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Ecco la giusta cooperazione per il Nord Africa. Il commento di Pirani (Uiltec)

Occorre posizionare l’Italia e l’Europa nel Mediterraneo per fronteggiare la sfida che si gioca soprattutto sul continente africano. L’Italia e il Mezzogiorno per la posizione strategica che hanno possono essere cerniera dei due grandi blocchi geografici: Europa e Africa Mediterranea. Bisogna superare in questo posizionamento la provincializzazione del sistema mare, per fare posto ad una gerarchizzazione puntuale degli impianti e ad una specializzazione dei servizi. Ed è necessario che le aree di riferimento del sistema mare del Mezzogiorno vadano attrezzate come fronti portuali per riposizionare il Paese e il Mezzogiorno nel bacino del Mediterraneo. Fondamentale è operare in modo efficiente anche per migliorare le accessibilità rendendo efficienti i collegamenti stradali, ferroviari e territoriali.

C’è necessità di una politica che organizzi nuovi modelli concettuali ed operativi, partendo dalla prospettiva che solo una rinnovata politica economica come mezzo per incrementare il benessere economico e sociale delle popolazioni, attraverso: accessibilità dei territori, connettività delle reti, finalismo economico dei trasporti. Sia chiaro che il ruolo delle infrastrutture non è quello di aumentare gli investimenti, ma fare in modo che siano utili ad un modello economico e geopolitico. Una visione nuova deve rilanciare l’ipotesi di un settore manifatturiero che rilanci la possibilità di creare valore e ricchezza in ambiti territoriali allargati, non tanto nella visione dei distretti industriali ma nell’attribuire alle aree vaste di programma una nuova capacità di cucire il potenziale delle regioni economiche di riferimento. L’Europa e L’Africa sono due continenti che oggi sono posti a confronto con le diversità che sono coniugate dal Mar Mediterraneo.

Nel Mare Mediterraneo infatti transita circa il 19% del traffico mondiale delle merci ed esistono problemi di dialogo e di sicurezza tra l’Europa e l’Africa che necessitano di una soluzione geo-politica. Cosa fare? Salvaguardare il mare Mediterraneo anche ai fini della sicurezza; promuovere una crescita sostenibile in termini economici, sociali e culturali in tutta l’area sia nelle regioni del sud Europa che in quelle del nord Africa; sviluppare e gestire un piano condiviso di utilizzo delle energie alternative; migliorare le infrastrutture stradali e ferroviarie, porti, interporti e aeroporti e istituzione di Zone Economiche Speciali per creare nuove opportunità di sviluppo e per realizzare la necessità di migrazione e sviluppare una rete immateriale per i servizi alle persone ed alle imprese; sviluppare la filiera agro-alimentare e seguire i mercati di consumo anche per diffondere la dieta mediterranea.

È necessario che il Meridione d’Italia entri nella competizione globale dei flussi commerciali. Occorre sviluppare, quindi, idonei corridoi di transito; salvaguardare il mare Mediterraneo; promuovere la reciproca conoscenza e socializzazione tra i popoli; promuovere una crescita sostenibile in termini economici, sociali e culturali in tutta l’area sia nelle regioni del sud Europa che in quelle del nord Africa; migliorare le infrastrutture stradali e ferroviarie, porti, interporti e aeroporti per creare nuove opportunità di sviluppo che riducano la necessità di migrazione; sviluppare una rete immateriale per i servizi alle persone ed alle imprese; sviluppare e gestire un piano condiviso di utilizzo delle energie alternative; sviluppare e gestire un comune sistema di protezione per la salvaguardia della sicurezza e controllo delle migrazioni; combattere la delinquenza comune e organizzata.

