Finalmente Ignazio Marino c’è l’ha fatta. Il sindaco di Roma, dopo anni che opportunisticamente sfila un giorno accanto al Papa e uno accanto ai gay, ha preso una posizione politica definitiva. Ha deciso di buttarsi tutto da un lato. Peccato sia quello sbagliato. È giunta notizia stamani che il Campidoglio ha registrato per la prima volta sedici matrimoni omosessuali. Sebbene anche i protagonisti sappiano bene che la trascrizione non ha alcun effetto giuridico, ovviamente il significato della cosa è chiaro e l’atto politico solenne.
La polemica è immediatamente impazzata. Marino ha precisato che il veto del ministro degli Interni Angelino Alfano, il quale la settimana scorsa aveva spedito una circolare ai prefetti, invitandoli ad intervenire per vietare queste iniziative illegali dei sindaci, non ha per lui alcun valore. Anzi, si tratta di una battaglia sacrosanta per i diritti di tutti contro la discriminazione di pochi.
Alfano ha replicato, giustamente, che la firma del sindaco non può sostituire la legge, e soprattutto non può trasformarsi in atto di legge. Ovviamente nessuna conciliazione è possibile tra le due posizioni. E le piazze si sono scaldate con manifestazioni pro e contro Marino. Il prefetto di Roma ha definito illegittime le iscrizioni, e ovviamente il Vicariato ha diffuso una nota in cui si denuncia la scelta ideologica e demagogica del sindaco.
Bene. Al di là di qualsiasi opinione etica personale, è possibile seguire un doppio tipo di ragionamento sulla materia. Il primo riguarda appunto il criterio di valutazione della legalità che Marino vanta di trasgredire. Ci sono tante cose che non piacciono, non in ultimo pagare la tassa sulla casa, ma ognuno di noi è diligentemente andato a compiere il proprio dovere di contribuente del fisco giovedì scorso, perché così impone la legge. È la regola della democrazia. Si lotta per fare leggi giuste, ma si rispettano quelle in vigore, anche se non piacciono. Il contrario o è dittatura o criminalità.
Nel caso di un sindaco, io credo che quando viene compiuto un atto palese come questo di uscita dalla legalità sia giusto chiedere e ottenere le immediate dimissioni. Anche perché si unisce, alla gravità del reato, l’abuso di potere che si accompagna all’esercizio amministrativo del primo cittadino.
Poi vi è un secondo tipo di ragionamento che riguarda invece non il merito della questione, ma il valore di uguaglianza che si intende far valere in tal modo. Chi ha stabilito che la pretesa di avere tutti gli stessi diritti sia una cosa necessariamente giusta in ogni caso?
La libertà di possedere armi da fuoco, ad esempio, tanto per citare una caso che vede il sottoscritto assolutamente contrario, per un civile non è affatto un diritto immediato, almeno in Italia. Bisogna avere il porto d’armi, che viene concesso secondo le situazioni personali, o far parte della pubblica sicurezza. Anche altri diritti più sostanziali non sono universali. Pensiamo ai diritti sindacali, diversi secondo i contratti, o ai privilegi che hanno le cariche istituzionali, negati a tutti gli altri. Nello specifico la legge stabilisce i criteri d’identità che una coppia deve avere per contrarre un matrimonio. Vale a dire che due persone siano di sesso diverso, che non abbiano già in atto un altro matrimonio civile valido, e così via.
È chiaro, insomma, che sventolare la bandiera dell’uguaglianza, in questo preciso contesto, è insensato, se non altro perché sposarsi non è un diritto universale, ma una prerogativa che la legge regola secondo criteri ritenuti validi per averne l’idoneità. Domani se qualcuno volesse una registrazione matrimoniale della poligamia, come potrebbe Marino negarla, visto che dice che sposarsi è un diritto ugualitario?
Stiamo bene attenti, quindi, a non cadere in paradossi dagli esiti imprevedibili e pericolosissimi.
Oltretutto, qui vi è anche la questione di merito. Bisognerebbe chiedere a Marino che cosa significa per lui il matrimonio. Perché oggi qualsiasi persona può tranquillamente convivere e fare tutto quello che vuole nella propria vita privata e pubblica. Non viviamo certo in uno Stato di polizia, ma semmai in una società licenziosa e secolarizzata, nella quale un genitore ha difficoltà di spiegare ai figli minorenni le impudicizie e lo sconcio che si vedono per strada.
Sposarsi civilmente o non ha alcun valore, dunque, oppure serve al fine di una certificazione pubblica di diritti che non riguardano i coniugi ma i figli che eventualmente scaturiscono dal matrimonio. La tutela legale dei nascituri impone dei doveri che i contraenti accettano reciprocamente con gli annessi obblighi di eredità. Due persone dello stesso sesso non hanno oggettivamente accesso a questo atto legale perché biologicamente sono impossibilitati a procreare. Questo lo stabilisce il diritto naturale, cioè la biologia, non la Chiesa Cattolica o la Costituzione Italiana.
Se, pertanto, due omosessuali o due conviventi qualsiasi dello stesso sesso, e perché non tre, ritengono di farsi assistenza tra di loro in caso di malattia, oppure vogliono lasciarsi in eredità i beni in caso di morte, allora dovrebbero battersi per introdurre maggiore disponibilità testamentaria, cambiando le norme civili sulla successione, non andando a scimmiottare e a simulare in modo offensivo un atto matrimoniale che veramente non c’entra proprio niente con tutta questa ridicola manfrina.
Caro Marino, ma che ti sei messo a fare! Con tutti i problemi che ha la città di Roma, sofferente tra viabilità, sporcizia e sicurezza poco garantita e male, come si fa a ritenere che sia una priorità fare l’avvocato di cause perse, illegali e in contrasto con la dignità, il prestigio e la tradizione religiosa della Città Eterna?
Spesso l’uguaglianza è fuori luogo. Quasi sempre, se applicata a diritti diversi tra loro, un’ingiustizia. L’equiparazione delle nozze gay con il matrimonio costituzionale è, invece, molto, molto di più. È il colmo dei colmi.