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L’idea di un referendum sul Fiscal Compact lanciata da Gustavo Piga si basa su un’analisi che condivido sull’euro, su come potrebbe essere rilanciato e riformato e soprattutto sulla necessità di ridare legittimità popolare alla moneta unica.

LA STRADA GIUSTA

Ce n’è un gran bisogno, inutile negarlo. E più si tergiversa più cresce l’euroscetticismo, il populismo, il rifiuto irrazionale. Meglio affrontare lo scontro a viso aperto e scegliere il campo di battaglia: il Fiscal Compact è senza dubbio quello giusto.

LE OBIEZIONI FONDATE

La provocatoria proposta ha già suscitato qualche reazione su twitter e alcuni cinguettii hanno sollevato obiezioni sonore e ben fondate. Io ne ho colte tre: 1) nel momento stesso in cui il referendum viene proposto, i mercati cominceranno ad attaccare l’Italia; 2) andare a un referendum proprio in occasione del semestre europeo suscita la reazione virulenta della Germania (il 2011 serve da memento); 3) perché, a questo punto (se lo è chiesto ad esempio Claudio Petruccioli @cpetruccioli), non andare al cuore quella questione e dividersi su euro sì-euro no. Tutte e tre sono questioni serie e assai complicate che meritano una discussione e delle risposte. Il professor Piga avrà le sue, io cerco di dire la mia.

COME REAGIRE ALLA REAZIONE DEI MERCATI

1) E’ vero, la speculazione si frega le mani e andrà all’attacco come e peggio del 1992. Ma a differenza da allora ci sono strumenti di difesa più efficaci. Il primo dovrà usarlo l’Italia, creando una cortina di auto-protezione con una politica economica (non solo fiscale) molto severa: per esempio tagli forti alle spese correnti (lineari, da 3 punti l’anno, niente fumose spending review che non hanno impatto immediato), riforma drastica del mercato del lavoro (via l’articolo 18 per esempio), intervento choc sullo stock del debito pubblico. A questo punto l’Italia potrà chiedere l’intervento della Bce attraverso le Omt (Outright monetary transactions) senza mettere in difficoltà Mario Draghi.

COME FAR ABBASSARE LE PENNE ALLA GERMANIA

2) E’ chiaro che la Germania farà fuoco e fiamme. Esattamente come nel 2011. Allora, il vertice di Cannes ai primi di novembre, servì sostanzialmente a due scopi: evitare il referendum greco sull’euro, proposto da un Papandreou alla canna del gas; e risolvere la questione Berlusconi in Italia. Papandreou e Berlusconi si dimisero a stretto giro di posta. Dunque, anche Enrico Letta verrà messo con le spalle al muro. Ma con una politica economica coraggiosa e lo scudo della banca centrale, Berlino dovrebbe abbassare le penne.

PERCHE’ NO A UN REFERENDUM SULL’EURO

3) L’obiezione Petruccioli è la più insidiosa: perché il Fiscal Compact e non l’euro tout court? Piga ha spiegato a cosa serve l’unione monetaria e che il ritorno alla liretta sarebbe insieme illusorio e disastroso. Ma per invertire lo Zeitgeist anti-euro, ci vuole soprattutto qualche proposta concreta in grado di mettere davanti agli elettori i vantaggi della moneta unica. Perché di argomenti ce ne sono a iosa.

FRA EUROPA E STATI UNITI

Chi fa il paragone con gli Stati Uniti, per esempio, dimentica che la vera unificazione avvenne solo con la vittoria del Nord nella guerra civile, quindi dopo il 1865, otto decenni dopo l’indipendenza e la costituzione. L’Europa vuole evitare una guerra civile e l’Unione finora è servita anche a questo. Non solo. E’ vero che Hamilton decise di mettere in comune i debiti degli Stati pre-unitari, ma da allora in poi i bilanci dei singoli stati divennero dei colabrodo al punto che furono costretti ad adottare leggi che obbligavano le amministrazioni al pareggio. La Banca centrale venne istituita solo nel 1913, mentre l’unione monetaria europea nasce già con una Bce che batte moneta. Come si vede, l’Europa ha tratto lezione della storia e da quella americana in particolare al contrario. E’ vero che la soluzione ideale sarebbe una unione politica come supporto della moneta unica. Ma quel che manca oggi non è tanto una legge di stabilità fotocopia (al contrario si tratta semmai di coordinare tutti insieme politiche fiscali diverse a seconda delle situazioni e delle priorità dei singoli stati), quanto un vero mercato unico del lavoro e dei capitali, che comporta la mobilità su scala continentale. Vasto programma, d’accordo, ma negli ultimi anni si sta andando in senso opposto.

IN ATTESA DI UNA RISPOSTA EUROPEA SULL’EURO 

Tutte queste, però, sono cose buone per gli studiosi. La gente vuol sapere che cosa ha ottenuto dall’euro, che sia qualcosa di meglio rispetto alla lira. Una giusta richiesta che chiama in causa l’Unione europea non solo e non tanto il governo italiano. Una domanda che Letta dovrebbe portare a Bruxelles pretendendo che non si risponda svicolando o con una fuga in avanti, magari imponendo un cambio di governo, ma offrendo un catalogo chiaro e fondato dei benefici oltre che dei costi, presenti e futuri. E’ possibile? Sospendiamo il giudizio.

Stefano Cingolani

(www.cingolo.it)

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