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Eni e Tempa Rossa, così Renzi vuole sconfiggere l’estremismo ambientalista in Puglia

Il governo avrebbe intenzione, introducendo un emendamento alla legge di stabilità, di consentire l’effettiva attuazione del Progetto “Tempa Rossa” e soprattutto della sua sezione terminale riguardante l’area di Taranto, ove – all’interno della raffineria dell’Eni – si dovrebbero costruire due serbatoi di stoccaggio della capacità complessiva di 180mila metri cubi per conservare il greggio proveniente dall’area estrattiva di Corleto Perticara in Basilicata e destinato, dal raggruppamento Total, Shell e Mitsui che lo estrarrà all’esportazione e non alla lavorazione presso l’impianto di raffinazione tarantino.

Nel porto del capoluogo ionico pertanto si dovrebbe allungare il pontile dell’Eni per consentire l’attracco di circa 90 navi cisterne l’anno – in aggiunta a quelle che già vi arrivano per scaricare il greggio al sito dell’Eni e per caricarvi la virgin nafta per la Versalis di Brindisi – che dovranno trasferire il petrolio ai mercati di destinazione.

Descritto nella sua essenzialità il Progetto, è opportuno però ricordare che l’opposizione all’attuazione della sua parte riguardante l’area di Taranto è stata ed è tuttora una delle trincee più avanzate dell’estremismo ambientalista locale, strenuo contestatore di quanto previsto nell’investimento, nonostante il progetto definitivo delle opere per lo sviluppo del giacimento sia stato approvato con delibera del Cipe n.18 del 23 marzo 2012 ed abbia ottenuto tutte le autorizzazioni previste dalle Autorità competenti.

Ma c’è di più: quel progetto – che punta ad estrarre a regime 50mila barili di petrolio al giorno in Basilicata,  trasferendolo con l’oleodotto che già collega l’altro grande polo estrattivo dell’Eni in Val d’Agri a Taranto – realizzerà investimenti per circa 1,6 miliardi di euro totalmente autofinanziati, dei quali 1,3 concentrati in Basilicata e 300 nella zona di Taranto. Grazie a tali importi questo progetto è stato segnalato dal Ministero dello Sviluppo Economico come il principale programma privato di sviluppo industriale attualmente in corso in Italia, ed è significativo che questo primato si stia conseguendo proprio in due regioni del Sud come Basilicata e Puglia che, invece, da certa pubblicistica vengono spesso presentate con tutto il Mezzogiorno come aree a rischio di desertificazione industriale.

Già fervono i lavori in Basilicata ove nella zona di Corleto Perticara sarà realizzato un Centro Oli nei cui impianti si realizzerà il primo trattamento del petrolio e i cui prodotti saranno greggio, gas metano, GPL e zolfo. Sono già 150 gli operai e i tecnici al lavoro delle 10 aziende impegnate nei lavori, tutti eseguiti – è bene rilevarlo – con tecniche costruttive molto avanzate per rispettare l’ambiente come ampiamente documentato dalla Total in un ricco materiale informativo messo a disposizione dei media e dell’opinione pubblica.

A Taranto invece nella fase di cantiere si creeranno a regime circa 300 posti di lavoro per 300 milioni di investimenti che darebbero respiro alle aziende impiantistiche locali se queste, com’è auspicabile, si aggiudicassero i lavori in esclusive logiche di mercato.

Ma sempre nel capoluogo ionico è stato di recente il Consiglio Comunale ad approvare una deliberazione di opposizione al progetto con motivazioni che, in realtà, non hanno considerato sino in fondo tutte le garanzie ambientali, produttive e occupazionali che l’Eni, partner logistico del progetto, e la Total sarebbero state in grado di fornire. Si è cercato in tutti i modi da parte delle aziende di arrivare a dibattiti pubblici con gli ambientalisti che si sono arroccati sulle loro posizioni e con i quali purtroppo il confronto non è mai pervenuto ad un serrato ma civile raffronto di dati e di reciproche documentazioni, ma solo a sterili contrapposizioni senza dibattimento da parte degli ecologisti.

Ultimo elemento di valutazione dell’importanza dell’investimento: esso è realizzato da tre multinazionali petrolifere (Total al 50% e Shell e Mitsui con un 25% a testa) assistite dai rispettivi Governi che, attraverso le loro ambasciate, avevano interessato la Presidenza del Consiglio, chiedendole di accelerare le procedure per l’esecuzione delle opere soprattutto quelle della parte terminale del progetto, dal momento che riuscivano incomprensibili le motivazioni addotte dall’ambientalismo ionico contro investimenti di grandi dimensioni che hanno tuttavia un impatto ambientale assolutamente trascurabile e nel pieno rispetto delle normative vigenti nel nostro Paese.

Federico Pirro (Università di Bari – Centro studi Confindustria Puglia)



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