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Tutti i dubbi sul Tfr alla Matteo Renzi

Anticipare su base volontaria la metà del trattamento di fine rapporto nella busta paga mensile dei lavoratori – 100 euro per una persona che ne guadagna 1.300 – per rilanciare i consumi e promuovere la ripresa produttiva. Come se non bastassero le turbolenze provocate dalla riforma del lavoro, Matteo Renzi ha aperto un nuovo fronte caldo nel terreno economico-sociale.

La promessa del premier – compensare la perdita rilevante di risorse per il tessuto di piccole e medie imprese utilizzando i fondi stanziati dalla Banca centrale europea contro la spirale recessiva – non rassicura le voci più critiche.

LE RISORSE

Tra esse spicca l’analisi compiuta da un Corriere della Sera ormai in trincea nel mettere a nudo tutte le carenze dell’iniziativa di Palazzo Chigi.

Il principale giornale italiano evidenzia con Massimo Fracaro e Nicola Saldutti i tre “buchi” prodotti dall’intervento governativo sul TFR: “All’INPS verrebbero a mancare 3 miliardi l’anno, i fondi pensione potrebbero contare su meno risorse e la previdenza integrativa continuerebbe ad avere vita stentata. E le aziende, all’improvviso, si vedrebbero private di una fonte di credito decisiva”.

IL TRATTAMENTO FISCALE

L’altro interrogativo, rilevano gli analisti finanziari, riguarda il regime fiscale previsto per le somme ricevute in anticipo: “Dovrà essere vantaggioso come quello attuale, non potrà essere cumulato con gli altri redditi da lavoro gravati da un’imposizione tributaria pesante. Altrimenti l’unico a guadagnarci sarebbe il Fisco e non i consumi”.

IL GIUDIZIO DI MERLETTI

A spiegare attraverso cifre eloquenti gli effetti controproducenti della manovra ideata dal Presidente del Consiglio è, sempre sul quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli, il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti, oggi alla guida di Rete Imprese Italia.

L’ammontare complessivo delle liquidazioni maturate dai lavoratori del nostro paese è pari a 25 miliardi l’anno: 5,2 vanno ai fondi pensione, 6 all’Istituto nazionale di previdenza sociale, 14 restano “parcheggiati” nelle casse delle aziende. Le quali considerano tali risorse essenziali per proseguire la propria attività produttiva attraverso investimenti e ricerca.

Rimarcando come il trasferimento di fondi dalla BCE alle PMI non si sia mai visto, Merletti teme che l’operazione serva ad alleggerire a spese delle aziende l’onere statale della manovra degli 80 euro: “Una volta che il TFR finisce nello stipendio, una fascia significativa di popolazione riceverebbe una retribuzione superiore al tetto per il riconoscimento del bonus fiscale”.

LA POSIZIONE DI UNIMPRESA

Il Centro studi di Unimpresa si spinge oltre, parlando di 5,5 miliardi di liquidità a rischio per il tessuto economico. “Che non compenserebbe le perdite finanziarie con il ricorso al credito bancario, notoriamente costoso o inaccessibile. E in ogni caso più elevato rispetto al tasso che le aziende riconoscono ai dipendenti al momento del pagamento delle liquidazioni”.

LA VALUTAZIONE DELLA CGIA

Annualmente, precisa l’Ufficio studi della CGIA di Mestre, l’eventuale anticipazione del 50 per cento del TFR potrebbe costare alle piccole imprese un importo che oscilla fra i 3 e i 30mila euro. Peraltro, osserva il presidente Giuseppe Bortolussi, sono pochi oggi gli imprenditori che potrebbero disporre delle risorse necessarie per il trasferimento: “E la scarsità di denaro non è certo un incentivo a elargire prestiti a soggetti a rischio insolvenza”.

L’ANALISI DI BRAMBILLA

Un allarme ulteriore è lanciato da Alberto Brambilla, esperto di previdenza e sottosegretario al Welfare nel governo Berlusconi 2001-2006. A suo giudizio la liquidazione rappresenta una ricchezza preziosa soprattutto a fine carriera.

