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Perché Renzi lavora a un partito della Nazione. Parla Giuseppe Caldarola

Protagonista indiscusso della scena pubblica italiana, Matteo Renzi è riuscito a confinare i più strenui oppositori del progetto di revisione istituzionale al ruolo di “gufi” e frenatori. Entro la fine dell’anno si appresta a mettere in campo una riforma del lavoro che dovrebbe recepire molte proposte di stampo liberale, e una legge per il riconoscimento giuridico delle unioni civili di netta impronta liberal.

La sfida lanciata da un premier mosso dalla volontà di giocare a tutto campo ha messo in crisi tutti i suoi avversari interni ed esterni al PD. Forza che rischia di trasformarsi in un “partito della nazione” capace di prosciugare il bacino di consensi di un centro-destra lacerato.

Per approfondire gli scenari legati alla centralità di un “Renzi pigliatuttoFormiche.net ha interpellato Giuseppe Caldarola, giornalista di lungo corso già direttore de L’Unità e firma di punta del Riformista, ex parlamentare dei DS e dell’Ulivo.

Matteo Renzi vuole fagocitare le opposizioni in un grande “partito della nazione”?

Un panorama del genere è determinato molto più dagli avversari del leader del Partito democratico che da una sua volontà. Tratto comune alle opposizioni di destra e di sinistra in questa fase è la bandiera della conservazione totale. E al riguardo è singolare che il Movimento Cinque Stelle si sia schiacciato sulle posizioni della minoranza del PD e di SEL, animate dalla spinta a non cambiare nulla.

È un atteggiamento destinato a radicalizzarsi?

Nei prossimi mesi, di fronte al tentativo del premier di compiere scelte cruciali soprattutto nel rapporto con le organizzazioni sindacali, assisteremo alla “ribellione degli scheletri” di chi, pur avendo predicato a lungo l’esigenza del rinnovamento, reagirà in forma selvaggia al primo esperimento reale nella giusta direzione. Nel mondo progressista si sono esaurite le culture scaturite dal filone comunista e post-comunista. Lo conferma una situazione paradossale.

Quale?

Le battaglie odierne di Vannino Chiti e Corradino Mineo per l’elettività del Senato contraddicono le tesi propugnate anni fa da Pietro Ingrao a favore dell’abrogazione della Camera alta.

Quale potrebbe essere l’effetto politico di tale approccio?

Per Renzi si aprirebbe una vera e propria autostrada: la creazione di un grande partito centrale, che non riuscì né a Silvio Berlusconi né a Romano Prodi. Forza che diventerebbe il punto di riferimento di un’Italia che apprezza il semplice tentativo di scuotere l’albero delle riforme. Un progetto che potrebbe essere messo in crisi dagli errori del Presidente del Consiglio. Ma che è nelle cose.

La visione conservativa è prevalente anche nel centro-destra?

Sì. Nel campo conservatore-moderato la spinta liberale-liberista che affascinò milioni di persone, opinion maker e imprenditori non è stata realizzata. E non è stato costruito attorno ad essa nulla con una fisionomia precisa. Il dramma politico di Berlusconi è la mancanza di tale sintesi.

Forza Italia può costituire il motore per un rilancio riformatore dei moderati?

Guardi, per ricordare in chiave positiva Bettino Craxi si pensa al programma di Grande Riforma istituzionale. Per motivare la fortuna e la longevità politica della Democrazia cristiana si citano le sue stagioni riformiste. Forza Italia oscilla tra la deriva Minzolini sul Senato elettivo, il cedimento culturale alla Lega Nord e il ritorno di un capo che non ha più tanto da dire.

Come si può promuovere il rinnovamento radicale del centro-destra?

Noto come da tempo molti esponenti conservatori-moderati propongano il tema delle elezioni primarie di coalizione per scegliere la nuova leadership dello schieramento alternativo al PD. Punto importante, perché mette in campo la prospettiva della successione di un ex Cavaliere fallito sul piano politico.

Le consultazioni aperte sono per natura poco controllabili.

Rendere contendibile la guida dell’alleanza può aprire le porte a tutti gli aspiranti leader e consentire la valutazione di chi è più bravo. Non escludo che emerga un giovanotto o una giovane aggressivi e di spessore. Esattamente come accaduto nel versante progressista. È un processo che richiede però la rottamazione del vecchio ceto dirigente con l’avvento dei trenta-quarantenni, e l’affermazione di idee-forza riformiste. L’unico terreno su cui è pensabile sfidare il premier.

Nutre fiducia nella realizzazione di un percorso simile?

La gara sarà lunga e il centro-destra parte in netto ritardo rispetto al Partito democratico. Tuttavia, quando Renzi si presentò alla ribalta politica nazionale, Berlusconi appariva invincibile. Nell’arco di due anni è cambiato tutto. E il carattere fluido dell’elettorato, per ora parcheggiato nell’area dell’astensione, rende il panorama ancor più imprevedibile.


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