Rinnovare in profondità il ceto dirigente di centro-destra per ricostruire un’alleanza tra le formazioni alternative al Partito democratico. La proposta di una “Leopolda delle forze conservatrici, moderate, popolari, liberali” lanciata da Formiche.net all’indomani delle elezioni europee ha aperto un vivace confronto tra politici, intellettuali, giornalisti.
A intervenire nel dibattito è ora il sociologo Luca Ricolfi, tra i più acuti studiosi delle tendenze e dei mutamenti dell’opinione pubblica, professore di Analisi dei dati presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino. Spirito critico della sinistra, attento ai temi del federalismo e della questione settentrionale, l’editorialista de La Stampa ha lungamente denunciato i filtri ideologici mistificanti e il complesso di superiorità morale con cui la cultura progressista affronta la realtà.
È praticabile l’ipotesi di una “Leopolda di centro-destra”?
La strada è percorribile, ma ci vorrebbe un Matteo Renzi di destra, che a quanto pare non esiste. Non intendo dire che non vi sia nessun giovane politico di destra con le capacità del premier, ma che nessuno possiede il suo coraggio o insolenza. Il punto è tutto lì. Un po’ di insolenza è necessaria, ma nessuno, soprattutto in Forza Italia, ha il fegato di trattare Silvio Berlusconi come l’ex primo cittadino di Firenze ha trattato Massimo D’Alema. Un malinteso sentimento di riconoscenza verso il capo obnubila le menti dei rappresentanti “azzurri”, condannandoli alla paralisi e all’irrilevanza.
Elezioni primarie per l’intera coalizione potrebbero costruire la nuova leadership?
Potrebbero designare una nuova guida. Ma il problema è che non basta un leader. Ci vorrebbero idee meno vecchie e confuse di quelle viste finora nel campo del centro-destra.
Quali personalità possono sfidare gli attuali vertici e competere per guidare i moderati?
Per quel che mi è dato conoscere – faccio una vita piuttosto ritirata e non vedo molta tv – ritengo che Alessandro Cattaneo sia l’unico in grado di rinnovare lo schieramento alternativo al PD.
Le incompatibilità programmatiche su Euro-zona e immigrazione rendono impossibile una coalizione unitaria?
A me pare chiaro che i programmi dei vari spezzoni del centro-destra non sono componibili. Tuttavia non è detto che comporli sia necessario: i politici sono pronti a cambiare posizione appena conviene. È già avvenuto a destra pensando ai rapporti Bossi-Berlusconi, sta succedendo a sinistra dove tutti sono spudoratamente saltati sul carro di Renzi.
Qual è la via di uscita?
Niente di più facile che chiedere al Giulio Tremonti di turno di buttar giù un progetto digeribile da tutti gli alleati. Salvo dimenticarsene appena incassati i voti. A quel punto gli elettori moderati, avendo esaurito la fiducia nell’ex Cavaliere, vorranno capire se il centro-destra è rimasto la solita minestra formalmente liberale ma di fatto statalista che hanno dovuto sciroppare per vent’anni.
Non esiste un minimo comune denominatore nella galassia di centro-destra?
Non possiamo saperlo finché non sarà chiaro quale strada imboccherà Renzi. Se il premier realizzerà una deregulation del mercato del lavoro e ridurrà le tasse alle imprese, alla destra resteranno soltanto i classici temi dell’immigrazione, della criminalità, della famiglia. Se invece il leader del PD insisterà sulla linea attuale – alleggerire il fardello fiscale sul lavoro dipendente – per il centro-destra si apriranno spazi considerevoli.
Forza Italia e il centro-destra sono condannati a vivere da spettatori un bipolarismo tra Renzi e Grillo?
No. Penso sia il Movimento Cinque Stelle a rischiare la marginalità, a meno che impari a passare dalla protesta alla proposta. Riguardo ai voti moderati e liberali io distinguerei. I voti moderati hanno sempre avuto qualcuno che li rappresentava, soprattutto fra i partiti della tradizione cattolica di destra e di sinistra. Ora si è aggiunto il PD, che sta diventando il partito dei benpensanti, e dei potenti.
E i liberali?
A mio giudizio costituiscono il 20 per cento dei cittadini, ma sono sempre stati del tutto privi di rappresentanza adeguata. Chi è liberale oggi in Italia ha due alternative. Non votare o proiettare su qualche partito le proprie illusioni, scorgendo tratti liberali ora in Renzi, ora in Monti, ora in Berlusconi. Salvo accorgersi, a cose fatte, di aver gettato al vento il proprio voto.