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Jobs Act: priorità e auspici di Sacconi sulla riforma del lavoro

Nonostante – o meglio in ragione – della mia non breve esperienza parlamentare largamente concentrata su temi riconducibili alla vita attiva della persona, mi accingo a svolgere la relazione al disegno di legge delega di riforma del lavoro con la sincera emozione di chi auspica si concluda con questo atto un faticoso e contraddittorio percorso avviato nel 1997 con la prima legge consigliata da Marco Biagi e più conosciuta come legge Treu. Iniziava allora, contestualmente ad analoghe iniziative in molti paesi europei sollecitate dalla stessa Commissione, un processo di rinnovamento dei mercati del lavoro nel segno della combinazione tra le esigenze di flessibilità organizzativa delle imprese e quelle di migliore sicurezza delle persone rispetto alla continua occupazione e al reddito da lavoro nel contesto della globalizzazione delle economie. Questa prima legge ebbe il merito di aprire una strada, di spezzare alcuni pregiudizi ideologici come quello del monopolio del collocamento pubblico, di consentire anche in Italia in particolare l’impiego del lavoro interinale anche se, a mio avviso, il trasferimento dei centri per l’impiego dallo Stato alle province non si rivelò una soluzione felice e ha reso difficile fino ad oggi ogni loro effettiva rivalutazione.

Pochi anni dopo, nel 2001, Marco Biagi coordinò con me la redazione di un Libro bianco che descriveva le fragilità di un mercato del lavoro opaco, poco inclusivo, nel quale da un lato le imprese avevano persistentemente, anche in tempi di crescita tumultuosa, contenuto il livello della forza lavoro e la propria stessa dimensione mentre, dall’altro, le persone risultavano lasciate a se stesse nella ricerca di una occupazione con forti divari di genere, di et à e di territorio. Egli indicava in conseguenza la soluzione per un verso nelle flessibilità regolatorie – in entrata e in uscita – del singolo rapporto di lavoro e, per l’altro, in una forte azione pubblica di orientamento, agevole incontro tra domanda e offerta, investimento nelle competenze. Se una cifra prevalente della lezione di Marco Biagi mi permetto di individuare questa si trova nell’importazione del concetto di occupabilità , ovvero della continua autosufficienza della persona nel mercato del lavoro. Il che implica il passaggio dalle tutele rigide e passive ad una sorta di post-moderno articolo 18 consistente nel diritto del lavoratore di accedere alle conoscenze e alle competenze che egli liberamente, anche se utilmente consigliato, ritiene corrispondenti alle sue vocazioni e alle possibilità di occupazione. Non a caso la legge Biagi viene concepita in parallelo alla riforma Moratti del sistema educativo che per prima introduceva la possibilità di opzioni educative di tipo duale in quanto integranti l’apprendimento teorico con i saperi pratici. Il ridisegno dei contratti di apprendistato fu realizzato in conseguenza, così come si pensò di spezzare l’autoreferenzialità di molte istituzioni educative attraverso l’introduzione nelle università e nelle scuole superiori di uffici di placement, ovvero di orientamento e di collocamento fino alla co-progettazione con le imprese di specifici percorsi di apprendimento. Iniziava in quel tempo, peraltro, anche il processo di connessione in rete dei servizi pubblici e privati di accompagnamento al lavoro anche se si presentarono presto gli ostacoli determinati dalla frammentazione istituzionale delle competenze (province e Regioni) e dalle resistenze a rendere interoperabili i sistemi informativi.

Negli anni successivi governi sostenuti da opposti schieramenti si pongono di fatto in continuità con le leggi Treu e Biagi continuando ad operare per una pi ù efficiente organizzazione del mercato del lavoro e delle politiche attive, sempre oggettivamente ostacolata dalla frammentazione istituzionale, e per garantire una pluralità di canali di accesso a partire da una giusta enfasi sul contratto di apprendistato. A quest’ultima tuttavia non è mai corrisposta una altrettanto efficace disponibilità delle Regioni a semplificare modalità e controlli dell’attività formativa. Particolare rilievo assume nel contempo l’attitudine dei datori di lavoro e delle rappresentanze sindacali a dialogare nella dimensione aziendale, a condividere obiettivi, salario aggiuntivo ad essi correlato, servizi di protezione sociale integrativi. Non a caso una norma di legge d à forza alla contrattazione aziendale o territoriale consentendo ad essa anche l’adattamento di discipline disposte dalle leggi o dai contratti nazionali.

