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Cosa (non) si fa a Taranto. Lettera aperta del prof. Pirro

E’ stato giustamente sottolineato da alcuni autorevoli osservatori come il governo, dopo la conversione in legge del decreto per Taranto, stia continuando a seguire con attenzione ed impegni operativi le vicende economiche di Taranto come dimostrano fra l’altro l’incontro al ministero dello Sviluppo economico fra il ministro Guidi, i Commissari dell’Ilva e la Confindustria ionica per individuare i modi migliori per saldare i crediti delle aziende dell’indotto, e la lettera del sottosegretario De Vincenti all’Evergreen perché non abbandoni il porto ionico e concordi con l’Esecutivo un nuovo cronoprogramma per i lavori attesi da anni sul molo polisettoriale e sui fondali dello scalo tarantino.

Ma a questo forte impegno dell’Esecutivo ne corrisponde uno di eguale intensità degli stakeholder locali, capace di accompagnare con fervore operoso l’azione del governo? A Roma a molti decisori politici di ministeri impegnati in prima linea sulla città e le sue problematiche non sembra affatto, avvertendosi invece uno scollamento rilevante fra l’azione governativa e le risposte del territorio.

A Roma i sindacati confederali di Taranto appaiono ancora deboli, scontando forse l’ancor giovane età di alcuni loro dirigenti. La Confindustria – peraltro comprensibilmente impegnata a tutelare le cogenti esigenze di cassa delle imprese dell’indotto Ilva – non sembra al momento capace di dare corso e robustezza progettuale al progetto di smart area presentato nella scorsa estate. Comune e Provincia, nell’ambito delle rispettive competenze, non sono in grado (purtroppo) di svolgere un’azione concorde di partecipazione attiva e tecnicamente qualificata a quanto disposto a livello governativo.

Anche le due sedi universitarie – al di là degli sforzi pur apprezzabili di rettori e docenti – dovrebbero ancora lavorare a lungo per colmare un distacco tuttora percepito nei confronti della città e dei suoi settori produttivi. Più in particolare il Politecnico, a molti anni ormai dall’insediamento della sua sede distaccata da Bari, non pare aver sprigionato ancora tutto il pur rilevante potenziale di ricerca e di collaborazione con l’industria manifatturiera insediata in loco, anche per determinate scelte compiute in passato nella definizione della sua offerta formativa al territorio. I partiti – si rileva a Roma – stanno attraversando una fase di grande difficoltà nell’esercitare la loro funzione di rappresentanza degli orientamenti della cittadinanza soprattutto in materia di crescita del capoluogo e sono avviluppati in poleniche interne anche in vista della definizione delle liste per le prossime elezioni regionali.

Consorzio Asi e Camera di Commercio – nonostante la rilevanza del loro ruolo nell’economia dell’area – mantengono un profilo abbastanza defilato dalle vicende in corso, anche perché l’organo camerale è impegnato nel dibattito in corso circa il suo stesso futuro. L’Autorità portuale appare l’unico ente attivo e impegnato a realizzare quanto definito negli accordi con la Tct e l’Evergreen, ma poco o nulla ha potuto per fermare le vere e proprie faide amministrative fra imprese, quando si è trattato di aggiudicare lavori di rilevante importo per banchine e dragaggi.

Se questo a grandi linee è il quadro tarantino che appare agli occhi di autorevoli decisori politici che stanno seguendo quotidianamente e da vicino le vicende del capoluogo, allora sarà bene dire con estrema chiarezza all’intera comunità locale che se qualcuno coltivasse l’illusione che tutto alla fine di questo grave periodo di incertezza possa tornare come prima, è bene che tale illusione si dissolva rapidamente, perché Taranto non avrà alcun futuro se per primi i suoi abitanti con i loro rappresentanti nelle Istituzioni non saranno capaci di imprimere una svolta profonda, radicale e prolungata nel tempo nei loro comportamenti collettivi per un duraturo rilancio della città che – lo si ripete ancora una volta – è e deve restare un pilastro del sistema produttivo nazionale. Ma questa fin troppo ovvia considerazione non può esentare in alcun modo il territorio dall’assumersi sino in fondo le sue responsabilità.

Istituzioni, Partiti e Sindacati – ciascuno per quanto di propria competenza –  dovranno mettere a punto e in fretta proposte sperabilmente condivise e ben articolate sotto il profilo tecnico per il rilancio della città, sintonizzandosi sino in fondo con gli sforzi e i disegni del governo. Le Pmi dei vari indotti industriali, da quello siderurgico a quello petrolchimico e navalmeccanico, dovranno comprendere – pena una loro ineluttabile decimazione di massa – che dovranno avviarsi celermente lungo il sentiero delle aggregazioni di rete, della diversificazione dei mercati, dei viaggi all’estero per acquisirne di nuovi come hanno già fatto alcune imprese locali di medie dimensioni che hanno assunto commesse in Brasile, India e Russia. Le due Università dovranno interrogarsi a fondo sulla loro offerta formativa, da legarsi realmente alle esigenze del territorio, non essendo sufficiente da sola l’istituzione di un corso triennale di ingegneria aeronautica per rispondere alle esigenze dell’industria tarantina, quando continuano ad essere assenti da anni specializzazioni ad esempio in ingegneria siderurgica, chimica e navalmeccanica.

Ed anche tutte la altre Istituzioni elettive e non dovranno trovare (anch’esse rapidamente) sintonie e raccordi operativi sui temi del rilancio della crescita e dell’occupazione, raccogliendo in tal senso l’accorato e prolungato appello dell’Arcivescovo Monsignor Santoro al recupero di una nuova visione e tutela del bene comune.

Amici di Taranto, nulla nei prossimi anni sarà più come prima. Piaccia o meno tale fin troppo ovvia considerazione, è giunto il momento per un vero colpo di reni verso il futuro che dovrà essere produttivo, solidale ed ecosostenibile. Taranto ha bisogno del governo, ma anche il governo ha bisogno che Taranto si rimetta in moto con le proprie gambe: ma se queste resteranno paralizzate, non ci saranno provvedimenti di Palazzo Chigi o del ministero dello sviluppo che tengano.

Federico Pirro (Università di Bari, Centro Studi Confindustria Puglia)



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