Le attività proposte di cooperazione tra i paesi dell’Unione per il Mediterraneo consente anche di allargare il processo di partecipazione decisionale tra gli Stati, le Regioni, gli Enti Locali e la Società civile creando coesione sociale e sviluppo nello spirito di democrazia partecipata. Ma bisogna innanzitutto determinare una struttura di governance multilevel che, con il superamento dei limiti territoriali garantisca la partecipazione delle Autorità regionali, locali e dei cittadini alle politiche di cooperazione europee ed euro-mediterranee per la cultura, la tutela ambientale, la ricerca scientifica, l’innovazione, i sistemi energetici, la connettività territoriale, la mobilità urbana sostenibile, e dunque lo sviluppo socio economico della terra meridionale e dei paesi rivieraschi del Mediterraneo . Il grande balzo di prospettiva, anche culturale, è quello di affacciarsi al balcone africano ma che solo la Sicilia unita alla Penisola può garantire all’Italia e le infrastrutture sono il sistema arterioso e venoso del tessuto economico da migliorare sul piano competitivo.

Come agire? Ecco perché bisogna incrementare la sicurezza marittima; promuovere la crescita sostenibile della blue economy e lo sviluppo dell’occupazione; preservare l’ecosistema e la biodiversità della regione del Mediterraneo occidentale. A questi obiettivi occorre cominciare a dare gambe concrete: da un lato servono finanziamenti infrastrutturali per il potenziamento delle reti e delle tecnologie e dall’altro occorre incrementare le connessioni marittime. Sinora i flussi hanno riguardato prevalentemente il tragico fenomeno delle migrazioni dall’Africa all’Europa, e le contaminazioni sono più collegate alle terribili vicende del terrorismo islamico che mina la sicurezza. Il Mediterraneo adesso è una parola che fa paura, che ci divide e che ci indigna. Non importa più la sua storia millenaria: importano i disperati che vi affogano ogni giorno, importa la crisi economica che da anni lo attraversa come una tempesta, importano i pazzi e gli assassini che ne insanguinano le coste.

Con gli scenari internazionali che si stanno delineando, questa assenza di politiche comunitarie marittime costituisce uno dei punti di debolezza strategica di una Europa che si trova oggi in mezzo al guado, e che non riesce ad affrontare la sua crisi di identità, tra volontà di costituire, ormai minoritarie, gli Stati Uniti di Europa e tentazioni, attualmente crescenti, di ridurre i gradi di cooperazione che sono stati consolidati in questi decenni. Dall’Africa si genereranno flussi migratori di grandissime proporzioni, soprattutto verso l’Europa, a causa sia di fattori climatici, sia ancora di sommovimenti politici. Poco si è fatto per integrare il traffico merci e passeggeri tra le due sponde del Mediterraneo in una logica commerciale. L’Africa del Nord è una frontiera dello sviluppo che costituisce l’opportunità principale non solo per l’Europa del Mezzogiorno ma anche per l’intera Comunità. Nell’area che più immediatamente ci circonda sono destinati a svolgersi eventi che cambieranno la configurazione di quello che siamo e di quello che saremo.

Se non ce ne occuperemo noi, saranno altri a farlo al nostro posto, con una conseguente subordinazione politica dell’Europa, dell’Italia e del Mezzogiorno. Il presente e, con ogni probabilità, il futuro della Ue risiede nella capacità di dar vita ad un nuovo ordine della centralità, restituendo al Mediterraneo il ruolo che la geografia gli ha sempre assegnato.Gli imprenditori, sono molto interessati a prospettive che favoriscano lo sviluppo economico e sociale attraverso nuove forme di dialogo territoriale, che facciano leva su esigenze comuni. L’Italia presenza naturale del Mediterraneo, ed in modo principale le regioni del Sud sono strategiche per l’economia del mare. I campi di intervento su cui in linea prioritaria va trovato un terreno fertile per le strategie cooperative sono stati indicati, lo ripetiamo ancora una volta nella blue e nella green economy, nell’economia soft e slow, nella cultura e nell’istruzione, nel turismo, nell’energia, e naturalmente nella ricerca e nell’innovazione.

