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Perché la guerra di Isis sfida anche il mondo arabo. Parla Khalid Chaouki (Pd)

Parigi è stata oggetto di un attacco senza precedenti. E’ una guerra anomala che sfida le nostre società europee ma anche e soprattutto il mondo arabo e musulmano”. Khalid Chaouki è membro della Commissione Esteri della Camera ed esponente del Partito democratico. Musulmano, originario del Marocco, in questa conversazione con Formiche.net ha risposto alle tante domande che gli attentati di Parigi hanno sollevato. A cominciare da un interrogativo sulle comunità islamiche europee, sulla loro reazione alla barbarie dell’Isis e il ruolo che sono chiamate svolgere nella società.

Cosa deve fare il mondo musulmano per reagire correttamente ai fatti di Parigi?

Per il bene della nostra coesione, alle comunità musulmane europee sono richiesti un protagonismo maggiore e una più evidente assunzione di responsabilità. Per questa ragione, stiamo lavorando per un coinvolgimento più forte delle leadership islamiche ma soprattutto dei singoli, dei tantissimi cittadini italiani di religione musulmana.

Teme che qualcuno possa confondere i musulmani europei con gli attentati?

Oggi chiunque cerchi di confondere i musulmani d’Europa con quello che è avvenuto, rischia di fare non solo un danno e un torto a queste comunità ma soprattutto di fare un enorme regalo all’Isis. Il suo obiettivo è proprio questo: creare una frattura forte nella società europea e alimentare un clima di sospetto e di paura. L’Isis è una minaccia anche nei confronti dell’Islam europeo.

Su Formiche.net il filosofo Corrado Ocone si è interrogato sul perché i musulmani pubblicamente manifestino così poco contro l’Isis. C’è bisogno da parte del mondo islamico di una presa di posizione più forte contro il terrorismo?

Sicuramente c’è stata una presa di coscienza importante da parte delle leadership e di numerosi Imam. Quello che manca ancora, è una manifestazione più popolare e dal basso. Penso che le istituzioni e la politica debbano stimolare maggiormente le comunità islamiche. Personalmente, come deputato, mi sto facendo promotore di una sollecitazione in tal senso.

Quanto c’entra la religione con quello che è accaduto a Parigi?

Siamo di fronte a una generazione che ha abbracciato l’ideologia dell’Isis partendo da presupposti diversi. Presupposti di tipo sociale, di identità o di rancori verso i Paesi nei quali sono cresciuti. Però quello che li lega, è la violenza la quale trova riscontro in una lettura manipolata dell’Islam. C’è sicuramente un aspetto che riguarda forme di precarietà e identità, ci sono problemi che dipendono dai modelli sociali oggi molto deboli in occidente. Ma c’è anche una manipolazione chiara dell’Islam a cui i leader religiosi devono rispondere con molta più forza. Finora gli sforzi in questa direzione non sono stati sufficienti. C’è un’interpretazione violenta che si fonda su una lettura minoritaria ma esistente del Corano. Bisogna che tutti facciano chiarezza, nessuno può rimanere in una zona di ambiguità che non è più tollerabile.

L’intervento armato contro l’Isis è qualcosa su cui ragionare concretamente?

Sicuramente contro l’Isis serve un cambio di prospettiva in particolare in Iraq. Non possiamo più parlare di semplice contenimento. Serve, invece, un’azione di contrasto vera e forte che metta al centro i Paesi arabi che fanno parte della coalizione e che fino adesso hanno dato un contributo insufficiente. Serve, inoltre, un piano più concreto e rapido per una soluzione in Siria. Un piano che veda una gradualità nel superamento del regime di Assad e, contemporaneamente, cerchi di aprire un dialogo con le forze ribelli non islamiste. Questi due passaggi devono andare avanti insieme. In ogni caso, non possiamo combattere allo stesso tempo Assad e l’Isis. Non ne abbiamo la forza e, soprattutto, in questo momento la priorità è annientare questa forza molto pericolosa per l’Occidente e gli stessi musulmani.

L’Europa come deve reagire a quanto sta accadendo?

L’Europa deve iniziare a ragionare come un continente unico. Non hanno senso i ragionamenti singoli sia sugli eventuali attacchi militari, sia sulla gestione delle frontiere nazionali. Ci deve essere una risposta unitaria di tutta l’Europa. E’ necessaria, inoltre, un’attenzione specifica alla questione dei Balcani, oggi luogo di transito di migliaia di persone che deve essere monitorato in maniera molto più efficiente.

E sull’integrazione, invece, cosa bisogna fare?

Serve una strategia di prevenzione del radicalismo tra le seconde e le terze generazioni islamiche europee. In questo senso siamo stati ancora troppo lenti e inefficaci. Non basta combattere l’Isis fuori dai confini europei, serve un’azione di contrasto al radicalismo dentro l’Europa. Bisogna coinvolgere le comunità musulmane, le strutture educative, i mezzi di informazione. Insomma, una rivoluzione anche culturale che ci porti a capire come il nemico non sia solo quello esterno. Rischiamo di alimentarci una generazione che può diventare effettivamente un elemento di grave pericolo per la nostra comunità.

La politica cosa può fare concretamente? Ad esempio più fondi ai servizi o alle forze armate?

Dopo l’attentato di Charlie Hebdo l’Italia ha adottato una legge assolutamente avanzata sul tema del contrasto al terrorismo. Una legge molto innovativa in materia di prevenzione sui temi della propaganda, dell’auto-addestramento e del reclutamento online. Certo, dobbiamo pensare a investire maggiori risorse e, soprattutto, studiare un coordinamento molto più efficace tra le agenzie di intelligence e di sicurezza dei Paesi europei. E’ necessario un dialogo più stretto con la Turchia, in questo scacchiere è sicuramente un partner decisivo che deve rientrare a tutti gli effetti nella strategia europea.

E in Libia?

E’ molto importante che nelle prossime ore venga presa una decisione più netta. Ciò anche alla luce del raid americano che ha colpito uno dei leader dell’Isis. Noi non possiamo più attendere un negoziato che rischia di non portare nessun risultato.


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