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Non basta una Leopolda per costruire l’alternativa alla sinistra

Nel chiedere a forze e personalità del centrodestra di seguire le orme del Pd e di Matteo Renzi per “ricostruirsi” si compie un errore di fondo: la storia e dunque la società e lo Stato italiani hanno determinato condizioni molto differenti per gli schieramenti moderati-conservatori e per quelli progressisti, e dunque cercare soluzioni uguali per situazioni diverse è sterile.

Con l’esaurirsi, intorno all’inizio degli anni ’90, dell’efficacia di parti decisive di una Costituzione definita dagli equilibri della Guerra fredda, la tendenza di lunga durata dello Stato italiano a governare dall’alto la società senza dare un pieno ruolo di guida ai cittadini elettori, si è tradotta in un’ampia delega alle sopravvissute nomenklature post comuniste e post sinistra Dc.

Queste due tendenze “ideologiche” combinandosi man mano e insieme separandosi in grande misura dalla loro storia politico-sociale hanno prodotto un nuovo ceto di governo adeguato alle esigenze delle pur estenuate élite nazionali, degli apparati pubblici (con un ruolo centrale della magistratura) usciti dalla Prima repubblica e del sistema di influenze  straniere ricostituitosi con nuove egemonie dopo la caduta del Muro di Berlino e lo scioglimento dell’Unione sovietica.

In questo contesto la sinistra da Prodi a Ciampi, da Veltroni a Renzi oltre ad avere basi sociali storicamente meglio definite della destra, è stata automaticamente “messa insieme” da un sistema di forze (élite, settori dello Stato, influenze straniere) particolarmente potente che ha consentito unificazioni programmatiche e sorgere di nuove leadership senza particolari sforzi: certo tutto ciò poi ha portato (e porterà) nel medio periodo a una scarsa autonoma nazionale corrispondente alla facilità di unificazione che però nel breve periodo è stata (ed è) fulminante.

Per il centrodestra non sono state (e non sono) disponibili simili condizioni. Anzi il sistema che sorregge la sinistra è stato e sarà un ostacolo possente al dispiegarsi del centrodestra. Ogni passaggio di governo del centrodestra è stato contrassegnato da una faticosa costruzione attuata fuori e spesso contro il sistema istituzionalmente e culturalmente egemone: così la formazione dell’asse con Lega e Msi nel 1994 da parte di Berlusconi, così il lavoro di Tremonti per rimettere insieme Bossi e Berlusconi nel 1999, così l’apertura organizzativa a Fini e quella programmatica parallela a Tremonti nel 2006.

Insomma c’è chi lavora in discesa (la sinistra) e chi lavora in salita (la destra) che non solo deve faticare a costruire ma poi deve ancor più faticare a difendere quello che ha costruito dai sistemi di influenza che non accettano una piena sovranità popolare/nazionale dell’Italia e che trovano nella sinistra la forza disponibile a stemperare questa sovranità.

Con tutte le legittime speranze che si possono avere per l’ascesa di Renzi è evidente come il governo in carica sia largamente a sovranità limitata: la sua forza propulsiva è data dall’appoggio di consistenti ambienti anglo-americani che lo considerano un elemento di freno a un’egemonia tedesca che però mantiene un suo solido dominio degli affari europei (sia pure dall’incerto destino). Da un certo punto di vista durante la campagna elettorale delle europee è stato sicuramente provvidenziale l’intervento dell’incremento degli spread per piegare l’avanzata di una protesta irrazionale come quella grillina ma è stato parallelamente l’ennesimo segno di come quel che è permesso a inglesi, francesi e persino ai greci non sia consentito a noi italiani. Anche le nostre proteste sono attentamente regolate.

