La notizia l’ha trasmessa il Corriere della Sera con un articolo firmato da Stefano Agnoli. La ricerca delle fonti energetiche ha creato una linea di demarcazione del Mare Adriatico.
Un mare diviso in due
Da un lato l’area vicina alle coste di Croazia, Montenegro, Albania e Grecia, che vede un’attività crescente e febbrile per attribuire i lavori di estrazione di gas naturale e petrolio a grandi imprese mondiali. Dall’altro le acque antistanti l’Italia, nelle quali ogni ipotesi di esplorazione è ferma dagli anni Novanta. Per ragioni di tutela ambientale e rischio attinente alla tenuta dei fondali marini.
Una gara ristretta all’area balcanica
Il Montenegro, scrive il giornalista del Corriere, ha lanciato gare internazionali per la scoperta e lo sfruttamento di gas e petrolio nelle proprie acque, a pochi chilometri da quelle pugliesi. E ha peraltro approvato una legge sugli idrocarburi che fissa un prelievo fiscale complessivo pari al 54 per cento dei profitti. L’Albania potrebbe seguire a breve l’esempio. La Grecia ha convocato nei primi giorni di luglio a Londra gli investitori per presentare una gara per le concessioni lungo la costa ionica e mediterranea fino all’isola di Creta.
Alcune tra le più rilevanti compagnie estrattive internazionali, tra cui Eni e Edison, hanno firmato contratti per avviare a partire dal 2018 l’attività dei nuovi pozzi.
La Croazia ha voluto compiere un salto di qualità. La competizione per assegnare i bandi di esplorazione copre tutta la costa, dall’Istria a Dubrovnik. Il governo di Zagabria ha l’obiettivo di concludere gli accordi entro marzo 2015, per mettere in cantiere la ricerca e produzione di energia nell’arco di 3-5 anni. Anche in questo campo è presente la società italiana del Cane a sei zampe.
L’Italia ferma
A fronte di tale dinamismo l’Italia appare paralizzata e impotente. È da oltre vent’anni che l’esplorazione e la produzione di gas naturale nell’alto Adriatico sono vietate a causa dei rischi legati al lento e progressivo abbassamento verticale del fondo marino.
Ne è scaturito un ritardo in un terreno che può rivelarsi strategico per la ripresa economica e il ruolo mondiale del nostro paese. Una lacuna che ha avvantaggiato enormemente nostri antichi e nuovi concorrenti energetici.
Congelando un patrimonio incommensurabile di ricchezze. Anche con la ricerca bloccata potremmo contare su riserve potenziali di 700 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, pari a circa 5 anni di consumi.
Uno scenario paradossale
Al danno, rimarca il Corriere, potrebbe aggiungersi una beffa legata a due ordini di ragioni.
Una parte del gas scoperto e raffinato nei paesi balcanici verrebbe rivenduto nel nostro paese, con evidenti privilegi economici per i paesi produttori. E nell’eventualità di disastro ambientale la sponda e le acque italiane non avrebbero alcuna garanzia di protezione.
Le ragioni di una proposta
Per evitare uno scenario di inesorabile declino sono scesi in campo gli operatori industriali del comparto. Si tratta di 149 imprese attive nella ricerca e produzione di risorse minerarie, di idrocarburi a terra e nel mare, di fonti geotermiche.
Realtà riunite in Assomineraria, organizzazione di Confindustria che ha messo a punto un rapporto trasmettendolo alla Presidenza del Consiglio e al Ministero per le Infrastrutture in occasione della presentazione del decreto legge “Sblocca Italia” ad opera del premier Matteo Renzi.
Le priorità strategiche
La Strategia energetica nazionale approntata dall’Italia nel 2013 – si legge nel testo confindustriale giunto sui tavoli governativi – ha stabilito come priorità la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali, per la sicurezza degli approvvigionamenti e per l’esigenza di ridurre il costo della bolletta.
Un piano ambizioso
Le aziende estrattive hanno identificato 80 nuovi progetti per l’esplorazione e lo sviluppo di idrocarburi liquidi e gassosi. Programmi che possono essere avviati nell’arco di 4-5 anni. Complessivamente, l’investimento previsto è pari a 17 miliardi di euro.
Risorse che riguardano la messa in produzione delle riserve già scoperte, l’attuazione di piani di ricerca per identificare nuovi siti, la promozione di impianti per lo stoccaggio in giacimenti esauriti di gas naturale.
Le aree ove si concentra la gran parte di tali investimenti sono la Basilicata – con utilizzo di fondi per oltre 5 miliardi di euro – la Valle Padana, l’area meridionale della Sicilia, l’Adriatico settentrionale. L’obiettivo è raddoppiare nel giro di 5-7 anni la produzione nazionale di idrocarburi rispetto ai livelli attuali, e prolungare le riserve domestiche almeno fino al 2050.
Le ricadute economiche
L’intervento proposto da Assomineraria prefigura un aumento dell’occupazione diretta e nell’indotto di 100mila unità lavorative annue soltanto per la costruzione degli impianti. Si tratta di attività professionali create in prevalenza da piccole e medie aziende con elevato contenuto di tecnologia e competenze.
Il forte radicamento territoriale delle iniziative industriali costituisce una valida garanzia contro il trasferimento all’estero di attività e risultati scientifici maturati in Italia.
Benefici per il sistema Paese
L’aumento della produzione nazionale di idrocarburi, spiegano gli estensori del documento, si rifletterà in modo virtuoso sul tessuto economico, sui conti pubblici, sulla vita dei consumatori.
Il nostro paese vedrà ridursi del 10 per cento il fabbisogno estero di energia, con un riflesso positivo sulla propria sicurezza energetica. La bolletta energetica subirà una riduzione di oltre 200 miliardi di euro nell’arco di 20 anni.
Nello stesso periodo lo Stato e le realtà territoriali godranno di entrate equivalenti a 60 miliardi grazie alle royalty sull’estrazione e raffinazione, e alle tasse ordinarie e addizionali sul reddito di impresa e sull’indotto degli investimenti.
Un clima favorevole al fare impresa
Per mettere in campo un progetto così ambizioso e di lungo termine le imprese energetiche ed estrattive chiedono al governo di creare un terreno propizio agli investimenti produttivi.
Per l’entità delle risorse prospettate, rilevano gli autori del rapporto, è necessaria una cornice di stabilità fiscale e contrattuale nonché una certezza dei ritorni economici. Poi servono regole giuridiche razionali, inequivocabili, coerenti con gli standard internazionali. Il che comporta il riassetto delle competenze previste dal Titolo V della Costituzione e un titolo unico in tempi ragionevoli per le concessioni al posto delle 32 autorizzazioni oggi vigenti.
Altro punto importante concerne un regime tributario a vantaggio del territorio e degli enti locali coinvolti nella promozione dell’efficienza energetica e della salvaguardia ambientale. E una struttura amministrativa forte, adeguata alla complessità delle attività operative.