Questo percorso si interrompe con la legge n. 92 del 28 giugno 2012 che irrigidisce le modalità di ingresso nel mercato del lavoro elevando a norma i criteri di vigilanza e al contempo non dà certezza ai modi di risolvere i rapporti di lavoro perché rimessi alla discrezionalità di una giustizia che, come ha osservato il Presidente del Consiglio Renzi, si rivela imprevedibile negli esiti, peraltro fortemente differenziati nei territori.

Nel tempo della grande crisi si irrobustiscono straordinariamente le forme di sostegno al reddito ma non migliorano le politiche attive di accompagnamento ad un lavoro anche se non tutte le Regioni sono certamente uguali. Crescono fortunatamente i servizi privati e privato-sociali ma rimangono segmentati e poco attivi i centri pubblici. Per non parlare della formazione che appare diffusamente viziata dalla prevalenza dell’offerta sulla domanda in quanto il finanziamento regionale e comunitario alimenta la sopravvivenza degli operatori invece di determinare virtuosi percorsi di concorrenza nella soddisfazione dei bisogni dei lavoratori.

Potremmo a questo punto dire che il presente disegno di legge delega vuole fare tesoro dell’esperienza di questi anni, delle intuizioni e delle azioni positive come delle asimmetrie e delle contraddizioni, per portare a compimento ci ò che non si è definito con l’equilibrio necessario. Mi riferisco a quella doverosa combinazione tra flessibilità e sicurezza, tra legittima adattabilità dell’impresa alle pressioni competitive e ai cambiamenti tecnologici da un lato e il dovere pubblico di non lasciare solo chi cerca un lavoro, incoraggiandolo ad essere parte attiva sulla base dell’offerta di insistite opportunità , dall’altro. Per questa ragione il disegno di legge è ambizioso ed opera con uno spettro ampio che comprende: la tendenziale universalizzazione dei cosiddetti ammortizzatori sociali su base assicurativa, una virtuale infrastrutturazione del mercato del lavoro attraverso gli strumenti della rete, l’affermazione della centralità della persona mediante il fascicolo elettronico e la sua libera scelta dei servizi che il pubblico sostiene a risultato, la affermazione della rilevanza della famiglia e della maternità con le conseguenti esigenze di conciliazione tra tempi di vita, la riforma di tutto lo Statuto dei lavoratori tranne la parte dedicata ai diritti sindacali, la semplificazione della gestione dei rapporti di lavoro, l’ulteriore razionalizzazione delle attività di controllo ispettivo. Altro che solo articolo 18, sul quale ancora una volta tanta attenzione si concentra! Con questo atto possiamo rinnovare tutto e sarebbe ben paradossale se fosse tutto tranne l’articolo 18.

La Commissione ha svolto un lavoro intensivo pur nei limiti di deleghe che siamo chiamati ad esaminare solo in termini di principi e di criteri di attuazione che hanno impedito la valutazione di misure dettagliate. Avverto il dovere ora di rinnovare all’Aula l’invito ad un confronto sincero ed utile nella misura in cui si colloca nella logica delle deleghe. Dobbiamo ricordare a noi stessi che avremo modo di apprezzare i decreti delegati tanto per il profilo di merito quanto per quello della necessaria copertura finanziaria. Non si sottovalutino in questo contesto gli ordini del giorno perché ove accolti dal governo concorrono ad impegnarne i modi di esercizio della decretazione delegata. Vorrei dire all’Aula che nella Commissione, peraltro, l’accoglimento di significativi emendamenti dell’opposizione ha consentito, almeno così mi è parso, un clima di condivisione degli obiettivi, con la eccezione della riforma dello Statuto dei lavoratori.