“Con le pensioni che in media raggiungono il 60 per cento del salario – rileva – esso costituisce una spinta formidabile a creare una robusta previdenza complementare. Ed è cruciale per chi resta senza lavoro”.

L’OSTILITA’ DEI SINDACATI

Forte avversione alla proposta del premier è manifestata anche dalle organizzazioni sindacali. La leader della CGIL Susanna Camusso ricorda come “gli annunci roboanti di Renzi coinvolgano soldi già appartenenti ai lavoratori”, e rifiuta di parlare di aumenti salariali o bonus finanziari.

Mentre il segretario aggiunto della CISL Anna Maria Furlan, designata alla successione di Raffaele Bonanni, spiega che l’anticipo della liquidazione non verrà più utilizzato al momento del pensionamento e per la previdenza complementare. E mette in guardia Palazzo Chigi dal tassare il TFR come lo stipendio.

IL COMMENTO DI CAZZOLA

Ragionamento sviluppato da un altro studioso di lavoro e previdenza, per quasi 30 anni in ruoli di vertice nella confederazione di Corso d’Italia.

Giuliano Cazzola giudica errato “sprecare una risorsa tanto importante per l’auto-finanziamento delle aziende e per le esigenze fondamentali nella vita dei lavoratori: pensione, casa, salute”.

LE OPPOSIZIONI

Bocciatura e scetticismo accompagnano in forma trasversale la reazione del mondo politico. Puntando il dito contro una “misura demagogica”, il leader Cinque Stelle Beppe Grillo scrive che “togliere il TFR alle imprese vuol dire metterle in mutande e costringerle a rivolgersi al credito bancario per finanziarsi”.

Ricordando come fin dal 2006 la liquidazione destinata alla previdenza complementare aiuti le persone che con il metodo contributivo percepiranno pensioni basse, la vice-presidente di Forza Italia a Montecitorio Mariastella Gelmini parla di “gioco di prestigio per offrire al lavoratore la sensazione di essere più ricco oggi mentre diventa più povero domani”.

Restia ad ammettere che il provvedimento possa stimolare la propensione al consumo, la parlamentare “azzurra” paventa l’evidente svantaggio per le aziende che vedrebbero ulteriormente ridotta la loro liquidità”.

PERPLESSITA’ NELLA MAGGIORANZA

Critica la valutazione prevalente tra le forze di maggioranza. Il Nuovo Centro-destra chiede per bocca di Fabrizio Cicchitto un approfondimento del tema.

E nel Partito democratico Pier Luigi Bersani richiama alla cautela “quando ci si mangia oggi le risorse di domani”. Meglio e più strategico, agli occhi dell’ex leader del Nazareno, incentivare chi investe per sé e i figli sulla vita che si allunga.

LE CONDIZIONI DI PASSERA

Le uniche voci favorevoli al progetto prefigurato da Renzi provengono al di fuori del Parlamento.

Fautore, fin dal suo ingresso nell’agone politico, dell’idea di trasferire su base volontaria il trattamento di fine rapporto in busta paga per una mensilità all’anno è il fondatore di Italia Unica Corrado Passera. Ma a una condizione irrinunciabile: “Nessuna tassa o contributo sulle risorse”.

Riguardo agli eventuali problemi di liquidità per le imprese, l’ex ministro per lo Sviluppo economico ricorda che grazie al Fondo centrale di garanzia le aziende possono ricevere prestiti bancari coperti da garanzia statale.

SINTONIA TRASVERSALE

Parole che rivelano una singolare consonanza con il leader della FIOM Maurizio Landini. Il quale a marzo affermava che “permettere ai lavoratori di scegliere se tenere o meno il TFR in busta paga è un primo passo per premiare i redditi bassi. Perché una persona può averne bisogno durante la propria vita, non quando va in pensione”.


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