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Vi spiego i pochi pregi e i molti difetti del decalogo di Salvini. Parla Francesco Forte

Il “decalogo” di ricette economiche proposto dal leader della Lega Nord Matteo Salvini sul Foglio può rappresentare il collante per una rinnovata alleanza di centro-destra credibile e vincente rispetto al Partito democratico di Matteo Renzi?

Per alcuni analisti il programma del segretario del Carroccio costituisce un impasto di populismo, protezionismo, ostilità velleitaria verso le dinamiche inarrestabili della globalizzazione.

Formiche.net ha voluto coinvolgere nella riflessione l’economista Francesco Forte, già parlamentare e ministro nelle fila del Partito socialista italiano, vicepresidente dell’Eni fra il 1971 e il 1975, a lungo professore di Scienza delle finanze all’Università di Torino, editorialista del Foglio e del Giornale.

Il programma formulato da Matteo Salvini sul Foglio è di destra o di sinistra?

La Lega Nord ha tradizionalmente rifiutato l’etichetta di destra. Umberto Bossi e Roberto Maroni provengono da esperienze politiche di estrema sinistra, e hanno sempre ricevuto voti da realtà di micro-impresa artigiana spesso marginali. Storicamente il Carroccio ha abbandonato Silvio Berlusconi sempre da sinistra – pensiamo alle travagliate vicende delle riforme previdenziali nel 1994 e nel 2008-2011 – non da destra.

Allora quali sono i tratti distintivi del progetto economico leghista?

Sono gli elementi populisti. Il ceto economico-sociale di riferimento del Carroccio è fortemente protestatario, a causa di una marginalità provocata dalla competizione internazionale. Gli elettori della Lega Nord possono essere definiti di destra per l’appoggio delle misure protezionistiche, mentre sono di sinistra nella bocciatura della riforma previdenziale Fornero e nella salvaguardia dirigista delle aziende municipalizzate. Temi legati all’esigenza di protezione, e che si sono aggiunti al malcontento originario contro le vessazioni fiscali.

Rientra nell’ottica populista la proposta di abbandono concordato dell’Euro-zona per recuperare sovranità e flessibilità monetaria a favore del lavoro e delle imprese italiane?

La Lega Nord utilizza abilmente le contraddizioni e le carenze della costruzione monetaria europea. Ma il suo leader mostra scarsa consapevolezza della centralità dei processi di globalizzazione e dell’ancoraggio del nostro paese all’Ue. Il progetto di fuoriuscita dall’Unione monetaria è poco realistico. Peraltro la flessibilità del cambio valutario rientra nell’iniziativa della Bce guidata da Mario Draghi, che sta registrando buoni risultati. È necessario ben altro semmai.

Cosa?

Se vogliamo essere liberi di negoziare un ipotetico abbandono dell’euro, dobbiamo rimettere i conti in ordine e risanare il debito pubblico. Realizzando riforme coraggiose come il cambiamento del mercato del lavoro nel segno della flessibilità. Esattamente ciò che aveva compreso e attuato l’ex titolare del Welfare Maroni con la Legge Biagi. Minacciare la fuoriuscita dall’Euro-zona non è credibile, perché si ritorcerebbe contro l’Italia. Così come è irresponsabile rivendicare il diritto di fare deficit. Ma si tratta di un difetto comune all’intero arco politico nazionale, dal Carroccio a Forza Italia fino alle sinistre e allo stesso premier che non smette di richiederlo in sede comunitaria.

Il numero uno delle “camicie verdi” pensa anche a due monete distinte per il Nord e il Mezzogiorno d’Italia al fine di far crescere la competitività delle regioni meridionali.

La Lega Nord ha capito il problema, ma sbaglia ricetta. È vero che il Sud deve contare su un’autonomia retributiva e su una flessibilità produttiva nell’utilizzo dell’orario di lavoro. Lo aveva già compreso agli inizi del Novecento Gaetano Salvemini, in polemica con i socialisti e sindacati del suo tempo. La tendenza al contratto nazionale di lavoro unico ha rovinato il Mezzogiorno. Perché tenore di vita, potere di acquisto, produttività sono differenti. Ma non vi è bisogno di un’altra moneta.

Altro punto cardine del programma leghista è l’avversione al Trattato di libero scambio transatlantico e l’adozione di misure protezionistiche per tutelare il nostro tessuto produttivo.

Lottare contro il dumping, la concorrenza illecita e le contraffazioni è giusto. Ma basterebbe applicare le regole vigenti a garanzia del libro commercio. Mentre eventuali provvedimenti restrittivi e protezionistici si rivelerebbero nocivi per il mercato mondiale cui l’Italia è legata.

Nel terreno fiscale l’idea-forza di Salvini è la Flat Tax con aliquota unica al 15 per cento per tutti i contribuenti e deduzioni fisse su base familiare.

