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L’Antimafia di Bindi? Degna dell’Iran. Parla Taradash (già all’Antimafia)

La pubblicazione dei nomi di candidati “sconsigliati” ai cittadini per le loro traversie giudiziarie da parte della Commissione parlamentare Antimafia ha posto il sigillo a una campagna elettorale regionale permeata di veleni e colpi bassi. Ma ha rappresentato un salto di qualità nello scontro politico, trasferendo la ferocia delle lotte interne ed esterne ai partiti nel terreno istituzionale.

Per capirne i risvolti e le possibili ripercussioni, Formiche.net si è rivolta Marco Taradash, politico con una lunga esperienza garantista e liberale-radicale, nei primi anni Novanta membro della commissione Antimafia ora presieduta  da Rosy Bindi e ora consigliere regionale del gruppo Ncd in Toscana.

Taradash, la decisione dell’Ufficio di Presidenza di Palazzo San Macuto rientra nelle prerogative della Commissione parlamentare Antimafia?

Assolutamente no. Non si è mai vista un’iniziativa del genere, e non vi è uno statuto differente dalle regole che riguardano l’organo bicamerale di inchiesta sulla criminalità organizzata. Il consiglio di presidenza dell’Antimafia si è arrogato un titolo di “guardiano della virtù” tipico del regime degli Ayatollah in Iran. E lo ha fatto senza fondamento giuridico.

Rosy Bindi ha affermato che la pubblicazione è stata prevista l’ultimo giorno di campagna elettorale per non influenzare il voto regionale.

È una motivazione ridicola. La presidente della Commissione Antimafia non può prenderci per il naso. La scelta compiuta getta scherno sulle funzioni di un organismo parlamentare a cui furono attribuite prerogative serie. Competenze che sono state forzate più volte nella storia repubblicana. Con una differenza rilevante.

Quale?

Al tempo della presidenza di Luciano Violante nei primi anni Novanta le forzature vennero realizzate per far crollare la prima Repubblica. Oggi sono finalizzate a mettere fuori gioco “ladri di polli”.

Condivide il marchio di “impresentabili” conferito dalla Commissione ai 16 candidati?

A parte l’aspirante governatore della Campania Vincenzo De Luca, condannato per abuso d’ufficio, non ne conoscevo nessuno. Ho scelto a caso l’ex sindaco di Monteforte Irpino Sergio Nappi, accusato di attentato ai diritti elettorali dei cittadini per aver spiegato ai propri assessori che li avrebbe cacciati se non avessero fatto campagna elettorale a suo favore. Si tratta di reati ridicoli, che non hanno attinenza con i crimini inclusi nelle competenze della Commissione Antimafia. Sa quale è il paradosso?

No.

Bindi e altri esponenti dell’Ufficio di Presidenza rischiano in teoria di essere indagati per lo stesso reato contestato a Nappi.

L’ex Garante per la privacy Franco Pizzetti ha chiesto su Twitter se i candidati “sconsigliati” ai cittadini siano stati ascoltati dall’organismo parlamentare per tutelare i diritti della difesa.

Se quei politici avessero a che fare con la mafia sarebbero incandidabili, non “impresentabili”. Nozione che attiene a un giudizio di tipo morale, non giuridico-legale.

Teme riflessi politico-elettorali significativi per la scelta della Commissione?

Non lo so. Evidentemente vi era bisogno di pubblicità per qualcuno. L’iniziativa fa parte di una campagna anti-politica e anti-parlamentare che presenta moltissime facce. E contribuisce alla desolazione del panorama e del costume politici.


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