Teheran e il gruppo dei cinque più uno – Cina, Usa, Francia, Russia, Regno Unito e Germania – hanno fallito lo sforzo diplomatico per un’intesa entro ieri sera, dandosi invece altri sette mesi di tempo per trovare un accordo sul nucleare iraniano.
I partecipanti al negoziato cercheranno un’intesa di massima entro l’1 marzo e una di dettaglio entro l’1 luglio, per affrontare le numerose questioni ancora da discutere e risolvere e che necessitano di un cambio di passo.
“L’Iran deve scegliere tra l’isolamento e una rinascita“, spiega in una conversazione con Formiche.net il fisico David Albright, già ispettore dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) esperto nucleare e presidente dell’Institute for Science and International Security di Washington.
I NODI DA SCIOGLIERE
Ancora molti i nodi da sciogliere, due in particolare: Teheran è pronta a rispettare l’accordo sullo stop all’arricchimento dell’uranio al 20%, soglia critica per procedere alla fabbricazione di una bomba atomica, ma è intenzionata a continuare a produrre combustile per le proprie centrali nucleari; e le sanzioni, che l’Iran vorrebbe immediatamente veder cancellate per rimettere in moto l’economia del Paese.
L’OBIETTIVO PRINCIPALE
Per Albright è importante tenere conto dell’impatto regionale di un accordo, ma “non bisogna tuttavia distogliere lo sguardo dall’obiettivo principale del dossier, che rimane la non proliferazione di armi di distruzione di massa“.
UN ACCORDO WIN-WIN
Gli Usa, spiega l’esperto, perseguono una soluzione win-win, che consenta, ai Paesi occidentali da un lato e a Teheran dall’altro, di ottenere i risultati attesi. Dal punto di vista di Washington, “gli obiettivi da raggiungere per poter parlare di un buon accordo sono essenzialmente due: porre di limiti alla possibilità di Teheran di fabbricare l’atomica in tempi brevi, dando così alla comunità internazionale il tempo di reagire in caso di violazione degli accordi; e tracciare una roadmap che consenta di misurare i progressi del disarmo nucleare del Paese, senza dare nulla per scontato e non allentare le sanzioni in mancanza di risultati“. Anche in presenza della giusta volontà politica, per l’esperto, che col suo think tank segue soprattutto il tema della proliferazione nucleare, “ci sono ancora molti aspetti tecnici che vanno ancora affrontati“. Si sa molto, ad esempio, della volontà iraniana di dotarsi del nucleare civile, ma “è fondamentale sapere anche se la Repubblica islamica aveva in passato un programma di armamento nucleare“.
MEGLIO PRENDERE TEMPO
In sintesi, per Albright, in sintonia con la linea espressa dal segreterio di Stato americano, John Kerry, meglio aspettare. “Chiudere in fretta sarebbe l’ideale, ma continuo a credere che sia meglio un negoziato più lungo, ma efficace, che una falsa vittoria“. Una escalation delle tensioni “non è nell’interesse di nessuna delle parti“. Ecco perché, secondo l’esperto, la proroga dei negoziati, che potrebbero riprendere il mese prossimo, non è un fallimento, “se consente di superare alcuni ostacoli essenziali“. Gli Usa “possono fare molto per convincere Teheran che non c’è bisogno di avere un’arma nucleare per vedere garantita la propria sicurezza nella regione. Da Teheran debbono però giungere segnali concreti di apertura, in primo luogo rispetto alle ispezioni internazionali. Se l’Iran si apre al mondo, anche il mondo farà altrettanto“.