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Reddito di cittadinanza a 5 stelle, ecco numeri e incognite

Beppe Grillo e Luigi Di Maio

Aprire i cordoni della borsa per mettere sul piatto una quindicina di miliardi da destinare ai cittadini che vivono in  stato di povertà. Si parla del reddito di cittadinanza, il sussidio statale proposto dal Movimento 5 Stelle nel 2013 in soccorso di chi è disoccupato, inoccupato, pensionato o più semplicemente di chi percepisce un reddito al di sotto della soglia di povertà, pari al 60% del reddito mediano sul totale del reddito disponibile nel Paese.

OBIETTIVI E NUMERI

Obiettivo della proposta è consentire a una platea di 2,7 milioni di famiglie (più o meno 10 milioni di persone) di beneficiare di un importo fino a 780 euro al mese. In pratica, chi è a reddito zero dovrebbe ricevere 780 euro al mese, mentre chi ha un reddito basso percepirà un’integrazione al reddito rapportata al quest’ultimo e che gli permetterà di raggiungere i 780 euro. Una misura presente già in molti altri Paesi (tra cui la Germania) ma che in Italia risulta ancora di difficile applicazione.

(ECCO COME PIZZI HA VISTO BEPPE GRILLO. TUTTE LE FOTO)

UNA STRADA STRETTA

L’applicazione della porposta a Cinque Stelle non è una passeggiata per almeno due motivi. Innanzitutto lo Stato ad oggi non ha in cassa i miliardi necessari per finanziare i sussidi, come dimostra tra le altre cose l’improvviso stop all’operazione di flessibilità sulle pensioni, che per il governo avrebbe anche la priorità sui sussidi. L’altro motivo è l’Europa. Difficile giustificare agli occhi dell’Ue una spesa di 15 miliardi senza indicare le relative coperture. Soprattutto in un momento in cui il governo tratta con Bruxelles per strappare 17 miliardi di spazio di manovra per abbassare le tasse. Certo, a detta dei grillini un modo per finanziare la misura ci sarebbe: tagli alla spesa, alle pensioni d’oro e ai costi della politica. Ma considerati i tempi lumaca della spending review, occorreranno anni prima di raggranellare i denari necessari. In ogni caso ieri pomeriggio il movimento fondato da Beppe Grillo è tornato alla carica sulla proposta lanciata nel 2013, chiedendo ancora una volta l’approvazione del disegno di legge numero 1.148, che istituisce per l’appunto il reddito di cittadinanza.

LE AMBASCIATE DI GRILLO E CASALEGGIO

Il leader del Movimento ha tenuto una conferenza al Senato per ribadire la bontà della sua proposta per l’istituzione di un reddito di cittadinanza. Prima della conferenza stampa, Grillo e Gianroberto Casaleggio hanno incontrato – come ha rivelato lo stesso comico – 7-8 ambasciatori di Paesi scandinavi per illustrare i fini del movimenti e la proposta del reddito di cittadinanza. Successivamente Grillo e il suo numero due si sarebbero riuniti in una stanza del secondo piano del Senato per incontrare i senatori pentastellati per prepararli, a quanto si apprende, a una sorta di “battaglia” d’autunno per il reddito di cittadinanza. In conferenza poi i toni dei grillini hanno poi rispettato le attese della vigilia. “Qui stiamo parlando di combattere la miseria, qualcosa di esistenziale, non semplicemente la povertà. Noi pensiamo agli ultimi, questo è il primo obiettivo del nostro movimento”, ha detto Grillo, assicurando di “voler portare a casa il reddito di cittadinanza perchè questa è un’operazione che dovrebbe toccare il cuore di ognuno. Da quando abbiamo costituito il Movimento acqua sotto i ponti è passata e la qualità delle persone la vedete. Direi di fidarsi di queste persone, abbiamo bisogno di un po’ di fiducia, riusciremo a cambiarlo questo
Paese”.

(BEPPE GRILLO INCORONA LUIGI DI MAIO? LE FOTO DI PIZZI)

