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“Quando gli addetti ai fini esitano e al loro posto agiscono gli addetti ai mezzi, i mezzi diventano fini. E all’umanità non resta altro fine che l’accumulo di mezzi”
(Nicola Gomez Davila)

Secondo il Ministro Poletti, le aziende italiane “non hanno più alibi” sul fronte delle false partite IVA – lavoratori del tutto assimilabili ai dipendenti che però hanno forme di contratto poco tutelanti – perché il decreto legge che porta il suo nome “mette al riparo l’imprenditore dal rischio di contenziosi”. In altre parole, il Ministro mostra di credere all’assioma – propagandato per tanti anni dalle discussioni ideologiche sull’articolo 18 – per cui le aziende non assumono a tempo determinato per timore di non poter licenziare.

Sfortunatamente temo non sia così.

Le aziende, al di là del momento congiunturale di crisi, non assumono anche perché il numero di dipendenti è la base su cui viene calcolato l’imponibile IRAP. E quindi ogni nuova assunzione comporta per l’impresa un aumento del carico fiscale, in maniera del tutto indipendente dai risultati economici. Intendiamoci, non è che le nuove norme varate dal governo siano indifferenti, ma rischiano di non incidere in maniera significativa, o di non incidere per niente, proprio per il motivo appena ricordato.

Senza dimenticare due cose fondamentali. La prima va detta chiaramente e pragmaticamente a tutti: da quando la Fornero ha reso non obbligatorio il reintegro del dipendente in azienda, l’articolo 18 è un totem che non esiste più. Il risarcimento economico non è diverso dall’incentivo all’esodo per cui l’azienda sceglie solo in base alla convenienza economica. La seconda è direttamente attinente alle nuove modalità di svolgimento del contratto a termine del Decreto Poletti: l’obiettivo può essere giusto ma purtroppo gli strumenti non sono corretti perché rischiano di produrre solo orizzonti di precarizzazione più lunghi per i giovani. Ed effetti particolarmente gravi sulle giovani donne con contratto a termine che volessero avere figli.

In ogni caso, come ho già avuto modo di dire, per ritrovare finalmente una fase espansiva dell’occupazione, non basta cambiare le regole del mercato del lavoro. Bisogna mutare le condizioni complessive del sistema Italia.

Nel frattempo, la disoccupazione continua ad aumentare, mese dopo mese, insensibile ai tempi della politica, anche a quelli sincopati del nuovo governo, raggiungendo nuovi e poco invidiabili record. Bisogna fare presto. Serve uno shock istituzionale su altri versanti: la già ricordata riforma dell’IRAP, la riforma della giustizia civile ed amministrativa, l’introduzione di una meritocrazia “non pilotata” nella managerialità pubblica, ma anche risorse da investire immediatamente nell’Agenda Digitale, nelle reti e nei progetti di innovazione. Le uniche cose che possono fare la differenza.

Anche perché, finché le aziende non saranno messe davvero in condizione di ricominciare ad assumere, l’unica cosa da fare è affidarsi all’intraprendenza di chi ha voglia, coraggio e idee. Possibilmente aiutandolo a mettere la testa ed il cuore fuori dalla crisi.

La disoccupazione insensibile

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