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Vi spiego perché eravamo in piazza contro l’ideologia gender. Parla Alfredo Mantovano

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Riaffermare il ruolo nevralgico della famiglia formata da uomo e donna. E salvaguardare “l’antropologia naturale” dalle “aggressioni dell’ideologia gender”, favorite dal relativismo culturale egemone in Europa. È l’orizzonte che anima la manifestazione organizzata a Roma oggi da una galassia di associazioni e movimenti di ispirazione cristiana.

Un’iniziativa che vede tra i promotori il magistrato e già parlamentare di Alleanza Nazionale Alfredo Mantovano, co-firmatario del manifesto-appello contro il riconoscimento giuridico delle unioni civili.

Mantovano, quali sono gli obiettivi della mobilitazione?

La nostra è soprattutto una manifestazione “per”. Vogliamo rimettere la famiglia al centro dell’attenzione delle istituzioni e del contesto sociale-giuridico. Al pari di quanto avviene in tanti Paesi europei altamente civili. In Italia, invece, perfino il rimborso mensile degli 80 euro in busta paga viene erogato sul reddito individuale. Senza considerare il fattore famiglia. Ma l’iniziativa va al di là del terreno economico-fiscale.

In che senso?

Non accettiamo che venga svilito e depresso l’adempimento dei diritti e doveri legati all’essere genitori. Far partecipare un bambino delle scuole elementari a lezioni che parlano di categorie gender senza la possibilità di confronto e repliche espropria le libertà fondamentali di padri e madri. Titolari dell’educazione dei figli. Non vi può essere un’imposizione ideologica su temi di estrema delicatezza. Ma parallelamente al terreno formativo assistiamo a un’ulteriore aggressione nei confronti della famiglia.

Quale?

Quella legislativa. Le unioni matrimoniali tra uomo e donna sono sempre più indebolite grazie alle leggi sul “divorzio facile e breve”, o a proposte come il progetto formulato dalla parlamentare del Pd Monica Cirinnà.

Cosa trova di sbagliato nella proposta?

La parificazione completa fra due realtà – il matrimonio e le unioni gay – che non possono essere messe sullo stesso piano. È la famiglia naturale che garantisce la continuità del corpo sociale della nazione e la trasmissione della vita. Equipararla a forme alternative di convivenza è un’ingiusta discriminazione. Altro che conquista di eguaglianza.

Avvertite un legame di continuità con i Family day promossi nel 2007 e 2008 dal mondo cattolico con il patrocinio della Conferenza episcopale italiana all’epoca guidata dal cardinale Camillo Ruini?

Riscontro molte differenze. Negli ultimi 8 anni è accaduto di tutto nel quadro normativo europeo e italiano. Nel 2007 c’era la legge sulla fecondazione assistita, rafforzata dall’esito di un referendum. Oggi è smantellata dalle sentenze della Corte Costituzionale. All’epoca non vi era l’istituto del divorzio breve. E vi è un ulteriore elemento che rende improprio definire “Family day bis” la manifestazione odierna.

Quale?

Nel 2007 molte forze politiche, in gran parte di centro-destra, fecero proprie le aspirazioni e istanze delle associazioni e movimenti scesi in piazza. Adesso Silvio Berlusconi preferisce fare i selfie con Vladimir Luxuria. Il mondo vasto di famiglie e realtà sociali che sfilerà a Piazza San Giovanni non si sente rappresentato da nessun partito. E vuole assumere un’iniziativa spontanea senza delegare nulla ad altri.

Per la verità la Cei presieduta da Monsignor Nunzio Galantino ha negato l’appoggio ufficiale alla vostra manifestazione.

Non voglio negare l’insegnamento morale e dottrinale dei pastori. Ma ricordo che nella Chiesa cattolica spetta all’iniziativa dei laici affrontare materie di tale rilevanza etica. Lo stesso Papa Francesco ha affermato che non esistono “vescovi pilota”. Per queste ragioni riteniamo il 20 giugno un punto di avvio per un confronto ampio sulla traduzione di temi così delicati nel terreno civile e politico. Confronto e approfondimento in grado di coinvolgere l’opinione pubblica, le istituzioni politiche, e la realtà ecclesiale. Perché non si tratta di dogmi di fede.

La Chiesa di Papa Francesco e dei suoi collaboratori non tiene viva la polemica sui temi etici privilegiando questioni come misericordia, povertà, pace, perdono?

Se i discorsi del Pontefice fossero letti per ciò che egli scrive e non per le estrapolazioni dei mass media, sarebbe difficile trovare parole più dure nei confronti dell’ideologia gender. La stessa promozione del Giubileo straordinario è ispirata ai principi di misericordia spirituale, oltre che materiale. Il Santo Padre ha un profilo culturale e comunicativo differente rispetto ai predecessori. Ma la continuità spirituale con il loro magistero è fuori di dubbio.

Comunione e Liberazione non aderisce alla manifestazione. I loro rappresentanti scrivono che “fin dall’epoca dei referendum su divorzio e aborto la storia ha mostrato come andare in piazza non produca effetti positivi per chi difende l’antropologia cristiana.

Rispetto i travagli interni a Cl e non entro nella vita di altri movimenti ecclesiali. Tuttavia i referendum su divorzio e aborto risalgono a epoche remote. Le battaglie che combattiamo oggi richiedono un’ampia partecipazione e supporto popolare. Le porto un esempio molto rilevante sul piano politico.

Quale?

Il progetto di legge sull’omofobia presentato dal parlamentare del Pd Ivan Scalfarotto e approvato dalla Camera nel 2013 è fermo in Commissione Giustizia del Senato. Un risultato raggiunto grazie a un’iniziativa spontanea analoga a quella promossa in Francia da “Manif pour tous” contro l’adozione dei figli da parte delle coppie omosessuali. La piazza serve, e costituisce una preziosa occasione per incoraggiare i pochi politici che hanno aderito alla nostra manifestazione.

La vostra iniziativa può fornire una base culturale valida a un centro-destra unitario e vincente?

È del tutto estraneo alla manifestazione qualunque aggancio partitico. Non nascondo la mia esperienza politica, ormai terminata. Ma spero che la mia presenza, così come quella del direttore de “La Croce” Mario Adinolfi, non alimenti tali ipotesi. Guardando in prospettiva, auspico che la mobilitazione di Piazza San Giovanni possa favorire la ricucitura dei rapporti tra i movimenti ecclesiali. E riattivare nel mondo politico nazionale e locale l’attenzione verso temi che attualmente non rappresentano le priorità di centro-destra e centro-sinistra.

Lo storico della Chiesa Alberto Melloni ha scritto sul Corriere della Sera che “chi imbastisce una operazione come questa è disposto a certificare l’impotenza del cattolicesimo davanti al dovere morale della mediazione democratica, ma forse incasserà qualcosa allo sportello di destra della politica”.

Mi sono confrontato con il mio medico di base. Il quale ha detto che leggere analisi simili non fa bene alla mia salute.

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