitano. Per non parlare della Bce, delle agenzie di rating e della speculazione internazionale, tutte assoldate per completare l’opera attraverso il gioco dei declassamenti.

In sostanza, nella trasmissione si è finito per fornire un grande assist al Cavaliere, confermando le tesi sue e dei suoi sostenitori: tutto quello che in quei mesi è capitato all’Italia era strumentalmente finalizzato ad togliere di mezzo Berlusconi e il suo governo. A noi la storia sembra essere andata diversamente. Non tanto perché – come afferma la sinistra – il governo del Cavaliere sottovalutasse la crisi o avesse compiuto dei gravi errori nel gestirla. Nessuno si aspettava (quando Giulio Tremonti nel 2008 volle “mettere in sicurezza” il bilancio dello Stato venne duramente criticato dalla sinistra) che la crisi fosse non solo così dura e duratura, ma che, procedendo nel tempo, subisse diverse mutazioni genetiche tanto da divenire insensibile alle tradizionali terapie, di volta in volta adottate.

Quanti avevano previsto che, dopo quella Finanziaria con i suoi effetti negativi sull’economia reale (già in via di superamento nel 2010), scoppiasse la crisi dei debiti sovrani con le sue ricadute sulla credibilità degli Stati e dei titoli di loro emissione? Pilotare l’Arca di un Paese sgangherato come il nostro in mezzo a una tempesta perfetta non è facile per nessuno e lo è stato ancora di meno per un premier, perseguitato dalla magistratura per i suoi vizi privati, screditato di conseguenza in tutto il mondo civile, alla guida di un partito da lui vissuto come un peso inutile e dominato da cordate di potere, monarchico ed anarchico nel medesimo tempo, privo di quegli organismi in cui una classe politica possa condurre una vera e propria battaglia delle idee acquistando così autonomia ed autorevolezza.

Ma tutti questi handicap sussistevano ancor prima della crisi del 2011. E addirittura Berlusconi e il Pdl erano riusciti a reggere, in precedenza, persino la scissione di Gianfranco Fini e del Fli, le contestazioni violente di piazza, il tentativo – questo sì eversivo – di far cadere il governo  il 14 dicembre 2010. Erano andati avanti comperando voti a colpi di sottosegretariati e conservando una maggioranza alla Camera piuttosto precaria e spesso a rischio. Perché tale scenario traballante è divenuto critico a partire dalla primavera del 2011 ovvero dalla sconfitta a catena nelle elezioni amministrative di quell’anno? La ragione di quelle sfide perdute stava non solo nel disordine esistente nel partito ormai trasformato nel campo di una guerra per bande, ma anche nelle vicende privato-giudiziarie in cui era incorso il Cavaliere.

A Berlusconi, nelle elezioni amministrative del 2011, l’elettorato mise in conto le ‘’feste eleganti’’ di Arcore, le escort che si fotografano con i cellulari nei bagni e le inquiline del gineceo condominiale dell’Olgettina, la nipote di Mubarak, lo stipendio, ‘‘pronta cassa’’ e in nero, alla famiglia Tarantini, i torbidi rapporti con Valter Lavitola, la candidatura blindata di Nicole Minetti. Quando un uomo politico è nel mirino di istituzioni golpiste, pregiudizialmente ostili, deve essere cauto e sobrio, non dare adito a comportamenti che, strumentalizzati con spregiudicatezza, hanno concorso a determinare le sconfitte elettorali del Pdl. Ma ben oltre il gossip (che purtroppo ha assunto un rilevo politico anche sul piano della comunità internazionale) ci sono altri aspetti su cui riflettere.

Incapace di fare autocritica, Berlusconi impose la sua verità ufficiale: l’insuccesso elettorale era dipeso dalla politica del rigore fino ad allora portata avanti da Giulio Tremonti all’Economia. Cominciò allora, sotto gli occhi dei mercati e dei nostri partner europei, un gioco a rimpiattino tra il premier e il suo importante ministro (che pur garantiva il governo rispetto ai mercati) ognuno dei quali si intestava una linea: di continuità con la stabilità dei conti pubblici, secondo Tremonti; di sollecitazione della crescita attraverso la riduzione delle tasse e il deficit spending, secondo Berlusconi.

Si arrivò, così, alla manovra varata a luglio che non aveva ottenuto la credibilità dei mercati per tanti motivi. Non solo perché il pareggio di bilancio era stato previsto nel 2014 con un eccessivo carico nel periodo finale, ma soprattutto perché nella compagine governativa, ormai da mesi, coesistevano con evidenza le due linee di cui abbiamo accennato prima, fino al punto di delegittimare del tutto Tremonti.

Al dunque, il sempre più marcato dissenso tra il premier e il titolare dell’Economia aveva inciso sulla considerazione dell’Italia sui mercati e tra i partner al pari degli effetti riguardanti la vita personale del Cavaliere. Divenne così necessario aggiustare la manovra. Durante tutto il mese di agosto, nonostante il severo richiamo della Bce con la lettera del giorno 5,  era esploso, nella maggioranza, un dibattito tra diversi esponenti del Pdl e tra questo partito e la Lega Nord, rendendo molto problematica la chiusura della manovra correttiva (che fu possibile grazie all’intervento energico di Napolitano).

La vicenda delle pensioni di anzianità contrassegnò emblematicamente lo stato di impotenza a cui erano giunti l’esecutivo e la maggioranza. Alla fine vennero meno alla Camera anche i numeri di una coalizione che da mesi si era retta grazie alla distribuzione di poltrone. A quel punto era evidente che  la situazione era divenuta insostenibile. Il governo era ormai inchiodato al banco degli imputati, ritenuto primo responsabile di tutto quanto, in quei frangenti critici, sarebbe potuto accadere al nostro Paese.

Che cosa d’altro avrebbe potuto fare Napolitano in quel tragico agosto, quando sembrava che fossimo ad un passo dall’andare a tenere compagnia alla Grecia? Lo spread a metà agosto aveva superato persino il differenziale con la Spagna. I tassi di interesse dei titoli stavano divenendo insostenibili. Altro che Fiscal Compact! Saremmo stati costretti per generazioni a dissanguarci attaccati al servizio del debito.

Il presidente compì ancora una volta il suo dovere, cercando delle soluzioni, che poi si sono rivelate corrette e positive, perché il governo dei tecnici ha rimesso in carreggiata il Paese. Napolitano ha dovuto prendere dei contatti? Si è fatto rifilare un documento scritto da quel sopravvalutato di Corrado Passera (che pena la passerella su quegli appunti in tv)? Ma così funziona la politica. Dovremmo ringraziarlo.

Persino Berlusconi si accorse a novembre che non aveva più le condizioni per proseguire. Oggi il Cav diventa vittima di una congiura internazionale ordita dai suoi implacabili nemici, quelli che non tollerano il suo look e la sua ‘’diversità’’? Non scherziamo. Comunque, se dura così presto verrà il giorno in cui gli riconosceranno di essere un perseguitato dalla giustizia. Nel frattempo, però, lo avranno caricato di condanne.

Un’ultima considerazione. Che bisogno avevano Mario Monti e Romano Prodi di confermare a Friedman i contatti intercorsi con Napolitano? Non so Prodi, ma Monti si è rivelato ancora una volta al di sotto delle aspettative che aveva suscitato.

Quanto a me, ieri ho rilasciato una dichiarazione in difesa del Presidente Napolitano: non l’ha ripresa nessuna agenzia. E’ perché non conto più nulla? Oppure la mia posizione non era politicamente corretta? A volte mi domando se esiste una regia nell’azione di sfascio del Paese.

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