Magari alla fine il nostro stellone nazionale prevarrà, si darà via libera al trattato transatlantico, questo indebolirà l’insensata scelta pro austerità tedesca, l’Unione europea diverrà un po’ più occidentale e meno germanicocentrica e si troveranno le forme (eurobond, Tony Blair presidente e così via) per aprire una nuova fase. Può essere che si aprirà addirittura uno spazio (con inglesi e spagnoli?) per costruire un centrodestra che bilanci il centrosinistra e consenta così una qualche nostra sovranità.

Una nazione saggia (sia pure ulteriormente destrutturata democraticamente da una presidenza della Repubblica insieme presuntuosa e pavida come quella Napolitano), non può però puntare tutte le sue carte su esiti “fortunati” non proprio garantiti da leadership incerte come quelle della bottegaia Merkel e di un presidente che è un po’ troppo “sindaco” (cioè amministratore alla ricerca di consensi solo immediati) come Obama.

Il trattato transatlantico può inciampare sia al Bundestag sia al Congresso di Washington, per ostacoli posti ora dai sindacati ora da settori agricoli ora dalla stessa finanza che vuole avere chiare possibilità di movimento. In quel caso tutte le contraddizioni determinate dalla cattiva costruzione dell’euro esploderanno e noi ci troveremo a gestirle con un sistema politico a scarsa autonomia. Si dirà ma la forza accumulata da Renzi non sarà adeguata a reggere un’eventuale situazione di emergenza? Le aperture dell’ex sindaco di Firenze a Berlusconi, l’attenzione a quella riforme dello Stato che potrebbe condurre a un sistema politico efficace tale da sorreggere l’espressione di una pur relativa sovranità nazionale sono tutte mosse che possono aiutare soluzioni nel senso auspicabile. Ma sono tanti gli elementi (e tra questi innanzi tutto il ruolo insieme onnipotente e intrinsecamente fragile della magistratura combattente) che indicano una contraddizione fondamentale nella base politica renziana e fanno temere possibili gravi sbandamenti.

Senza esagerare nelle analogie va ricordato come un’altra invenzione americana, Morsi, prese ben più del 41% dei consensi e non a elezioni virtuali come quelle europee.

In realtà il nostro sistema politico potrà esprimere una sua stabilità di fondo solo quando potrà garantire alternative di governo senza annesse automatiche crisi politiche nel giro di un biennio. E quindi consentirà anche l’espressione di una forza moderata-conservatrice senza che forze sistemiche interne ed esterne operino subito per svuotarla. Ma se questo è un obiettivo insieme di libertà e nazionale, non è per questo motivo automaticamente facilmente perseguibile: richiede riforme dello Stato, costruzione di schieramenti politici, curare i rapporti con settori sociali che sono operazioni assai complesse e articolate.

Non ci sono scorciatoie come quelle disponibili alla sinistra per raggiungere simili mete. Serve la costruzione di schieramenti locali in grado di competere con blocchi di potere urbano della sinistra sempre più consolidati innanzi tutto dall’opera della magistratura combattente. La composizione di scelte politiche articolate e in alcuni casi (vedi per esempio gli scenari europei) divergenti non è possibile con clamorosi convegni che sblocchino ogni diversità, ma solo con un paziente lavoro insieme diplomatico e programmatico. Così il lavoro per recuperare rapporti con forze sociali spaventate dalla lunga crisi post 2008. Per non parlare delle proposte per una riforma dello Stato che vedono un centrodestra che aveva fatto un buon lavoro tra il 2008 e il 2009 buttato all’aria dal prevalere di varie istanze carrieristiche rispetto agli interessi generali.

Insomma chi anche per un interesse nazionale e non solo per scelte valoriali vuole spendersi per ricomporre uno schieramento di centrodestra in grado di aiutare la riforma dello Stato e di offrire alternative di governo, deve attrezzarsi a un lavoro assai articolato non a scorciatoie semplificatrici, facendo i conti con le forze in campo per quelle che queste sono e non per come si vorrebbe che fossero. Coe ricordava il segretario fiorentino, la base di una politica seria è attenersi alla realtà effettuale non a quella virtuale.



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