C’è qualcosa che agita in queste ore i sindacati della Pubblica amministrazione. E’ il drastico taglio dei comparti in cui è suddiviso il pubblico impiego (aziende, ministeri, sanità e così via) previsto dalla riforma Brunetta, rimasta nel congelatore dal 2009, perché mai attuata.
L’OBIETTIVO DEL GOVERNO RENZI
Il governo Renzi vuole ridurli dagli attuali 12 a un massimo di 4, accorpando i piccoli comparti in quelli più grandi. Un’operazione prevista dalla riforma pensata dall’ex ministro della Pa Brunetta e propedeutica alla ripresa delle trattative tra esecutivo e Pa per lo sblocco dei salari, dopo l’altolà al governo della Consulta sugli scatti. Se prima non viene compiuto questo passo non si potrà procedere al rinnovo del contratto.
MADIA SCRIVE ALL’ARAN: APRIRE LA TRATTATIVA COI SINDACATI
In questo senso il governo, con il ministro della Pa Marianna Madia, ha dato mandato all’Aran (l’Agenzia per la rappresentanza negoziale all’interno delle amministrazioni) affinché raggiunga un accordo con i sindacati sulla riduzione dei comparti. Ridisegnare la geografia pubblica comporta infatti parecchie conseguenze, secondo gli addetti ai lavori. “Oggetto: definizione dei comparti e delle aree”, è scritto nella lettera con cui l’Aran ha convocato per i oggi le organizzazioni sindacali.
IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTANZA
I primi mugugni riguardano la questione della rappresentanza all’interno della galassia pubblica. Una riduzione dei comparti, secondo il governo, darebbe una prima disboscata alla giungla della Pa, facendo risparmiare allo Stato dei soldi. Alcuni sindacati però la vedono diversamente, tanto che alcune fonti consultate da Formiche.net temono di vedersi piccoli comparti soverchiati dagli altri molto più grossi, proprio per effetto dell’accorpamento, con un conseguente snaturamento delle singole categorie. “Che ne sarà della specificità dei dirigenti delle stesse aree?”, si chiede una fonte sindacale vicina al dossier. Se la riforma si attuasse davvero, tanto per fare un esempio, è molto probabile che i quasi 80.000 dipendenti e dirigenti delle Regioni abbandoneranno il proprio comparto per confluire nella sanità, formando così un esercito di 500.000 dipendenti sindacalizzati.
CHI TRATTERA’ CON CHI
Il governo, come menzionato, ha ufficialmente invitato l’Aran ad aprire le trattative coi sindacati. Uno scenario però che convince poco alcune organizzazioni della Pubblica amministrazioni. In più di uno per esempio si chiedono se la trattativa sarà portata avanti dall’Aran oppure verrà più semplicemente ridotta a una sorta di negoziato interno tra, per esempio, confederazioni autonome e non autonome. E ancora, altra preoccupazione, le diverse confederazioni chiamate al negoziato con Aran, riusciranno a compattarsi o agiranno in ordine sparso? Domande per le quali al momento non è dato avere risposte, almeno fino al momento dell’apertura del confronto.
BUSTE PAGA A RISCHIO CAOS?
Il vero problema è però, ovviamente, quello di natura economica. Secondo indiscrezioni raccolte da Formiche.net infatti, alcune confederazioni dei dirigenti pongono l’accento su un passaggio dal contenuto non meglio precisato della lettera con cui la Madia ha chiesto all’Aran di aprire le trattative. “Si parla anche di aspetti economici relativi ai futuri contratti nazionali”. Che significa? Una mezza risposta per la verità c’è. E cioè il fatto che i diversi comparti della Pa hanno buste paga differenti, alcune più pesanti altre meno. Ricondurre tanti diversi trattamenti all’interno di 3-4 maxicomparti, con relativi contratti unici, non sarà semplice e potrebbe comportare parecchi malumori all’interno delle organizzazioni.
INCOGNITA RISORSE PER IL RINNOVO DEI CONTRATTI
La vera partita si giocherà però il prossimo anno quando, una volta ridisegnati i comparti, si aprirà il confronto vero e proprio sui contratti pubblici, sganciati dall’inflazione da oltre 6 anni. I soldi che il Governo dovrebbe stanziare nella prossima manovra, che verrà approvata giovedì, non sono molti. Nei giorni scorsi si era parlato di 300 milioni, ma la cifra, alla fine, potrebbe essere più alta, attorno ai 400 milioni all’anno per il prossimo triennio. Soldi ai quali, comunque, si sommerebbero anche i 400 milioni già previsti a legislazione vigente. Basteranno?