È un tema che ho posto io stesso da tempo. E per questo, pur giudicando giusta la filosofia del progetto, ritengo troppo ridotto il prelievo. Nel mio calcolo l’aliquota unica raggiunge il 23-25 per cento del reddito. E presenta una più rilevante componente locale per evitare i notevoli trasferimenti finanziari dallo Stato agli enti territoriali. È il livello previsto in Germania e Francia per i guadagni di 100mila euro annui, al netto del credito di imposta e degli sgravi per i figli a carico. Si tratta di un metodo per aggirare la progressività delle tasse con il pregio della semplicità e senza perdere gettito.

Tuttavia la “tassa piatta” prefigurata dal leader del Carroccio non si salda con l’indicazione di tagli radicali alla spesa pubblica e la riduzione del perimetro dello Stato.

È una contraddizione evidente nel programma un po’ abborracciato della Lega Nord. Mancano del tutto i riferimenti alle necessarie privatizzazioni delle municipalizzate e partecipate locali. E si persiste nell’errore di rivendicare l’aumento del deficit, che ci fa perdere sempre più sovranità.

Come valuta la proposta leghista di nazionalizzare industrie strategiche in crisi?

La trovo contraria ai principi fin qui sostenuti dal Carroccio, e all’esigenza di un prelievo fiscale ridotto. Contraddice l’obiettivo di ridurre il perimetro del governo per liberare risorse a favore degli imprenditori tanto cari alla propaganda delle “camicie verdi”.

Forse Salvini guarda all’esperienza dell’Ilva.

L’assunzione del controllo dello Stato per un periodo transitorio può essere ammissibile allo scopo di correggere il tragico errore compiuto con il sequestro degli impianti e l’estromissione dei proprietari. Nella vicenda dell’impresa siderugica di Taranto abbiamo consentito la violazione delle regole elementari di un regime di mercato, conferendo alla magistratura il potere di “mettere in carcere un’impresa oltre ai suoi titolari”.

Evocando lo spettro di “interventi predatori di gruppi finanziari stranieri”, Salvini respinge la trasformazione delle banche popolari in società per azioni.

La salvaguardia degli istituti di credito mutualistico e territoriale fa parte della Dottrina sociale della Chiesa. Il modello delle banche popolari e delle casse di credito cooperativo in gran parte rurali e artigiane vide artefici, in Italia e in Germania, i cattolici. Appoggiati dal mondo liberale-sociale. Si tratta di realtà che guardano al risparmio personale come garanzia e tutela della persona umana e del suo sviluppo. Per favorire la crescita responsabile del lavoratore e della famiglia. Una concezione molto legata al territorio anziché a una visione capitalistica pura.

Non condivide la riforma promossa dal governo?

Il testo mi sembra opera di un marziano. Poteva essere adottata la proposta di “auto-riforma” delle Popolari frutto del lavoro di una commissione di studio che mi ha coinvolto a fianco di Alberto Quadrio Curzio, Piergaetano Marchetti, Giulio Napolitano. L’approvazione del decreto legge ha generato soltanto speculazione in Borsa. E poi presenta un errore tecnico non rilevato dalla Lega Nord.

Quale?

Riguarda esclusivamente le banche popolari con un reddito oltre gli 8 miliardi. L’intento era favorire la crescita e il rafforzamento del capitale delle altre che si trovano sotto quel tetto. Realtà che si stavano riorganizzando tramite fusioni, nuove adesioni, espansione degli asset. Ma se aumentando la capacità patrimoniale perdono la loro natura peculiare, viene meno l’incentivo a svilupparsi. Non possiamo distruggere i corpi sociali non statali, tipici di un Terzo settore che si occupa del territorio producendo ricchezza.

Nel “decalogo” illustrato su Foglio spicca la campagna per abrogare la riforma previdenziale Monti-Fornero, “che ha lasciato migliaia di lavoratori privi di reddito da lavoro o da pensione”.

Ritengo che non si possano togliere alla riforma Fornero i suoi principi. La strada preferibile è permettere a chi vuole di continuare a lavorare oltre l’età previdenziale. Se le persone già in pensione possono svolgere un’attività professionale con contratti flessibili e senza pagare i contributi sociali, potrebbe emergere una fetta rilevante di economia sommersa. Lo Stato non può costringerci ad avere le pensioni pubbliche al posto del lavoro privato. Ecco, la Lega Nord deve scegliere se adottare o no una proposta liberale. Deve decidere se essere o no una forza liberale.

Ma attorno al progetto leghista è possibile costruire l’alleanza di un centro-destra competitivo?

È necessario distinguere tra elezioni nazionali e regionali. A livello locale il Carroccio riesce a coalizzarsi su temi concreti con tutte le forze conservatrici e moderate. Soprattutto in Lombardia e Veneto, dove le cose funzionano anche se qualche privatizzazione in più andrebbe bene. Piuttosto la Lega Nord deve chiarire il suo programma fra le proprie “anime territoriali”.

E sul piano nazionale?

L’alleanza è possibile, a una duplice condizione. Che la Lega attenui il tema della fuoriuscita dall’Euro-zona. E che gli altri partiti di centro-destra adottino una proposta più coerente sul piano fiscale. A partire da Forza Italia, la cui linea del “deficit facile” frena ogni iniziativa negoziale sul fronte economico e monetario europeo.


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