Eppure tutto si tiene. Comprensibilmente, da parte di molti, si è lungamente invocata la contestualità delle azioni dedicate ad organizzare un mercato del lavoro pi ù inclusivo e pi ù protettivo nelle fasi di transizione con l’adeguamento delle regole inerenti il rapporto di lavoro. Ora questa possibilità è di fronte a noi. La tendenziale universalizzazione degli ammortizzatori sociali viene qui declinata anche in favore delle collaborazioni, senza per questo disancorarla dalla responsabilità delle persone. La logica rimane infatti assicurativa ed i sussidi sono condizionati alla accettazione delle opportunità lavorative o formative offerte. Certo, non viene compiuta la scelta di un reddito garantito, tutto a carico del bilancio dello Stato e tale da prescindere dalla responsabilità della persona. Sarebbe a mio avviso una trappola della povertà mentre la prima risposta all’indigenza deve rimanere il lavoro. In altra sede il governo si è impegnato all’ulteriore potenziamento degli strumenti di prevenzione e contrasto della povertà che devono agire in termini di ultima istanza e di prossimità .

Davvero rilevanti sono diventati gli strumenti individuati anche nel lavoro di Commissione per rendere il mercato del lavoro efficiente e trasparente. La infelice segmentazione su base regionale e provinciale delle competenze dovrebbe trovare finalmente soluzione attraverso l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione e l’integrazione dei sistemi informativi alla cui base, lo ribadisco, dovrebbe collocarsi un fascicolo elettronico comprensivo di tutti gli elementi riferibili alla vita attiva della persona, dai percorsi educativi e formativi a quelli lavorativi, alle transizioni e ai relativi sussidi, fino al conto corrente previdenziale. Di rilievo anche la ribadita volontà di favorire il conferimento al sistema nazionale per l’impiego delle informazioni relative ai posti di lavoro vacanti.

E’ stata resa ancor più esplicita la scelta della collaborazione-competizione tra servizi pubblici e privati nella gestione delle politiche attive quale può essere sollecitata dalla scelta di dotare il disoccupato, attraverso un contratto di ricollocazione, di un voucher spendibile presso un ente da lui stesso liberamente individuato e poi remunerato solo a risultato. A questo proposito devo richiamare il governo a varare tempestivamente il regolamento cui fa rinvio la norma di legge che già ha introdotto l’istituto del contratto di ricollocazione. Non a caso poi, in questo ambito delle politiche attive, la Commissione ha voluto indicare l’obiettivo di valorizzare le esperienze bilaterali ovvero quelle forme di collaborazione tra rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori che possono concorrere ad ampliare la diffusione, ancora largamente insufficiente, dei servizi al lavoro soprattutto nel Mezzogiorno e in quei segmenti del mercato del lavoro pi ù esposti alle patologie come l’agricoltura e il turismo.

Con la delega di cui all’articolo 3 si vogliono poi semplificare procedure e adempimenti relativi alla gestione dei rapporti di lavoro e a tutta la complessa materia dell’igiene e della sicurezza nel lavoro con un obiettivo addirittura di dimezzamento degli atti. In questo ambito si collocano le modalità più semplici di prevenzione delle cosiddette “dimissioni in bianco” affinché assicurino la certezza della cessazione del rapporto quando il lavoratore ha comportamenti in questo senso concludenti. La Commissione ha qui riaffermato un principio rilevante, quello del divieto per le Pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono già in possesso. Lo stesso regime sanzionatorio dovrebbe risultare semplificato con particolare riguardo alle violazioni formali e agli istituti di tipo premiale.

