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Le sfide di Berlusconi e Alfano con Mattarella al Quirinale

Domani probabilmente avremo il nuovo presidente della Repubblica. Le assicurazioni sul patto del Nazareno sono morte con la presentazione unica ieri al PD da parte di Matteo Renzi della candidatura unica, non negoziabile e senza riserve, di Sergio Mattarella.

Dopodiché tutto il centrodestra ha trovato improvvisamente la sua unità, nella percezione condivisa di una sconfitta complessiva della doppia strategia che scardinò due anni fa il Pdl,  ossia quella di collaborare al governo e di collaborare alle riforme.

La piegatura a sinistra per ricompattare l’area progressista di Renzi è avvenuta nel doppio binario della sospensione del patto del Nazareno e dell’indicazione di un personaggio di qualità espressione diretta del popolarismo di sinistra.

Ora la palla è nelle mani piuttosto deboli di Berlusconi e Alfano che dovranno decidere a breve il da farsi. Le ipotesi in cantiere sono tre: o votare Mattarella, o votare scheda bianca, o non votare per niente.

La prima ipotesi non sembra percorribile per due ragioni fondamentali, ben espresse da Gianni Baget Bozzo e da Luigi Sturzo. Il primo nel suo testamento spirituale su Dossetti ha spiegato bene che la contrapposizione tra il centrodestra e il centrosinistra è cosa molto diversa da quella tra cattolici di sinistra e ex comunisti. Si tratta della bipolarità tra una visione repubblicana, da un lato, e una idea democratica, dall’altra. Mattarella in questo non è un personaggio bipartisan, ma espressione piena e completa di una sola linea politica, di una sola storia. Si può dire che la sua persona rispettabilissima in sé non è rappresentativa se non del centrosinistra. La seconda ragione ci viene da una riflessione di Sturzo che diceva appunto che ogni popolo presuppone una dualità di forze sociali insopprimibile. E in questo caso specifico ne viene rappresentata solo una, quella di centrosinistra.

Insomma, Mattarella è un candidato di parte.

Ecco allora che si pone il problema più scottante: cosa possono fare a questo punto Alfano e Berlusconi?

Probabilmente nulla di rilevante, anche se appare veramente difficile giustificare adesso il fatto che un partito il cui nome è Nuovo Centrodestra continui a stare al governo e un altro che ha come leader Berlusconi continui a collaborare per far capitalizzare riforme su riforme a Renzi, segretario del Pd. Tutto ciò non è soltanto insensato, ma addirittura pericoloso. Non è difficile immaginare che con il Quirinale e Palazzo Chigi in mano al centrosinistra si scivoli in una monocrazia senza alternativa, opposizione e resistenza politica.

D’altronde assurda pare anche la preferenza della Lega per un grande giornalista come Vittorio Feltri. Si tratta di un’opzione “grillina”, incompatibile con il ruolo che la destra vorrebbe assumere prossimamente a livello nazionale.

Il Paese si aspetta che Alfano non resti seduto nei banchi del governo, che un serio ripensamento venga messo in atto subito, o comunque subito dopo l’elezione di Mattarella. E il Paese si aspetta che Berlusconi faccia seriamente opposizione con perseveranza in un cammino di riforme divenuto ormai incomprensibile e impercorribile.

La rinascita del centrodestra inizia adesso o non inizia più. E deve partire proprio da una dura reazione a questa esclusione dall’elezione del massimo ruolo di garanzia. Forse piuttosto che non votare, disprezzando l’istituzione, sarebbe più sensato proporre, magari insieme alla destra, un candidato proprio. Se pensavano, com’è trapelato, che Casini o Amato fossero personalità migliori, converrebbe che li votassero. O al limite che venisse rilanciato un candidato del Pd di maggiore garanzia per far emergere le contraddizioni che si nascondono sotto questa convergenza inquietante su Mattarella della grande sinistra.

Non partecipare alla voto avrebbe senso, invece, soltanto se Alfano aprisse nella notte, tra il terzo e quarto scrutinio, una crisi di governo e Berlusconi reagisse in modo radicale a questo schiaffo, cosa improbabile se non impossibile.

Se mancano gli attributi, in fin dei conti, rimanga perlomeno la dignità di rispettare i propri elettori e di non occuparsi in modo passivo unicamente dei ristrettissimi interessi personali.


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