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Auto, ecco come Francia, Germania, Inghilterra e Spagna hanno dato gas alle Case

Piccolo, ancora troppo piccolo. L’automotive italiano ce la mette davvero tutta per stare dietro le grandi economie mondiali, Germania in primis, per aggiudicarsi fette di mercato ed entrare nel novero dei grandi produttori del pianeta.

IL RAPPORTO UNIONCAMERE-PROMETEIA

Al Senato, dove questa mattina Unioncamere e Prometeia hanno presentato una ricerca, nel corso di un convegno promosso dal senatore Pd Massimo Mucchetti, sullo stato di salute dell’automotive nei maggiori Paesi europei, manager, operatori ma anche un Maurizio Landini che per una volta ha lasciato nell’armadio la felpa rossa per indossare giacca e cravatta hanno fatto più o meno un ragionamento di questo tipo: al netto dei primi barlumi di ripresa del settore auto nazionale (+15% gli acquisti di auto nei primi sei mesi) il vero problema rimane sempre quello, ossia che l’Italia produce poco, troppo poco per stare sulla scia dei giganti tedeschi, tanto per non sconfinare in Asia e Usa. “La nostra produzione è pari a poco più del 10% di quella tedesca, questo dato ci deve far riflettere”, ha affermato un po’ laconico Roberto Vavassori, presidente dell’Anfia, l’associazione delle aziende automobilistiche.

NUMERI E CONFRONTI

Come sempre però, la verità è nei numeri. L’Italia negli ultimi due anni ha prodotto in media 800 mila veicoli, contro i 5,9 milioni della Germania, i 2,1 di Spagna e Francia e gli 1,6 della Gran Bretagna. Cifre che la dicono lunga sul gap che intercorre tra la produzione italiana, guidata naturalmente da Fiat, e il resto dell’Europa. Alla radice del problema, hanno spiegato gli analisti Prometeia, una filiera tricolore caratterizzata “da una scarsa efficienza dell’utilizzo del capitale, nonché da un’ampia capacità produttiva non utilizzata”. Ovvero: il potenziale per competere ci starebbe anche tutto, ma tra maglie burocratiche e costo del lavoro alto, produrre come si deve resta difficile. In Germania, dove dal 1995 a oggi l’occupazione nell’automotive è aumentata del 50%, hanno risolto il problema da tempo, grazie a una profonda riorganizzazione del comparto, al massiccio ricorso all’outsourcing e alla spinta delle singole Case su ricerca e sviluppo. E i risultati si vedono, tanto che proprio oggi Volkwagen ha superato nelle vendite mondiali la giapponese Toyota. E Regno Unito e Spagna? Bravi anche loro, per carità, anche se per mantenere in piedi l’intero comparto automotive hanno fatto una scelta diversa rispetto a quella tedesca, dove la riorganizzazione è partita dalle fabbriche. Molto più semplicemente, Otremanica hanno aperto il capitale dei grandi gruppi agli stranieri. Su tutti, l’esempio di Jaguar, venduta agli indiani di Tata.

TUTTI GLI AIUTI STATALI DEGLI ALTRI PAESI

Non è tutto oro quel che luccica negli altri Paesi, comunque. Se da una parte tedeschi e francesi sono stati bravi a tenere in corsa i rispettivi settori automotive, dall’altra c’è stato un interventismo statale che ha sostenuto alcune Case. Spulciando tra le pieghe della voluminosa ricerca che elaborati dati dal 2009, si rileva un interessante confronto tra i diversi piani di sostegno pubblico garantiti dai diversi Stati o alle singole case automobilistiche o all’intero all’automotive. In Spagna, per esempio, nel 2009 il governo ha varato il Plan de Competitividad da 800 milioni di euro sotto forma di prestiti agevolati al settore, 600 erogati tra il 2012 e il 2014. Stessa politica in Gran Bretagna, dove l’esecutivo ha messo mano a 2,3 miliardi di sterline per girarli a titolo di prestiti o garanzie all’industria dell’auto. In Francia, invece, il governo è intervenuto in maniera più diretta, sbloccando nel 2009 un finanziamento da 3 miliardi in favore del principale gruppo transalpino, Psa Peugeot. E in Germania? Anche i super-efficienti tedeschi hanno messo mano alle casse pubbliche, investendo a cavallo tra il 2009 e il 2010 fino a a 5 miliardi di euro per rimettere in moto la domanda di veicoli. I maggiori beneficiari del fondo sono stati Volkswagen, con una quota del 17,7%, Opel (11%) e Skoda (8,2%). E poi c’è l’Italia, che non ha approvato sostegni diretti alle Case. Gli esperti di Prometeia sottolineano che, al netto degli incentivi alla rottamazione degli ultimi anni attuati per smuovere la domanda, dopo 6 miliardi di aiuti di Stato a Fiat distribuiti nel corso di decenni, a metà degli anni 90 siano cessati i trasferimenti pubblici al Lingotto.

I CONSIGLI DI LO BELLO (UNIONCAMERE)

Fin qui la situazione. Già, ma il futuro? Numeri (ancora) alla mano, lo scorso anno gli acquisti di auto sono cresciuti in Italia del 4,4% mentre i primi sei mesi del 2015, come detto, c’è stato un incremento a doppia cifra. Ma se il buongiorno si vede dal mattino allora è anche vero che il cavallo vincitore si vede al traguardo. Nel dubbio, ha ricordato il presidente di Unioncamere Ivan Lo Bello, meglio rammentare a Renzi che senza una riduzione dei costi energetici, delle bollette e un taglio al cuneo fiscale, c’è davvero poco futuro per l’automotive italiano. Altro che rincorsa a Francia e Germania…

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