La vera sfida che devono avviare le nostre imprese, è in termini di sinergie creando reti, ma anche in termini di competitività attraverso processi di innovazione ed internazionalizzazione. La filiera della cosiddetta Economia del Mare che rappresenta il 2% del Pil nazionale, è una priorità grande interesse strategico per l’economia del Paese, ed in particolare del Mezzogiorno, e per generare un valore aggiunto in Italia pari a 44,4 miliardi di euro di cui 14,7 miliardi di euro originati nel Mezzogiorno (circa il 33%; dati SRM Società Studi e Ricerche del Mezzogiorno). La crisi delle regioni da una parte, e dall’altra il declino di un modello d’Europa accentratrice, normativo burocratica, vincolistica e scollegata dai territori è un dato che avvertiamo quotidianamente e che ha come contraltare il rilancio dei nazionalismi. La prospettiva di soluzioni nuove che sappiano riavvicinare la politica ai problemi della gente e alle esigenze del mondo produttivo, a partire dalle piccole e medie imprese che ne rappresentano così tanta parte in Italia e in Europa, non può che intrigarci e renderci disponibili a ogni forma di collaborazione concreta, basata su strategie, programmi e azioni. Ma per cogliere questi obiettivi c’è bisogno anche di modelli di governance adeguati alle esigenze della moderna competizione. In tal senso, l’idea di Macroregioni che superino i confini nazionali, che siano concepiti sulla base di funzioni e non si risolvano dunque nella sovrapposizione di nuove istituzioni, è di sicura suggestione, al di là dei risultati dei tentativi finora attuati.

I PROGETTI IN CORSO

Nel 2017 sono stati approvati con la banca mondiale 5 milioni di euro finalizzati ad un progetto strategico denominato Elmed che ambisce alla realizzazione di un’effettiva integrazione dei sistemi di produzione di energia elettrica tra Europa ed Africa. La cooperazione italiana sostiene anche lo sviluppo del settore privato con 200 milioni di euro per le piccole e medie imprese che hanno contribuito negli ultimi venti anni alla creazione di circa 10 mila posti di lavoro. La stessa cooperazione interviene in Tunisia con crediti di aiuto per 145 milioni di euro destinati agli investimenti nella pubblica amministrazione locale, per l’acquisizione di attrezzature italiane nei settori dell’ambiente, dell’agricoltura, della sanità, della formazione professionale, dello sviluppo rurale. Nel marzo del 2017 è entrato in vigore l’accordo che regola il programma di conversione del debito tunisino per un totale di 25 milioni di euro e che prevede interventi nel settore idrico, sanitario e di infrastrutture in genere.

In Egitto gli obiettivi di partenariato Ue e il Paese stesso prevedono un’azione italiana improntata alla lotta alle povertà, sostegno a bambini anziani e disabili, sviluppo delle risorse umane; sviluppo delle risorse umane; promozione delle attività professionali in agricoltura, valorizzazione del patrimonio naturale ed archeologico. Sempre in Egitto (come in Giordania ed in Libano)è operativo un’azione a cui partecipa l’ente Progetto Sud della Uil che intende contribuire al miglioramento delle condizioni di vita delle donne rifugiate da Paesi come la Siria, attraverso piani di emancipazione economico-sociale. Progetto Sud è fortemente impegnato nella cooperazione in questa parte di Mediterraneo. “Solid”, per fare un esempio del succitato impegno, è un progetto pilota svolto in tre Paesi del Mediterraneo ed ha avuto un successo tale da contribuire fattivamente ad accordi con i governi locali e con le forze sociali. Attraverso questa esperienza si è contribuito fattivamente alla costituzione dei Comitati economici e sociali in Tunisia e in Marocco che hanno dato una fattiva spinta alla nuova Carta Costituzionale dei due Paesi. “Solid2” si estenderà anche nel 2020 in Libano e nell’area palestinese. In questo caso il ruolo di partenariato aiuta nelle politiche di sviluppo e di progresso.

In Libia la cooperazione ha risposto alle richieste di intervento umanitario a seguito degli eventi bellici del 2011 e di quelli del 2014. Dal 2017 sono operativi interventi di emergenza sanitaria e di protezione agli strati della popolazione più vulnerabili. Il programma di cooperazione bilaterale col Marocco prevede l’intervento in settori come quello del risanamento ambientale e della potabilità delle acque (4,5 milioni di euro); dell’alfabetizzazione sociale; delle infrastrutture stradali e ferroviarie (13 milioni di euro); della creazione di alternative alla migrazione irregolare, sostegno al microcredito (1,2 milioni di euro). Importante la cooperazione delegata svolta dall’Italia per conto della Commissione europea nei paese africani. Si tratta di un’azione che produce un effetto moltiplicatore di risorse destinate al cofinanziamento di programmi. Solo per fare un esempio l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo dal gennaio del 2019 gestisce sei programmi per un importo complessivo di 44. 595.500 euro e nell’ultimo trimestre del 2018 ha sottoscritto direttamente tre nuovi programmi per un totale di 40 milioni di euro.

