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Così l’Emilia Romagna non si è fatta travolgere dalla demagogia No Triv

Alla richiesta di referendum chiamato “no triv”, che è stato depositato da 10 Regioni in Cassazione e che in parole povere punta ad abrogare due articoli del decreto Sblocca Italia, il provvedimento voluto dal governo Renzi e con il quale la ricerca di petrolio e gas nei mari italiani è stata dichiarata strategica, l’Emilia-Romagna ha votato no. Contestualmente ha approvato una risoluzione, di cui io sono uno dei proponenti, che ha l’obiettivo di proporre un approccio inedito, scegliendo la strada del dialogo con il Governo in modo da superare l’impasse che si è venuto a creare fra le competenze dello Stato e delle Regioni e arrivare ad approvare procedure condivise.

In sintesi, il documento che impegna la giunta votato dall’assemblea emiliano-romagnola propone al Governo di rivedere l’articolo 38 dello ‘Sblocca Italia’ (il più contestato), individuando come punti di partenza proprio l’esperienza dell’Emilia Romagna e la condivisione delle linee di politica energetica decise dall’Ue (aumentare l’efficienza energetica, promuovere l’uso delle rinnovabili, ridurre la dipendenza da altre aree del mondo e garantire certezza energetica, sostenere la ricerca scientifica e industriale in campo energetico).

Vale la pena di ricordare che l’attività di estrazione di idrocarburi in Adriatico è iniziata, fin dagli anni 60 (la prima piattaforma di estrazione di gas metano, la Ravenna 1, è diventata operativa nel 1960) ; questo ha permesso – in Emilia-Romagna – la crescita di numerose imprese che operano nel settore energetico e successivamente in quello della green economy, che offrono competenze di valore mondiale e garantiscono una base tecnologica adeguata a sviluppare quel mix energetico qualificato e innovativo richiesto dall’Ue. Sto parlando di imprese che producono ricchezza e, cosa più importante, occupazione per migliaia di persone.

Perché allora confrontarsi per modificare l’articolo 38 dello Sblocca Italia? L’Odg lo evidenzia con precisione: mentre si procede a sostenere la crescita e l’incentivazione dell’utilizzo delle energie rinnovabili, cosa che dovrebbe generare anche occupazione qualificata, si deve abbandonare gradualmente il ricorso alle fonti fossili più inquinanti. Si dovrà quindi affrontare una fase di transizione verso un uso crescente delle rinnovabili dove però, questo è inevitabile, il nostro gas metano rappresenta ancora una fonte di approvvigionamento insostituibile.

In merito all’estrazione di gas naturale specialmente nell’area adriatica, l’Odg propone di approfondire la possibilità di riattivare le attività di ricerca e di utilizzo dei giacimenti di gas naturale, per alleggerire la bolletta energetica nazionale, sostenere le imprese del settore e difendere l’occupazione, prevedendo la riduzione delle piattaforme operative, eliminando quelle più a ridosso della costa. Il tutto garantendo la sicurezza e la tutela dell’ambiente. È per questo che diventa necessario aprire un confronto Stato-Regioni sulla Strategia Nazionale Energetica.

Altro punto dell’Odg in questione propone di concordare in Conferenza Stato-Regioni (e possibilmente in ambito UE con la Croazia) un sistema di monitoraggio trasparente e omogeneo, gestito da un Ente Scientifico autonomo, che fornisca dati certi per la tutela delle coste e del territorio. Un punto in cui credo particolarmente è quello che prevede che una parte consistente delle risorse derivanti dall’estrazione di gas naturale abbia una ricaduta sui territori interessati, da utilizzare per realizzare piani di difesa della costa, del territorio e delle risorse naturali.

Infine l’Odg prevede di proporre al Governo un accordo sulla base di quello firmato a luglio dall’Emilia-Romagna, sulle attività estrattive in terra, ma da estendere anche a quelle offshore, che abbia come punti fermi la sicurezza, il controllo, il monitoraggio, la difesa dell’ambiente, la trasparenza, la promozione dell’innovazione tecnologica.

Voglio ricordare che lo Sblocca Italia va nella giusta direzione quando ad esempio richiede una maggiore qualificazione degli operatori attraverso l’introduzione di più stringenti garanzie economiche finanziarie a copertura del rischio di potenziali impatti, quando introduce il divieto esplicito di qualsiasi tipo di attività invasiva e impattante quale il fracking e quando per le attività off shore, richiede/rende obbligatoria la verifica dell’impatto delle attività sul sistema costiero con particolare riferimento alla subsidenza e all’erosione. Questa è la conferma che più che di ipotesi abrogativa, si debba parlare di riforma migliorativa dell’articolo 38.

Il mio parere è che l’Emilia-Romagna votando no alla richiesta di referendum abbia dimostrato buon senso e ancora una volta spiegato perché ‘non si può dire no a tutto’.



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