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Area Riformista, ecco i subbugli contro il Pd super renziano

Rappresentatività delle istituzioni politiche, ruolo dei corpi sociali intermedi, recupero della sovranità popolare contro i vincoli europei. Le idee-forza del convegno “A sinistra nel Pd. Per la democrazia e il lavoro”, promosso ieri da Area riformista presso l’Acquario romano nella Capitale, trovano la condivisione di tutte le minoranze del Partito democratico.

Realtà tuttora in attesa di un “leader federatore”, ma animate dall’ambizione di cambiare profondamente l’azione di un governo che “addolcisce le ricette liberiste”.

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Le linee guida per la ricostruzione democratica

L’obiettivo, spiega Alfredo d’Attorre, non è costruire un cartello delle opposizioni verso il premier ma creare un “campo aperto progressista, popolare e nazionale, per promuovere gli investimenti pubblici, ricostruire lo Stato, ridurre le ineguaglianze, promuovere un nuovo patto dei produttori”.

A suo giudizio sono nocive “riforme istituzionali che scimmiottano modelli anglosassoni favorendo il primato del governo legittimato dal popolo sul Parlamento”. E se è un errore gridare al pericolo autoritario per il rinnovamento della Costituzione, rimarca il parlamentare, è necessario modificare i testi approvati nelle Camera: restituendo a tutti i cittadini la scelta della maggioranza dei rappresentanti tramite le preferenze, temperando il premio di governabilità per il partito vincente, ripensando l’elettività del Senato.

Allo stesso modo, ricorda l’esponente del Nazareno, la mancanza di un’Europa politica ha trasformato il governo dell’euro in gestione post-democratica della vita dei cittadini come rivela “la vicenda estrema” della Grecia. “Il rischio è consegnare alla destra nazionalista il vessillo della sovranità nazionale e popolare”.

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Lo svuotamento della sovranità in Italia e Europa

La fragilità della realtà partitica italiana in crisi fin dal 1992, ricorda il filosofo politico Carlo Galli, è attualmente colmata dall’abilità del premier che ha promosso un’iniziativa riformistica: “Nella direzione di un democrazia di investitura a vocazione plebiscitaria e neo-centrista rispetto all’antica democrazia parlamentare dei partiti, di un mercato del lavoro flessibile e non conflittuale, di una scuola fornitrice di competenze e non di spirito critico, di una governance della Rai improntata a criteri manageriali”.

Allo stesso tempo, rileva l’economista Vladimiro Giacchè, il capitalismo regolato e la democrazia progressiva proclamati nella Costituzione italiana sono negati e superati da trattati europei fondati su concorrenza, stabilità dei prezzi, indipendenza della Banca centrale. “E negli ultimi anni alla perdita di sovranità valutaria si sono affiancate le politiche di austerità e l’introduzione del parametro del pareggio di bilancio”.

Una nuova gerarchia di valori, osserva lo studioso, modellata sullo Stato minimo in versione tecnocratica: “Contro cui sarebbe utile una serie di ricorsi a livello giurisdizionale comunitario ma soprattutto una strategia di governo nazionale costituzionalmente orientata”.

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“Tassare i giganti del Web”

Altra lacuna anti-democratica dell’assetto economico attuale è messa in rilievo da Francesco Boccia: “Funziona un modello che con le tecnologie digitali ha accorciato e annullato le catene di valore, creando enormi flussi finanziari liberi da prelievo fiscale e orientati verso pochi grandi gruppi elettronici nell’altra parte del mondo?”

È questo interrogativo che lo spinge a chiedere al governo italiano e all’Unione Europea di agire perché tale concentrazione di ricchezze non si traduca in riduzione del gettito fiscale e mancata redistribuzione di risorse.

Le condizioni per non abbandonare il Pd

Ma un vero e proprio ultimatum giunge da Barbara Pollastrini, tra le più applaudite dalla platea: “Se il Partito democratico del 40 per cento va a trasformarsi in una nuova Balena bianca, mantiene un atteggiamento di timidezza sulle libertà civili e sul riconoscimento dello Stato di Palestina, rifiuta di costruire un rapporto con la sinistra greca e con la “coalizione sociale” messa in campo da Maurizio Landini, io non mi riconoscerei più in esso”.

Un possibile punto di incontro

Rischio che Roberto Speranza non vuole prendere in esame. Escludendo scenari di scissione, il presidente del gruppo del Pd a Montecitorio auspica un “partito della nazione pluralista” e aperto alle istanze della sinistra. A partire dalla risoluzione del problema dei nominati nella legge elettorale, dal riconoscimento giuridico delle unioni civili, dall’estensione del beneficio degli 80 euro mensili in busta paga per i lavoratori che guadagnano meno di 1.500 euro.

Ragionamento capovolto dal rappresentante di Sinistra e Libertà Nicola Fratoianni, il quale rivendica la consonanza di analisi su democrazia rappresentativa, temi del lavoro, politiche europee di austerità, “esigenza di strategie industriali contro lo shopping straniero delle realtà produttive nazionali”. Ed esorta la minoranza del Nazareno a trovare il terreno per un’iniziativa comune già nell’iniziativa per estendere le preferenze nel meccanismo di voto.

