A quale approdo condurrà l’eterogenea coalizione “populista e nazionale” che va costruendosi sotto le bandiere della Lega Nord di Matteo Salvini?
Formiche.net lo ha chiesto a Giancarlo Pagliarini, militante e parlamentare leghista della prima ora, ministro del Bilancio nel primo governo Berlusconi. Pagliarini nel 2007 ha abbandonato le “camicie verdi” pur essendo “rimasto leghista nel cuore e nella mente”.
Un tempo federalista, autonomista, indipendentista e secessionista, il Carroccio abbraccia una visione nazionalista lepeniana. Una metamorfosi politica…
No. Perché da anni la Lega Nord è divenuta una forza politica come le altre. Animata dall’obiettivo di campare tramite la ricerca dei voti. Un fenomeno in atto da quando è andato via Gianfranco Miglio. Certo, il movimento è molto diverso rispetto alla stagione dei primi anni Novanta, in cui parlava di federalismo fiscale e istituzionale, limite costituzionale al prelievo tributario, regime previdenziale a capitalizzazione, referendum popolari senza vincoli.
Le giravolte della Lega di Matteo Salvini sono pura tattica per riscuotere consensi?
Il leader leghista ascolta e percepisce cosa vogliono gli italiani. E lo rende pubblico, che si tratti di Euro-zona, immigrazione, legge relativa all’eccesso di legittima difesa. Non gli importa di apparire politicamente non corretto. È questa la sua forza. E per tale ragione il Carroccio diventerà il secondo partito nazionale.
Cosa la convince di più del programma illustrato dal numero uno delle “camicie verdi” sul Foglio?
La Flat Tax, con aliquota fiscale unica molto ridotta per tutti i contribuenti. Una novità fino a un certo punto, visto che costituiva un punto distintivo del progetto elettorale de La Destra nel 2008.
E qual è il passaggio più fragile?
La proposta di abbandono concordato dell’Euro-zona. Realtà destinata a estinguersi da sola se l’Ue non funziona. A riprova che le economie più deboli non possono avere la stessa valuta delle economie forti. Era su tale base che proponemmo nel 1996-1997 la secessione consensuale del nostro paese. L’obiettivo era far ripartire il Mezzogiorno tramite la svalutazione competitiva e l’aumento delle esportazioni dei prodotti meridionali.
Lo storico del federalismo Marco Bassani spiega che il fallimento delle promesse autonomiste del Carroccio trova sbocco nel rilancio del nazionalismo, in un rapporto privilegiato con le destre populiste.
Matteo Salvini vuole raggiungere i propri obiettivi con chi ci sta, ed è bravissimo a farlo. Lo stesso Miglio affermava che era bene allearsi con il diavolo pur di realizzare il federalismo. La differenza è che il leader della Lega Nord ha cambiato le parole d’ordine. Il problema è mettere per iscritto i testi delle leggi che si vogliono realizzare, con le firme di tutti i promotori.
Nel conflitto tra Matteo Salvini e Flavio Tosi chi è il vero leghista?
Entrambi appartengono al Carroccio attuale. Ma all’inizio degli anni Novanta avrebbero agito in modo differente. Da leghista antico, rilevo che l’unico titolato a scegliere alleanze e linea politica del partito in Veneto è il candidato governatore Luca Zaia. Se i due rivali avessero il federalismo nel proprio codice genetico, lavorerebbero con le rispettive peculiarità per arrivare a un approdo comune.
Non è un pericolo che il leader del Partito democratico resti al potere per tanti altri anni. A confronto con chi l’ha preceduto, il premier è mille volte superiore. Almeno si da da fare, nonostante abbia un approccio centralista. Lo stesso di Silvio Berlusconi e della destra.