CONCLUSIONI

Occorre creare condizioni di lavoro derivanti da concreti investimenti per l’Africa, a partire dai Paesi del Nord di questo continente, perché in Africa sono previsti a breve termine mutamenti imponenti. A metà secolo si registrerà un aumento della popolazione che arriverà a due miliardi e mezzo di africani. Da oggi al 2035 occorrerà creare 18 milioni di nuovi impieghi per far fronte agli ingressi nel mondo del lavoro. Il denaro pubblico va indirizzato verso iniziative riguardanti l’energia, le infrastrutture, la solidità economica delle comunità agricole di base. Sarebbe necessario un riassetto generale delle iniziative, tentando una indispensabile unità. In questo senso occorre tener conto dell’alto livello di interventi delle tre agenzie dell’Onu insediate a Roma, la Fao, Il Wfp e l’Ifad; dell’opera della Banca Mondiale, della Bank of Africa e delle maggiori banche internazionali; del continuo lavoro dell’Organizzazione degli Stati africani; delle diverse Ong operanti in Africa. Occorre considerare che il consumo privato africano dovrebbe raggiungere i 2 trilioni annuali di dollari; mentre i livelli di spesa progettati a partire dal 2025 salirebbero a 3,3 trilioni di dollari ogni anno. Di fatto l’Africa è per l’Europa quel che l’Asia è per gli Stati Uniti. E’ il momento di convocare una sorta di “Stati generali per l’Africa, una grande iniziativa che veda insieme Africa ed Europa in termini di democrazia e sviluppo economico.

Nello specifico l’Europa in questa prospettiva dovrà sostenere ogni forma di miglioramento delle situazioni esistenti, in termini di democrazia, in Egitto, Libia, Tunisia, Marocco. Si tratta di Paesi ad alta disoccupazione giovanile e con una condizione sociale precaria. La Ue deve sostenere le piccole e medie imprese la formazione professionale, i gemellaggi professionali, il rafforzamento della sicurezza sociale, la sanità, l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Meglio far questo che interferire con azione di assistenza e promozione istituzionale. I governi del Mediterraneo dovrebbero individuare al meglio azioni congiunte a favore di opere infrastrutturali tra cui i trasporti,, reti di trasmissione di energia elettrica e comunicazioni di banda larga. Insomma, occorre riproporre un vero e proprio partenariato euro-mediterraneo, basato sul dialogo politico, economico e socio-culturale La ripresa del dialogo e della cooperazione euro-mediterranea determinerebbe sinergie incisive. E’ questa la strada da percorrere facendo capire con chiarezza a chi non si deciderà ad incamminarsi. In questa direzione chi si ferma, deve pagare pegno. E chi boicotta deve uscire dal gioco delle relazioni internazionali. E’ vero il percorso è in salita. Ma bisogna camminare con più decisione, stringendo i denti, serrando il passo, senza mai rallentare. Per quanto ci riguarda il ruolo politico e sindacale dei sindacati europei e quelli della sponda nord africana resta centrale al fine di costruire un’ Europa di popoli e dello sviluppo.Serve, però, maggiore cooperazione tra Istituzioni e parti sociali, maggiore coordinamento tra i sindacati e serve lavorare affinchè la Commissione europea istituisca la macroregione del Mediterraneo. Si tratta di uno strumento essenziale per riordinare i flussi economici che pure ci sono di investimenti pubblici e anche privati su priorità fondamentali per il Mediterraneo, come quelli più volte enunciati, della logistica e delle infrastrutture materiali ed immateriali. Ripeto, questa è la strada da percorrere.


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