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Le strategie per l’alternativa a Renzi

Accolto trionfalmente dall’assemblea come un punto di riferimenti irrinunciabile, Massimo D’Alema fornisce una bussola di azione “per lasciare il segno su un Partito democratico a forte e arrogante conduzione personale”.

L’ex capo del governo denuncia un processo di “riduzione della partecipazione politica perseguito e non contrastato visto il crollo degli iscritti al Pd”. Forza che ai suoi occhi è divenuta l’unico perno della democrazia e una formidabile macchina distributrice di potere, “con una capacità di attrazione del trasformismo italiano per cui il saldo tra chi lascia e chi arriva è negativo da ogni punto di vista”.

Passo fondamentale per l’ex leader dei Ds è ricercare un’unità di iniziativa attorno a punti di mediazione da difendere con assoluta intransigenza. “Poi è necessario giocare contro Renzi all’interno e all’esterno del Nazareno”. L’alternativa al “metodo delle Leopolde” è una grande “associazione per la sinistra” entro e fuori i confini del Pd.

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“La metamorfosi del Pd”

Tesi che accompagnano come filo conduttore gli interventi successivi. A cominciare da quello di Pietro Folena, già astro nascente del Partito comunista alla vigilia della “Svolta”, che punta il dito contro “un Pd divenuto contendibile per chi ha potere, televisioni, risorse finanziarie. Una formazione politica in cui i ‘pacchetti di tessere’ sono stati sostituiti dai ‘pacchetti di passanti’ organizzati nelle primarie”.

Rilanciare il primato dell’eguaglianza sociale in un rapporto privilegiato con le forze progressiste è la stella polare di Giuseppe Civati. Il quale si chiede “se le politiche di centro-destra del premier siano compatibili con un’idea di sinistra. E se lo siano la prosecuzione del governo delle larghe intese, la riforma costituzionale che molti ritengono autoritaria, una legge elettorale che nega la proposta originaria del Pd del collegio maggioritario uninominale a due turni”.

“Renzi frutto della Terza Via”

Riflessione che presenta affinità con le parole pronunciate da Stefano Fassina: “La sinistra del Pd non può giustificare la propria esistenza con una battaglia contro i capilista bloccati. È necessaria un’iniziativa culturale verso una formazione che si sta riposizionando complessivamente nel terreno della rappresentanza degli interessi”.

A suo avviso la strada da percorrere è riunire il tema lavoro e il tema democrazia contro un modello economico che marginalizzando fasce sociali sempre più larghe colpisce il ceto medio e quindi le fondamenta delle istituzioni rappresentative.

L’obiettivo primario è “ripartire dalla valorizzazione della dignità della persona e del lavoro propugnata dalla lettura di Papa Francesco della Dottrina sociale della Chiesa”. E affrancare il Partito democratico dalla sudditanza culturale verso l’egemonia neo-liberista, che ha trovato il punto culminante nella ricetta della Terza Via di cui Renzi è frutto”.

“Ma D’Alema non è estraneo alla Terza Via”

Una stagione, ricorda polemicamente Gianni Cuperlo, che vide protagonista anche la sinistra italiana rappresentata a Palazzo Chigi dallo stesso D’Alema: “Un ripensamento critico di quegli errori avrebbe liberato il Pd dal predominio dei vincoli e parametri economico-finanziari che ci hanno fatto perdere l’anima”.

È in questo orizzonte, evidenzia il parlamentare, che bisogna valorizzare la rappresentanza popolare e i corpi sociali: “Autentici bilanciamenti del potere, perché il capo di un governo non può riassumere in sé la ricchezza e la complessità dell’Italia e non può abrogare con una riforma costituzionale tutti i livelli intermedi tra leader e popolo”.

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L’agenda Bersani

La consapevolezza che deve guidare la sinistra del Pd è riassunta da Pier Luigi Bersani al termine delle assise: “Essendo una minoranza con vocazione maggioritaria e popolare, vogliamo esprimere lo stato di scollamento di aree culturali preziose. Non appartenenti esclusivamente alla sinistra classica ma anche al mondo cattolico-sociale, ulivista, liberale”.

Il Partito democratico prefigurato dall’ex segretario è una forza di centro-sinistra alternativa a tutte le destre. “Capace di valutare la bontà delle riforme del governo, mettere in discussione un leaderismo che fa ragionare meno per decidere di più, criticare il laissez-faire al capitale e alla finanza perché non porta benefici in sé al lavoro. In grado di rivendicare l’esigenza di investimenti pubblici per trasformare in crescita l’enorme liquidità presente in Europa, rifiutare l’omologazione tra destra e sinistra o tra Silvio Berlusconi e Romani Prodi, rilanciare la regolamentazione pubblica per attrarre gli investimenti, sottrarre scuola e sanità al mercato, coniugare governabilità e rappresentanza”.

Temi che Bersani aspira a riproporre in una grande iniziativa entro l’estate. Altrimenti, è la sua convinzione, “rischiamo di condannarci in una posizione minoritaria rincorrendo i singoli provvedimenti di un’agenda imposta dall’esterno”.


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