Alla luce degli obiettivi già declinati si spiega la volontà di cui al nuovo articolo 4 di produrre un Testo unico semplificato delle tipologie contrattuali e del contenuto dei rapporti di lavoro con stretta aderenza al diritto comunitario affinché ci si possa avvicinare ad un mercato del lavoro europeo e non si producano effetti di spiazzamento del nostro paese nel confronti di altri territori dell’Unione. Il governo è delegato ad analizzare tutte le forme contrattuali esistenti valutandone la coerenza con la qualità dell’occupazione e le esigenze della produzione. Ricordo che i modelli contrattuali sono essenzialmente: quello a tempo determinato, quello a tempo indeterminato, quello a tempo modulato, l’apprendistato, il lavoro accessorio e le collaborazioni coordinate e continuative o a progetto. Queste ultime nascono e si sviluppano smodatamente nella seconda metà degli anni ’90 sulla base di una circolare fiscale e Biagi, su esplicita richiesta di una parte del sindacato, non farà altro che darvi regole e tutele divenendone, secondo certo immaginario disinformato, il padre fondatore. L’iniziale vantaggio della minore contribuzione sta venendo meno per cui vale la pena riflettere in particolare sulla persistente utilità di esse. Anche le modalità contrattuali possono in ogni modo concorrere, come è accaduto, all’emersione del lavoro irregolare. Non a caso il governo ha chiesto una delega rivolta a diffondere maggiormente il lavoro accessorio regolabile con buoni prepagati in modo da intercettare quella grande quantità di spezzoni lavorativi che ancora rimangono sommersi.

Il cuore del Testo unico rimane ovviamente la riforma del contratto a tempo indeterminato che credo tutti vogliamo pi ù utilizzato non solo in percentuale su un basso numero di occupati ma soprattutto in valori assoluti. I datori di lavoro invocano norme semplici e certe nell’epoca della massima incertezza. Lo Statuto fu invece redatto nel tempo in cui si presumeva uno sviluppo irreversibile e sostanzialmente continuo secondo modalità produttive tendenzialmente seriali. Questa esigenza delle imprese si deve conciliare con il diritto del lavoratore, nel caso di licenziamento ingiustificato ma non discriminatorio (nullo), alla tutela rappresentata da sanzioni adeguate. Ma già oggi nel nostro ordinamento questa tutela è variamente definita e modulata. Il criterio delle tutele crescenti corrisponde ad una idea di protezione omogenea ma che si incrementa nel tempo per dare valore all’anzianità di servizio. Parliamo infatti qui del contratto a tempo indeterminato che, a differenza dei contratti di inserimento come l’apprendistato, non è segmentabile in due fasi: una con minori tutele e salario perché caratterizzata da graduale integrazione nell’ambiente di lavoro, l’altra a regime.

I criteri di delega relativi poi agli articoli 4 e 13 dello Statuto dei lavoratori vogliono più generalmente rendere la regolazione delle mansioni e delle tecnologie di controllo più coerenti con i nuovi processi di produzione. Non si tratta tanto di incoraggiare il cosiddetto demansionamento quanto piuttosto di consentire mansioni flessibili in relazione ai nuovi modi di lavorare che richiedono comportamenti più duttili, più autonomi, più responsabili. Così come la doverosa tutela della dignità del lavoratore non deve diventare motivo di inibizione per il migliore impiego delle nuove tecnologie incluse le opportunità di telelavoro fin qui trascurate.

Il nuovo Testo unico dovrà in ogni caso porsi in coerenza con la vigente legislazione che riconosce all’imprenditore e alle rappresentanze dei lavoratori, come abbiamo già ricordato, la capacità – entro i principi dell’ordinamento – di adattare la regolazione alle concrete circostanze di tempo, di luogo, di merceologia dell’impresa attraverso accordi sottoscritti nei termini di cui alle intese interconfederali. Semplicità , certezza, sussidiarietà possono essere quindi considerate le linee di redazione del testo organico citato da questo articolo.

Non meno rilevanti sono infine i contenuti di delega di cui all’articolo 5 perché intendono sostenere la famiglia e la maternità attraverso l’estensione delle prestazioni sociali a tutte le lavoratrici madri, l’introduzione del tax credit per le donne lavoratrici con figli minori o disabili, la flessibilità dell’orario lavorativo, il dono solidale di una parte del periodo feriale, la diffusione dei servizi di cura, i congedi parentali.

Il mio auspicio conclusivo è che i tempi di esame da parte di questa Assemblea possano essere quanto più tempestivi e così coerenti con il tempo straordinario che viviamo. Un tempo nel quale a problemi straordinariamente nuovi possono legittimamente corrispondere un rinnovamento delle tradizionali culture politiche ed il pragmatico incontro tra riformismi che pure discendono da diverse matrici.

Per dirla con Tony Blair: Values don’t change. But times do!


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