Il grande assente è stato Gianni Alemanno. Che si è autosospeso dal partito. Alla prima kermesse dopo lo scoppio dello scandalo sulla cosiddetta “mafia capitale”, con l’avviso di garanzia per associazione a delinquere di stampo mafioso che ha raggiunto l’ex sindaco, la destra romana fa i conti con se stessa. E con quello che ha rappresentato negli ultimi vent’anni di vita politica.
Dalla svolta di Fiuggi alla nascita di An, dagli anni a Palazzo Chigi con Berlusconi alla rottura col Cavaliere fino alla diaspora di Gianfranco Fini e alla creazione di Fratelli d’Italia, movimento cucito su misura addosso a Giorgia Meloni. Una storia segnata da due momenti fondamentali: la vittoria di Francesco Storace nel Lazio alle Regionali del 2000 e quella di Alemanno a Roma nel 2008. Storace fu poi imputato nella vicenda Laziogate e assolto in appello. Alemanno è oggi inquisito insieme ad alcuni suoi uomini di fiducia.
All’appuntamento di Fratelli d’Italia al Teatro Quirino di Roma, ieri, non c’era nessuno dei due: il primo non ne fa parte e il secondo, dicevamo, si è autosospeso. In compenso c’era sua moglie, Isabella Rauti, che ha ricevuto molti attestati di solidarietà da una platea su cui aleggiava il fantasma dell’inchiesta di Pignatone. Perché se è vero che l’indagine colpisce anche a sinistra, è anche vero che sotto accusa è finita la destra romana con il suo mondo di relazioni di potere che ha governato la Capitale per cinque anni. E infatti la Meloni ha affrontato subito l’argomento: “Non ci facciamo trascinare nel fango da questa storia di impicci e ruberie, che riguarda molto più la sinistra di noi”, dice dal palco. “I media si sono fatti fregare dal fatto che Carminati è un ex Nar, ma l’indagine riguarda il sistema delle coop rosse nella Capitale. La “29 giugno” ha preso 66 appalti da Veltroni e ha portato i Rom a votare alle primarie per Marino”, aggiunge. E ancora: “Noi potremmo avere la responsabilità politica di non aver spezzato questo sistema di potere, ma Alemanno ne uscirà pulito. Tutti quelli che lo conoscono sanno che non si è arricchito”.
Se dal vertice arriva una difesa d’ufficio – nei conciliaboli le stesse parole vengono pronunciate da Ignazio La Russa e Fabio Rampelli –, la platea però si divide. Perché laddove per molti anni si sono sventolate le bandiere di “law and order”, un avviso di garanzia per mafia brucia assai. “Che la giunta Alemanno sia stato un fallimento è sotto gli occhi di tutti, altrimenti non avrebbe perso con Marino. Gianni si è fatto stritolare logiche del potere e non ha lasciato segno in città. Ma quelli prima di lui non hanno fatto meglio e ora bisogna lasciare ai magistrati il compito di accertare le sue responsabilità”, osserva un delegato di Ciampino. “Avrà pure fatto degli errori nella scelta degli uomini, ma dargli del mafioso è un insulto all’intelligenza dei magistrati”, risponde un militante di Roma centro.
Qualcuno ricorda anche che Alemanno in Fdi era arrivato da poco. “La destra romana quando è stata al potere, anche con Storace e Polverini, non ha fatto una gran figura. Va ripensata e rifondata. E forse Giorgia è la persona giusta”, sostiene un aderente di Roma Nord, luogo nevralgico della destra capitolina. La zona dove Massimo Carminati si muoveva con disinvoltura. Ma c’è anche chi, mentre la Meloni annuncia la sua disponibilità a candidarsi a sindaco “appena Marino cadrà”, si aspettava una maggiore autocritica da parte della giovane leader. “Dell’inchiesta non mi frega nulla, ma noi tutti, con Alemanno, abbiamo avuto un’occasione irripetibile per dimostrare la nostra diversità e l’abbiamo sprecata. Di fronte a un fallimento politico così grande non basta dire che la sinistra è peggio di noi, ma occorre una riflessione profonda su cos’è oggi la destra italiana e quali sono i suoi obbiettivi”, afferma Gioenzo Renzi, ex consigliere regionale emiliano. Colui che, con le sue denunce, fece scoppiare il caso “Terre emerse”, che portò alle dimissioni di Vasco Errani. Anche in quel caso uno scandalo legato al mondo delle cooperative.