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Le giravolte della Lega di Salvini sono pura tattica. Parla Carlo Lottieri

Una miscela di populismo, protezionismo, ostilità verso la globalizzazione liberale e l’Unione Europea, interventismo statale in economia, aumento della spesa pubblica, riduzione netta della pressione fiscale. È con questo progetto, illustrato poche settimane fa sul Foglio, che il leader della Lega Nord Matteo Salvini tenta di “conquistare Roma” in vista della manifestazione “Basta Renzi” organizzata sabato a Piazza del Popolo.

Le idee-forza messe a punto dal numero uno del Carroccio rappresentano per molti versi un cambiamento profondo rispetto alle campagne originarie delle “camicie verdi”. Una trasformazione su cui Formiche.net ha sentito Carlo Lottieri, professore di Filosofia politica all’Università di Siena, studioso di federalismo e autonomismo oltre che direttore del Dipartimento di Teoria politica dell’Istituto Bruno Leoni.

Il programma prefigurato da Matteo Salvini sul Foglio costituisce una metamorfosi rispetto al patrimonio storico del Carroccio?

In un certo senso no. L’attuale segretario della Lega è il miglior allievo di Umberto Bossi, che è sempre stato tattica anziché ancoraggio a principi. Il leader delle “camicie verdi” ha individuato lo spazio per creare una destra nazionalista italiana, con le caratteristiche peculiari di ostilità verso la globalizzazione e il mercato. Una destra socialista.

La Lega Nord, un tempo federalista, autonomista, indipendentista e secessionista, oggi abbraccia una visione nazionalista lepeniana.

Anche in questo terreno nulla è da ricondurre a convinzioni ideali. È tutto strumentale. Il Carroccio gioca la carta nazionalista nella volontà di conquistare il Mezzogiorno. Ma non può negare il legame con l’esigenza di autodeterminazione storicamente rilevante in Veneto e Lombardia. Se in futuro la penetrazione nelle regioni meridionali si rivelerà controproducente, torneranno gli slogan nordisti.

Però passare dall’orizzonte della macro-regione europea con la Baviera alla battaglia contro l’austerità tedesca per lanciare la proposta di abbandono concordato dell’Euro-zona è un salto notevole.

La Lega di Salvini vuole riempire lo spazio dell’ostilità contro i vincoli economici comunitari. Terreno che può essere occupato dalla destra e dalla sinistra, come mostrano le esperienze francese, spagnola, greca. Rientra in tale registro retorico ritenere la Germania l’emblema dell’austerità.

Anche riguardo le libertà civili si registra una torsione da un approccio pragmatico-anarchico a un’intransigenza conservatrice.

Non sono mai stati temi importanti per la Lega Nord. Neanche oggi. Ricordo che nel rapporto con la religione i rappresentanti del Carroccio hanno affermato tutto e il contrario di tutto. Dalle polemiche contro “i vescovoni ricchi e opulenti del Vaticano” al recupero dei rituali celtici e pagani del “Dio Po” in chiave quasi contro-rivoluzionaria. Ma tutto ciò non ha avuto un rilievo culturale. A contare è ben altro.

Che cosa?

L’idea di abbandonare un conflitto territoriale che in certi momenti presentava l’elemento liberale dello scontro tra produttori e dissipatori di risorse. Adesso la Lega Nord sposa pienamente la dicotomia destra-sinistra.

E l’ex “costola della sinistra” coltiva legami privilegiati con il Front National, Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale, Casa Pound.

È questa la vera trasformazione. Il Carroccio delle origini aspirava a porsi oltre la destra e la sinistra. Era nato come Lega Lombarda e prima ancora come Liga Veneta, focalizzato sulle rivendicazioni di autogoverno dei territori. L’ingresso di Silvio Berlusconi e Forza Italia nell’arena politica ha tolto consensi alle “camicie verdi”. Che hanno reagito evocando “l’indipendenza della Padania”. Concetto evanescente, che ha fatto venir meno la nettezza dell’ancoraggio al territorio. Rivelandosi tuttavia prezioso per sacrificare i voti leghisti all’accordo politico “romano” con il centro-destra.


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