I CALCOLI DELL’ISTAT

La proposta dei grillini è finita sotto la lente di ingrandimento dell’Istat, il cui presidente, Giorgio Alleva, ha tenuto lo scorso giugno un’audizione al Senato, per specificare costi e soprattutto beneficiari dell’operazione. In quell’occasione l’Istituto di statistica aveva innanzitutto aggiornato le stime relative al costo totale dell’operazione, abbassandola a 14,9 miliardi dai 15,5 stimanti nel 2012. Una revisione motivata dall’arrivo nel frattempo del bonus da 80 euro deciso dal governo Renzi.  “Il minor costo rispetto al 2012 è dovuto soprattutto al fatto che nel 2015 è presente il bonus di 80 euro mensili che, aumentando il reddito disponibile di una parte delle famiglie interessate dal provvedimento, riduce la quota complessiva da erogare”, si legge nel testo dell’audizione. Alleva ha inoltre fornito dettagli sulle famiglie destinatarie del sussidio, spiegandone anche le modalità di erogazione, calcolate in base al livello di povertà. Premesso che il reddito in questione è pari alla differenza fra il reddito effettivamente percepito e un livello minimo rappresentanto dalla soglia di povertà, il principio base è che più si è poveri e più il bonus ricevuto sale, avvicinandosi alla soglia dei 780 euro.  “La spesa è interamente destinata a 2 milioni e 759 mila  famiglie con un reddito inferiore alla linea di povertà e pari al 10,6% delle famiglie residenti in Italia”, ha sottolineato Alleva, precisando come la maggiore incidenza di beneficiari si osserva fra le coppie con figli minori (13,2% delle famiglie, con un aumento del reddito a bonus ricevuto del 44%) e, soprattutto, fra i monogenitori con almeno un figlio minore (30% di famiglie beneficiarie, con una maggiorazione del reddito del 76%).  Quanto alle modalità, “per effetto della misura, le risorse economiche delle famiglie beneficiarie aumentano in misura significativa in relazione inversa rispetto al reddito. Il beneficio medio è massimo, pari a circa 12 mila euro annui, per le 390 mila famiglie in condizioni di povertà più grave, con redditi inferiori al 20% della linea di povertà mentre si riduce invece a meno di 200 euro annui per quelle 120 mila famiglie che hanno un reddito superiore all’80% della soglia di povertà”. E in effetti, guardando alle tabelle allegate al testo dell’audizione, si evince come il range vari da un minimo di 166 euro annui a un massimo di 12.012 euro a famiglia in base al reddito dichiarato da ciascun nucleo. L’analisi dell’Istat aveva fatto esultare il Movimento 5 Stelle, che aveva interpretato i calcoli dell’Istat come una sorta di approvazione della proposta da parte dell’Istituto.

LA CONTROPROPOSTA DELL’INPS E I DUBBI DI BOERI

Sulla questione si è pronunciato anche una delle principali parti in causa, ossia l’Inps che per bocca del suo presidente, l’economista Tito Boeri, ha rilanciato lo scorso agosto la sua controproposta, vale a dire l’istituzione di un reddito minimo da assegnare agli over 55. Sulla proposta dei grillini Boeri si era già espresso nel 2013, quando non era ancora stato chiamato alla presidenza dell’Inps. Boeri, in un’analisi pubblicata su lavoce.info criticava la proposta perché “relativamente generosa e perché contenente alcuni dettagli che ne aumentano gli oneri amministrativi e i costi” portandola a19 miliardi. Una proposta giudicata dall’allora economista come “complessa e iniqua” e costosa 4 volte il Sia, il sistema di inclusione attiva, alternativa  al reddito di cittadinanza, proposto dall’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini e introdotto, in via sperimentale, nelle città italiane con più di 250mila abitanti.  Il futuro presidente dell’Inps tirava poi in ballo anche i rischi legati all’evasione, sottolineando come sembri “rischioso, in un paese come l’Italia, in cui l’evasione fiscale è un fenomeno ampiamente diffuso, stimare i costi di una misura come il reddito di cittadinanza senza ammettere che una fetta importante dei redditi delle famiglie sfuggirà probabilmente alla rilevazione: un problema aggravato dal fatto che la proposta del M5S non guarda affatto al patrimonio. Né vengono previsti controlli in base ai consumi effettivi delle famiglie. Per questo motivo, abbiamo ipotizzato che il reddito minimo M5S riesca ad accertare solo l’85% dei redditi dei lavoratori autonomi e il 95% di quelli dei dipendenti. Il risultato è un aggravio di spesa di circa 1,5 miliardi”. Nelle sue considerazioni Boeri rimarcava inoltre le differenze con un’altra proposta, quella di Sel per il cosiddetto reddito minimo garantito che, a differenza della proposta pentastellata  è un semplice sussidio erogato a tutti gli inoccupati, disoccupati e precariamente occupati, iscritti però presso le liste di collocamento dei Centri per l’impiego, rivelandosi così uno strumento più selettivo, con una platea più ristretta e quindi meno costoso.

LA POSIZIONE DEL PASSERIANO PUGLISI

Ma non c’è solo Boeri ad aver espresso dubbi circa la praticabilità o meno della proposta del Cinque Stelle. In un recente colloquio con Il Foglio, Riccardo Puglisi, docente all’Università di Pavia di Scienza delle finanze e mente economica del partito Italia Unica di Corrado Passera, ha rilevato come occorra “valutare quanto il sussidio diminuisce al crescere del reddito, in questo caso se a un guadagno di 100 euro in più corrisponde una riduzione del sussidio di 100 euro vuol dire che l’aliquota marginale è del 100 per cento, l’effetto dell’incentivo è il peggiore possibile”. In  pratica si tratta di una tassa sul lavoro e un incentivo all’ozio: “Se un’ora di lavoro in più rende zero è evidente che le persone sono indotte a godersi il tempo libero. Questo rischia di creare una classe di persone che vive di sussidi e rimane intrappolata nella povertà”.

(GRILLO E DI MAIO IMMORTALATI DA UMBERTO PIZZI)

MA IL SENATO DICE ANCORA NO

Proprio mentre ieri pomeriggio iniziava la conferenza stampa dei Cinque Stelle con Grillo arrivava però una doccia gelata per i grillini. L’Aula del Senato rigettava infatti la richiesta di calendarizzare nelle prossime settimane la proposta per il reddito di cittadinanza, presentata dal capogruppo grillino. A questo punto il reddito di cittadinanza potrebbe rientrare nella legge di stabilità. “Sarebbe la legge di stabilità più bella di sempre”, ha chiosato con un accenno di sorriso il vicepresidente della Camera in quota M5S. Luigi Di Maio. Si vedrà.


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