Alle 7.00 di questa mattina l’Hotel Radisson di Bamako, la capitale del Mali, è stato attaccato da alcuni uomini armati. L’hotel è frequentato da molti turisti e stranieri che lavorano in Mali, e secondo la tv francese France 24 è meta abituale di viaggiatori transalpini. Nell’hotel ci sono state diverse sparatorie, una presa d’ostaggi, e l’intervento delle forze speciali che hanno liberato l’edificio dagli assalitori.
Ci sarebbero numerosi morti. Le notizie che arrivano sono ancora un po’ confuse, e per tutta la giornata il governo di Bamako non ha mai dato comunicazioni ufficiali direttamente alla stampa: la direzione dell’hotel ha comunicato invece che 125 ospiti e 13 addetti del personale sono stati trattenuti dagli attentatori. Di questi non si sa quanti esattamente sono stati liberati e quanti hanno perso la vita (almeno una ventina, le stime più diffuse parlano di 27). Testimoni hanno raccontato ai vari media sul posto di aver visto molti cadaveri. N’Diaye Rama Diallo, ministro per la Cultura e il turismo in Mali, ha fatto un appello su Twitter ai mezzi d’informazione perché agiscano con senso di responsabilità, dicendo che la vita degli ostaggi può dipendere anche da questo.
Si è trattato di un attentato legato al fondamentalismo islamico, stando ai racconti dei presenti. Chi è riuscito a scappare, o è stato liberato dalla polizia, ha raccontato di aver sentito insieme agli spari gridare “Allah è grande”, il grido tipico con cui cominciano le azioni degli integralisti musulmani. Altri testimoni hanno detto alle agenzie di stampa che i terroristi hanno scelto di catturare soltanto coloro che non sapevano recitare nemmeno un verso del Corano, liberando invece gli altri. Una selezione spietata contro “gli infedeli”, già vista durante l’assalto al centro commerciale Westgate di Nairobi, in Kenya, dove il 21 settembre del 2013 gli jihadisti di al Shabaab uccisero 71 persone: tra queste molte giustiziate a sangue freddo, perché non sapevano rispondere a domande sulla vita di Maometto.
Gli uomini che hanno fatto irruzione nell’hotel sarebbero da tre a dieci (il numero non è ancora confermato). Sembra che fossero armati di fucili d’assalto Ak-47 Kalashnikov e che, a differenza di quanto raccontato inizialmente, non sono entrati a bordo di un’auto diplomatica nel cortile dell’albergo, ma hanno approfittato dell’ingresso di un veicolo di quel genere per introdursi.
IL CONTRATTACCO
Le forze speciali del Mali hanno condotto il blitz che ha permesso di liberare il grosso degli ostaggi. Prima un gruppo dell’unità d’élite Groupe d’intervention de la Gendarmerie nationale (GIGN, un’unità speciale della Gendarmeria nazionale francese) e altri 10 uomini dell’Istituto di ricerca criminale sono partiti da Parigi per Bamako ─ sembra che abbiano preso parte all’operazione per liberare gli ostaggi. Il ministero degli Esteri francese ha aperto un’unità di crisi. Anche i militari della MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali) hanno comunicato via Twitter che le loro forze stanno collaborando nella logistica con le autorità maliane. Sembra che alcuni dei terroristi siano stati uccisi nel blitz.
IL PENTAGONO E LA CNN
Un portavoce del Pentagono ha confermato quello anticipato dal giornalista della CNN Jim Sciutto, che si occupa di questioni legate al terrorismo e alla sicurezza nazionale: anche delle Special operations forces americane sarebbero giunte sul luogo della vicenda per aiutare i civili e le forze dell’ordine maliane. In Mali ci sono advisor militari americani, sul posto con il compito di portare avanti il training a soldati e polizia maliani, in più è nota la presenza di piccole unità di sof statunitensi che si muovono nell’area del Sahel come commandos controllando sia aspetti legati al terrorismo che al contrabbando.
L’HOTEL DELL’ATTACCO
Il Radisson SAS Hotel di Bamoko è un lussuoso cinque stelle che si trova leggermente fuori al centro cittadino, nord-ovest. L’alloggio è al secondo posto tra quelli consigliati per il pernottamento dal sito del Journées Minières et Pétrolières du Mali che si è svolto dal 17 al 19 novembre. Il JMP ’15 è uno dei principali eventi internazionali che interessa la città ed ha cadenza biennale. Si trattano temi che riguardano le risorse minerarie, di cui il paese è ricco, e che coinvolgono interessi internazionali. Le attività estrattive sono uno degli asset economici più importanti del Mali (dalla fine del 20° secolo il paese ha avuto la terzo più alta produzione di oro in Africa, dopo Sudafrica e Ghana) e hanno attirato capitali stranieri da diverse parti del mondo. La francese Total, attraverso una società dedicata, Total Mali, che ha preso parte al JPM ’15, è uno dei partner principali del settore estrattivo maliano. Il contesto (luogo e momento) è sicuramente un obiettivo “interessante” e simbolico per una attacco terroristico.
