Il progetto proposto da Matteo Renzi nella recente Direzione del Partito democratico – conferire il premio di maggioranza previsto nella futura legge elettorale alla lista anziché all’alleanza più votata – prospetta una dinamica di tendenziale bipartitismo.
L’idea renziana punta infatti a favorire la formazione di governi coesi formati da un’unica forza politica e affrancati dalla zavorra dei negoziati logoranti tipici degli esecutivi di coalizione. Ma rischia di prefigurare una “democrazia asimmetrica” egemonizzata da un Partito democratico perno delle istituzioni e fortemente penalizzante per le possibilità di una radicale alternativa.
La legge ad hoc per un “Pd americano”
Il progetto è stato concepito per realizzare l’idea di un Nazareno a vocazione maggioritaria, mettendolo in grado di governare in piena autonomia dai vincoli di trattative sfibranti con gruppi alleati.
E l’ulteriore cambiamento suggerito dalla responsabile per le Riforme Maria Elena Boschi – elevare la soglia di consensi necessaria per far scattare il bonus al primo turno evitando il ballottaggio – mira ad affrancare il partito vincente dal peso e fermenti della propria minoranza.
Liberare il Nazareno dalle insidie interne
È fin troppo evidente l’aspirazione a un Pd finalmente libero dall’influenza della sinistra interna. Una forza modellata “a immagine e somiglianza del Presidente del Consiglio” anche grazie alla previsione di liste bloccate per buona parte dei parlamentari. Capace in tal modo di ridurre il ruolo della minoranza del Nazareno, al punto di spingerla al di fuori dei suoi confini. Con il risultato di stimolare al proprio esterno l’aggregazione di tutte le componenti e i filoni che si richiamano al socialismo ortodosso e che hanno aderito con slancio alla manifestazione della Cgil.
Un centro-destra marginale
Se è palese la volontà di garantire nelle prossime elezioni politiche la maggioranza schiacciante a un Partito democratico privo di avversari – come confermano il responso del voto europeo di maggio e tutte le rilevazioni demoscopiche – resta un mistero la ragione per cui le forze del centro-destra dovrebbero fornire il loro via libero alla riforma. Tanto più considerando lo scenario frammentato e conflittuale del panorama politico conservatore-moderato.
Già la sua laboriosa ricomposizione era ritenuta poco competitiva e ben lontana – 30 per cento al massimo – rispetto alle cifre registrate dalla formazione guidata dall’ex sindaco di Firenze. Adesso che la ricostituzione della Casa delle libertà in forma rinnovata appare un miraggio, nessuna sfida alla pari con il Nazareno è pensabile.
Lungi dall’approdare a una dinamica bipartitica aperta e imprevedibile tra piattaforme alternative, l’Italicum nell’ultima versione Renzi-Boschi costituisce lo strumento ideale per confinare pianeti e satelliti della galassia di centro-destra in un ruolo marginale e poco incisivo nell’agenda istituzionale.
L’adesione dell’ex Cavaliere
Convinto che Forza Italia possa costituire il fulcro di una proposta competitiva dal punto di vista elettorale – con o senza partner come Lega Nord e Fratelli d’Italia – Silvio Berlusconi ha promosso il progetto di modifica. Attribuire il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, ha spiegato allo stato maggiore degli “azzurri”, può rappresentare una grande opportunità: “Perché si farebbe un deciso passo avanti verso il bipolarismo evitando il frazionamento del voto”.
Ragionamento sviluppato in un’intervista al Giornale: “Meglio che governi un solo partito. L’ho sempre sostenuto. Se penso a quello che ho dovuto sopportare con Fini, Casini e Bossi quando ero a Palazzo Chigi…”. L’ambizione dell’ex Cavaliere – pur velleitaria nel breve-medio termine – è rendere la sola Forza Italia il nucleo promotore di una grande forza a vocazione maggioritaria allargandone i confini a filoni ed esperienze esterne.
Il no di Verdini
Più realistica e cruda nell’analisi la riflessione di Denis Verdini, plenipotenziario di Fi nel confronto sull’Italicum. Il quale ritiene “esiziale” per gli “azzurri” il premio alla lista più votata. Il giudizio di Verdini si evince da un retroscena firmato sabato scorso da Francesco Verderami sul Corriere della Sera e approfondito ieri con ulteriori dettagli dal cronista Tommaso Labate sempre sul quotidiano di via Solferino.
È vero che il meccanismo di voto approdato a Palazzo Madama garantisce, grazie a un impianto proporzionale, rappresentanza e visibilità a Forza Italia. E che a suo giudizio è di gran lunga preferibile a un possibile ritorno al Mattarellum: spettro ricorrente nei pensieri di tutte le formazioni in declino visto che con la logica dei collegi maggioritari produrrebbe l’effetto di un uragano politico portando nelle Camere un’esigua manciata di parlamentari.
Ma è evidente che una gara ristretta a singole liste anziché a coalizioni ridurrebbe Fi – in caduta libera in tutti i sondaggi – al rango di sparring partner relegandola a un mortificante terzo posto alle spalle di Pd e Movimento Cinque Stelle.
