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Tutte le bizzarrie del film di Sabina Guzzanti sulla “Trattativa”

L’ex presidente della Commissione stragi Giovanni Pellegrino ha parlato di “logica di teatro” che avrebbe ispirato il processo in corso a Palermo sul presunto negoziato tra istituzioni repubblicane e Cosa nostra nel biennio 1992-1993.

Stagione tuttora oscura e sanguinosa che ha fornito spunto per un film: #La Trattativa, scritto e diretto da Sabina Guzzanti, presentato al Festival di Venezia e in uscita il 2 ottobre nelle sale. Una ricostruzione a metà fra il documentario e il racconto cinematografico, che vede un gruppo di attori interpretare mafiosi, agenti dei servizi segreti, alti ufficiali delle forze dell’ordine, magistrati, politici, massoni.

La scintilla del film

L’attrice e regista parte da una serie di interrogativi aperti e nebulosi. “Cosa si intende quando si parla di trattativa? Delle concessioni dello Stato alla mafia in cambio della cessazione delle stragi realizzate all’inizio degli anni Novanta? Di chi ha assassinato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Dell’eterna convivenza fra Cosa nostra e politica, chiesa, forze dell’ordine, logge coperte? Le istituzioni hanno utilizzato gli eccidi del 1992-1993 perché nulla cambiasse, visto che da allora il nostro Paese è rimasto paralizzato e ancorato agli stessi problemi irrisolti”?

Riflessioni destinate ad alimentarsi ripercorrendo la testimonianza del mafioso Gaspare Spatuzza sulla clamorosa montatura creata da apparati istituzionali e polizieschi nel primo processo per l’eccidio di Via D’Amelio. E ascoltando le parole espresse dall’ex responsabile dell’interno Nicola Mancino che afferma di aver stretto la mano a Borsellino ma non ricorda come fosse fisicamente.

L’adesione alle tesi dei pm palermitani

L’approccio laico e dubbioso che sembra animare la realizzazione del film trova però smentita nel trailer ufficiale. Guzzanti, aderendo alle tesi formulate dai magistrati di accusa nel processo in corso a Palermo, è persuasa che il negoziato fra apparati statali e rappresentanti della criminalità organizzata siciliana fu portato avanti. Che fosse guidato da “finalità politiche”, abbia prodotto risultati tangibili e uno sbocco nella famigerata “seconda Repubblica”.

Lo scopo delle stragi

L’accordo avrebbe rinnovato in altre parole l’eterna complicità e connivenza tra pezzi delle istituzioni e malavita mafiosa risalente all’Unità d’Italia.

L’autrice lascia trapelare, nelle parole pronunciate dal personaggio di Vito Ciancimino – l’ex sindaco del capoluogo siciliano affiliato ai clan corleonesi e vicino a Bernardo Provenzano – come le stragi del biennio 1992-1993 fossero funzionali alla creazione di un nuovo equilibrio politico-mafioso e che i boss di Cosa nostra fossero favorevoli a tale passaggio. Dopo il fallimento del progetto coltivato nell’estate 1992, “far nascere un movimento politico nuovo e forte”.

Il ruolo di Berlusconi

La ricerca di nuovi interlocutori politico-istituzionali all’indomani del crollo della prima Repubblica si intreccia con la vicenda giudiziaria che ha coinvolto Marcello Dell’Utri e chiamato in causa Silvio Berlusconi.

Se emerge con eloquenza grottesca la costruzione di rapporti con la “mafia palermitana perdente” capeggiata da Stefano Bontade, un significativo passaggio del film sembra fornire all’ex Cavaliere un elemento di autodifesa.

Nel corso di un’intervista, un mafioso-pentito in incognito spiega che “un aderente a Cosa nostra – associazione seria con un codice preciso – non può avere come amico uno come Berlusconi”.

Il duello Guzzanti-Caselli

Il film, come era prevedibile, ha alimentato polemiche ben prima dell’uscita nei cinema programmata per giovedì 2 ottobre.

La più rovente non riguarda il centrodestra, tradizionale bersaglio dell’autrice satirica. È stato un simbolo della lotta alla mafia come l’ex procuratore capo della Repubblica di Palermo Gian Carlo Caselli a reagire con sdegno alla propria raffigurazione. Condensata nella scena della mancata perquisizione del covo di Totò Riina nel giorno della sua cattura: un magistrato in evidente imbarazzo e nell’assoluta incertezza sul da farsi, alle spalle di una Guzzanti nelle vesti di giornalista inviata sul campo.

Lo sdegno dell’ex procuratore

Rappresentazione che ha spinto Caselli a scrivere in una lettera al Fatto Quotidiano di opera “offensiva, ricca di sviste e omissioni”.

“Raccontare con tecnica da cabaret la pagina grave e oscura della mancata sorveglianza e della mancata perquisizione del covo del boss – osserva – è scorretto. Perché non è responsabilità della Procura. E rischia di far dimenticare gli importanti risultati ottenuti nei 7 anni di duro e pericoloso lavoro dagli uffici giudiziari palermitani, in stretta collaborazione con le forze di polizia”. Risultati, rimarca il magistrato in pensione, che hanno “salvato la democrazia dalle stragi di mafia”.

La replica della regista

All’accusa di ricostruzione tutt’altro che rigorosa e completa Guzzanti ha replicato sempre sul giornale diretto da Antonio Padellaro, ricordando che la ricostruzione rispecchia la versione dei fatti narrati proprio da Caselli anche in sede processuale.

Lungi dal voler metterne in discussione i meriti, la regista gli chiede perché la Procura da lui guidata abbia aperto soltanto nel 2003 – 10 anni dopo i fatti – un’inchiesta giudiziaria sull’operato dei ROS dei Carabinieri capitanati da Mario Mori. Responsabili del mancato controllo. Un’iniziativa assunta “alle spalle dei magistrati”, e che secondo l’ex pm di Palermo Roberto Scarpinato avrebbe costituito “una delle più gravi perdite del patrimonio investigativo degli ultimi anni”.

Ragionamento sviluppato in un’intervista all’Huffington Post, nella quale l’attrice parla di “fiducia cieca di Caselli nei confronti di Mori con cui aveva collaborato nel contrasto delle Brigate rosse a Torino. Fiducia tradita dal militare”, che poi fu assolto per la vicenda.

La metamorfosi dell’Italia

A giudizio della regista, le stragi del biennio 1992-1993 hanno traghettato l’Italia da vecchio Paese corrotto a “Paese corrotto moderno”. Che ha consacrato l’illegalità, e premiato imprenditori – sempre gli stessi – capaci di fare impresa con l’intervento delle banche e di risanare i conti con le risorse pubbliche.

La trattativa Stato-mafia per Guzzanti comprende “una serie di avvenimenti che ha cambiato il corso della nostra democrazia, la cultura e la politica dell’Italia. Nella quale è scomparsa la stessa idea di opposizione, ridotta a involucro vuoto”.

La sintonia con il nuovo Corriere

L’affondo va oltre, e colpisce l’atto “fondativo” della “terza Repubblica” come il Patto del Nazareno.

Rilanciando la critica formulata da Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera, Guzzanti parla di “ennesima trattativa grazie a cui Matteo Renzi realizza le riforme anti-egualitarie fallite da Berlusconi”.

Nelle sue parole è tangibile una contraddizione, che il film non risolve. È possibile far risalire alle stragi dei primi anni Novanta e a un possibile negoziato tra istituzioni e boss mafiosi la radice dell’Italia di oggi?



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