COINVOLGIMENTO FRANCESE IN MALI
Ad agosto a Sévaré, sempre in Mali, al Byblos Hotel, un gruppo affiliato ad al Qaida aveva fatto un attentato in cui erano morti nove civili, quattro soldati e quattro miliziani. Il Mali è uno dei Paesi coinvolti nell’operazione antiterrorismo francese denominata “Barkhane” (gli altri sono Burkina Faso, Mauritania, Niger e Ciad), attraverso cui Parigi ha schierato oltre tremila uomini dell’esercito per contrastare l’espansione del terrorismo islamico nel Sahel. L’attività militare ha preso il via ad agosto del 2014, ed è andata a sostituire due precedenti missioni, la “Serval” con cui la Francia ha salvato il Mali da una sorta di colpo di stato islamista ad opera di un gruppo jihadista denominato Ansar Dine, e Epervier che interessava il Ciad dal 1986.
I GRUPPI PRESENTI NELL’AREA
I più conosciuti gruppi jihadisti che operano nell’area, escludendo le mire espansionistiche di Boko Haram (diventata provincia del Califfato), sono: Al Mourabitoun, guidato da Mokhtar Belmokhtar (conosciuto come “Il Guercio”, uomo sulla lista dei più ricercati terroristi a livello globale, più volte dichiarato ucciso da raid occidentali); Aqim, ossia la filiale maghrebina di al Qaeda; Ansar Dine, l’organizzazione salafita maliana che durante il conflitto del 2012 era riuscita a prendere sotto il proprio controllo ampie fette di territorio; Fronte di liberazione di Macina, di ridotte dimensioni, un gruppo combattente che sogna la creazione di uno stato islamico nel sud del Mali, dove opera maggiormente. Sono entità radicate nel territorio e diffuse tra le popolazioni tribali locali, in cui l’islamismo e la predicazione jihadista si sommano a interessi economici sul contrabbando, ad agende territoriali, a rivendicazioni nazionalistiche sfociate spesso in azioni contro i francesi (“crociati colonialisti”).
In un messaggio registrato ad ottobre e ritenuto autentico dalle intelligence francesi e maliane, il leader di Ansar Dine, Iyad Ag Ghali, aveva chiesto di continuare a combattere la Francia. Ag Ghali, ex capo dei ribellioni tuareg, diventato poi alleato di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), nell’audio criticava quei gruppi ribelli del nord che nel mese di giugno hanno firmato un accordo, negoziato tramite il governo di Algeri, per porre fine alla loro ribellione: il capo di Ansar Dine definiva «laici» coloro che avevano accettato la tregua.
RIVENDICAZIONI
Il Monde aveva da subito tenuto una posizione ferma: sono necessarie rivendicazioni attendibili e provate in modo indipendente. Contrariamente il sito della qatariota Al Jazeera sosteneva da quasi subito, attraverso fonti proprie, che gli attentatori appartenessero ad Ansar Dine.
È stato “Il Guercio”? Successivamente, sia il giornale francese che Reuters hanno invece accreditato come credibile il rivendico diffuso su Twitter da Belmokhtar, il leader del gruppo Al Mourabitoun. Molti analisti avevano registrato le analogie tra l’attacco al Radisson di Bamako con la più famosa azione condotta dai miliziani del “Guercio”, la presa degli ostaggi ad In Amenas, un impianto di estrazione del gas nell’Algeria orientale. In quell’occasione circa 700 lavoratori sia algerini che stranieri, furono catturati da un commando terroristico di circa 30 uomini: alla fine di tre giorni di sequestro, i morti furono 39 tra gli ostaggi (persone di diverse nazionalità, tra cui giapponesi, americani, inglesi, norvegesi e filippini, uccise anche dal blitz dell’esercito) e diversi altri tra gli attentatori. Una correlazione: alcuni testimoni dell’attacco a Bamako, hanno raccontato alla stampa presente che c’erano dei terroristi che parlavano un inglese fluente; circostanza analoga alla vicenda di In Amenas, dove in mezzo al gruppo jihadista c’erano diversi foreign fighters di origine canadese anglofona.
Belmokhtar, conosciuto anche come “Mr. Marlboro”, è il simbolo dell’integralismo locale: somma in sé la sfera jihadista a quella del contrabbando, si crede che abbia relazioni con al Qaeda, e che il suo gruppo abbia raggiunto un accordo con Ayman al Zawahiri per gestire gli interessi dell’organizzazione nell’Africa occidentale. Secondo un’altra rivendicazione inviata al giornale mauritiano Al-Akhbar al Mourabitoun avrebbe collaborato con i qaedisti di Aqim per portare a termine l’attacco.
(Articolo in aggiornamento)