Nell’imminenza della conversione in legge del decreto per Taranto e l’Ilva, alcune riflessioni si impongono. Lo strenuo impegno sul problema di Renzi, del ministro Guidi, del suo vice De Vincenti, della sottosegretaria Bellanova e dei senatori Mucchetti e Tomaselli e del Parlamento evidenzia ancora una volta – ammesso che ve ne sia bisogno – il ruolo strategico per l’economia nazionale e locale della società in amministrazione straordinaria e del sito di Taranto.
Un’importanza resa manifesta anche dalla mobilitazione per tanti aspetti disperata degli autotrasportatori presenti sul territorio, ai quali entro il 6 marzo – data della definitiva conversione in legge del decreto – bisognerà dare le risposte precise che essi chiedono, pena il rischio di una vera jacquerie contro il Siderurgico, con conseguenze imprevedibili per lo stesso ordine pubblico a Taranto.
Ma è proprio la lotta durissima dei piccoli autotrasportatori – molti dei quali stanno lottando per la propria sopravvivenza non solo aziendale ma anche fisica – a dirci quanto il vasto e ramificato apparato produttivo fondato sull’esercizio della grande fabbrica ionica pervada molecolarmente il sistema economico provinciale, regionale e nazionale. E’ bene allora che di tutto questo – alla luce proprio di quanto sta accadendo ogni giorno ai cancelli dell’acciaieria – prendano definitivamente atto coloro che si ostinano ancora a chiedere la dismissione della fabbrica, senza la quale non vi sarebbe un futuro credibile per Taranto almeno per i prossimi vent’anni. E un impianto come l’Ilva si risana solo assicurandogli un’ampia disponibilità di risorse – peraltro non facilmente reperibili, ma da trovarsi subito e cash attraverso diversi canali e nel rispetto delle normative europee – e non solo constatando che dal 26 luglio del 2012 non si sarebbe fatto nulla per il risanamento degli impianti.
Tutti allora (nessuno escluso) dovranno fare la propria parte – per quanto di rispettiva competenza – per favorire, accelerare o almeno non ostacolare un processo di riqualificazione ambientale della fabbrica e di rilancio in prospettiva della sua produzione che, tuttavia, nei prossimi mesi dovrà diminuire per il rifacimento dell’Afo 5 e per il fermo degli impianti a valle, con il ricorso al contratto di solidarietà per 4.459 addetti, anche se è vivo l’auspicio che questo tetto massimo – se pure fosse formalizzato in un accordo ufficiale azienda-sindacati – non venga mai raggiunto.
Taranto, non ci stancheremo di ripeterlo, è una partita di rilievo nazionale ed europeo. Se ne convincano tutti a Bruxelles: l’Italia – se vorrà restare il secondo Paese manifatturiero della Ue – non potrà mai consentire che il sito ionico dell’Ilva venga dismesso. Renzi da Palazzo Chigi parla ai Tarantini, perché Juncker intenda.