Il conflitto in casa azzurra
La mancanza di tale consapevolezza da parte di Berlusconi e le sue ripetute acrobazie politiche in tema di legge elettorale avrebbero spinto Verdini, secondo il Corriere della Sera, a preannunciare il proprio disimpegno dal ruolo di ambasciatore e tessitore “azzurro” nel negoziato sulle nuove regole di voto.
Il consenso di Ncd
Ancor più clamoroso il consenso riservato alla proposta Renzi-Boschi dal Nuovo Centro-destra. Formazione impegnata nella faticosa costruzione di una Costituente Popolare di impronta moderata con le forze centriste che appoggiano il governo. E che rischia di venire spazzata dalla competizione tra liste a vocazione maggioritaria prefigurata nell’eventuale cambiamento della legge elettorale.
Ciò nonostante Angelino Alfano è pronto ad accettare il premio di lista: “È uno strumento che può fotografare il quadro frastagliato della politica italiana”, rimarca il capo del Viminale. Il quale sembra contraddirsi evidenziando che il Pd da solo rappresenta la sinistra, Beppe Grillo guida un suo movimento che vale come una coalizione, mentre il centro-destra è troppo frammentato”.
Un listone Pd-moderati?
Frantumato e lacerato da fratture difficilmente componibili. Tanto che l’orizzonte della sua ricostituzione unitaria è stato escluso con nettezza dai responsabili di Ncd. A partire dal coordinatore nazionale Gaetano Quagliariello, che si spinge anzi a prospettare un “rapporto organico di governo con il Partito democratico” ben oltre il limite temporale del 2018.
La chiave della risposta favorevole del ministro dell’Interno alla modifica dell’Italicum si può trovare nella riflessione che il costituzionalista Vincenzo Lippolis ha affidato a Formiche.net. Lo studioso ipotizza lo scenario di un “listone unico” capeggiato dal Nazareno e comprendente tutta l’area moderata che attualmente supporta l’iniziativa dell’esecutivo: Nuovo Centro-destra, Unione di Centro, Popolari per l’Italia, Scelta Civica. Forze che una volta entrate in Parlamento tornerebbero a marcare la propria identità creando un gruppo autonomo distinto dal Pd.
Un’iniziativa discutibile
L’escamotage permetterebbe loro di ancorarsi al “cavallo elettorale vincente”, contare il proprio consenso e salvaguardare se stesse nelle istituzioni.
Le incognite sono legate alla soglia di voti prevista per l’ingresso nelle Camere. Accesso tutt’affatto scontato se il paletto dovesse restare fissato al 4,5 per cento dei consensi.
Peraltro è poco probabile che il Pd di Renzi contraddica così apertamente la limpidezza della propria vocazione maggioritaria regalando l’ancora di salvataggio a gruppi minoritari con un’operazione degna del trasformismo post-unitario.
Il protagonismo dei penta-stellati
L’unica realtà che potrebbe ricevere vantaggi politici dal progetto di correzione dell’Italicum è il Movimento Cinque Stelle. Forza che difficilmente potrebbe contendere al Pd di Renzi la conquista del premio di governabilità, alla luce del divario di quasi 20 punti percentuali rilevato nelle elezioni per il Parlamento europeo.
Ma che, nel panorama di “democrazia asimmetrica” fondata sulla centralità egemone del Nazareno e priva di uno sbocco alternativo nel versante di centro-destra, può ambire al ruolo di antagonista mediatico del Partito democratico.
Soprattutto nell’eventualità di un ballottaggio che farebbe convogliare sui penta-stellati i voti dell’area populista del mondo conservatore, ostile ai vincoli europei e all’immigrazione incontrollata, e del mondo progressista ostile alle riforme liberali del premier.
L’antagonista del Pd
Al contrario di quanto si temeva alla vigilia del voto per l’Assemblea di Strasburgo appaiono remote le possibilità di una vittoria della formazione animata da Grillo. Fantasma che in primavera aveva contribuito al clamoroso rallentamento della marcia dell’Italicum in Parlamento.
Al M5S verrebbe riservata la palma di “miglior perdente” e di seconda forza partitica nazionale. Nelle condizioni attuali l’ipotesi più lusinghiera di fronte alla “corazzata Pd”. La possibilità di godere di una buona rendita elettorale nell’attesa di costruire un programma più robusto e persuasivo troverebbe un forte punto d’appoggio.
Una singolare sintonia
La più recente proposta di legge elettorale presentata dai Cinque Stelle per voce del vice-presidente della Camera dei deputati Luigi Di Maio prevede infatti un proporzionale con ballottaggio tra le due liste più votate al primo turno.
Sfida che verrebbe attivata se nessuna formazione raggiungesse la metà più uno dei suffragi, e che porrebbe in palio un bonus di governabilità del 52 per cento dei seggi parlamentari. Testo che rivela una profonda consonanza con la filosofia della proposta Renzi-Boschi.