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Tutti gli affari in bilico tra Turchia e Russia

L’abbattimento del bombardiere russo SU 24 Fencer avvenuto martedì nei cieli tra la Turchia e la Siria, ad opera di due caccia F16 turchi, rischia di aprire degli scenari traumatici sia a livello militare, in quanto nell’ultimo mezzo secolo non era mai successo che un Paese della Nato abbattesse un aereo russo, ma anche dal punto di vista degli equilibri economici e commerciali che coinvolgono Russia e Turchia, e per estensione una serie di indotti collegati a queste relazioni.

I CONTROVERSI RAPPORTI TRA MOSCA E ANKARA

Secondo uno studio fatto dalla BBC, nel 2013 il 30 per cento dei turchi vedeva la crescente influenza russa nel Paese in modo positivo, mentre il 46 esprimeva un parere negativo. Dietro a questo ci sono dissidi storici legati ai periodi imperialisti, migliorati durante la Prima delle Guerre Mondiali e poi peggiorati nuovamente nella Seconda; o più di recente, le controversie sul confine caucasico, la questione del Nagorno-Karabakh, Cipro, la stabilità mediorientale. Gli spigoli di queste passate controversie, però, sono stati smussati nel 2010 durante un bilaterale tra l’allora primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan e l’ex presidente russo Dimitri Medvedev: in quell’anno gli interessi geostrategici dei due stati hanno cominciato a diventare prioritari rispetto a certe questioni, facendo sì che le due potenze della regione transcaucasica stringessero strette partnership commerciali ed economiche.

Il proxy siriano. Il conflitto siriano, però, ha minato più volte gli equilibri di queste intese, mettendo i due Paesi su schieramenti diversi fin dall’inizio delle ostilità: Mosca non ha mai nascosto il proprio appoggio al regime, mentre Ankara ha sempre tenuto posizioni avverse a Damasco, sostenendo la ribellione anche in termini poco consoni (vedi appoggio a fazioni islamiste radicali), anche a causa della rivalità personale maturata negli anni tra Erdogan e Bashar el Assad (un tempo “amici”).

La minoranza turcomanna. Non bastassero le differenti visioni sul futuro siriano, su cui Vladimir Putin aveva da tempo messo in guardia Erdogan chiedendogli di restarne fuori, ultimamente la Turchia ha iniziato a rivendicare anche una sorta di umanitarismo riguardo alla minoranza turcomanna in Siria su cui Ankara si sente il dovere di badare. I turcomanni, o turkmeni, fanno storicamente parte dell’opposizione siriana, anche quella combattente (aiutata a prendere le armi dalla Turchia): il loro vice comandante è l’uomo che è andato in televisione a rivendicare l’uccisione dei due piloti del Su24 abbattuto martedì, colpiti dai suoi miliziani mentre scendevano a terra con il paracadute, una volta eiettati dal velivolo (un fatto di per sé disumano, al limite del diritto di guerra). Ankara però sostiene che i raid aerei russi si sarebbero concentranti contro queste popolazioni avverse al regime, senza un apparente motivo se non sostenere Assad, visto che i turkmeni non sono ribelli pro-Isis, anzi hanno il Califfo nei propri obiettivi tanto quanto il regime. I villaggi dove vivono si trovano al limite del confine turco-siriano, e quando il  19 novembre l’Ambasciatore russo ad Ankara, Andri Karlov, è stato convocato al ministero degli Esteri per parlare della questione, gli è stato fatto presente che laddove non arrivava l’aspetto “tutela della minoranza” si innescava quello della “sicurezza nazionale” (visto al vicinanza geografica al confine), e dunque la Turchia avrebbe difeso quelle aree.

LEGAMI ENERGETICI

Ora la Turchia sembra talmente decisa a voler risolvere la crisi siriana, al punto di rischiare di compromettere i rapporti con quello che nei tempi è diventato uno dei suoi partner più forti e strategici dal punto di vista economico, ossia la Russia. Ma Ankara è disposta a rinunciare questo cruciale partner economico?

Il gas. La Turchia è costretta ad importare oltre il 90 per cento del proprio fabbisogno annuale di gas. A queste forniture contribuisce la Russia per larga percentuale (il 58 per cento, pari a 27.33 miliardi di metri cubi, dato dell’ultimo anno), seguita da Iran e Azerbaijan, paesi che comunque hanno legami strategici con la Russia. In ballo c’è anche l’accordo per la costruzione del gasdotto Turkey Stream, infrastruttura annunciata durante una visita ufficiale di Putin ad Ankara nel dicembre del 2014, che dovrebbe servire per spostare il gas russo verso la Turchia passando sotto il Mar Nero. Attraverso queste tubazioni, il gas non consumato direttamente dal fabbisogno turco, potrebbe essere venduto in Europa: un doppio affare per la russa Gazprom. Questa reciprocità di interessi, potrebbe essere una delle ragioni della volontà di de-escalation sull’abbattimento, che molti osservatori hanno notato: al di là delle dichiarazioni di rito, della «dura retorica più per il consumo interno che per la vera sostanza» come l’ha definita il Telgraph, dal Cremlino infatti si sono avuti segnali composti. D’altronde la Turchia è il secondo principale mercato del gas russo, dopo la Germania, e mantenere in piedi certe relazioni, con il calo del prezzo del petrolio, conta non poco per un paese come la Russia che vincola alla vendita delle risorse energetiche i bilanci dello stato. «Non vi è alcuna incipiente o conclamata crisi tra la Russia e la Turchia», ha spiegato Wolfang Piccoli, amministratore delegato della società di consulenza Teneo Intelligence a Politico.

La centrale nucleare di Akkuyu. L’Akkuyu Nuclear Power Plan di Buyukeceli, nella provincia marittima meridionale di Mersin, sarà la prima centrale nucleare del paese; il luogo è stato scelto sia per la bassa densità di popolazione, sia perché è una delle aree della Turchia dove l’accelerazione sismica al suolo è più debole, ma questa scelta si è portata dietro le opposizioni ambientaliste che hanno accusato il governo turco di aver manomesso gli studi sull’impatto ambientale. L’appalto per la costruzione è stato affidato ad un società controllata dalla Rosatom, la corporation statale del nucleare russo: l’accordo è frutto, anche questo, dell’intesa diplomatica del 2010 e dovrebbe partire il prossimo anno per essere operativo tra il 2020-2022. L’impianto sarà composto da quattro reattori ad acque pressurizzata VVER (progetto di ideazione russa) e avrà un costo di 20 miliardi di dollari, compreso le opere edile affidate alla società russa specializzata in costruzioni nucleari Atomstroyexport (ASE), in partnership con la turca Ozdogu. La Rosatom si occupa anche del finanziamento del 93 per cento del progetto.

LE ALTRE RELAZIONI ECONOMICHE

Il commercio. Dopo gli accordi del 2010, per il passaggio frontaliero tra Turchia e Russia non è più necessario il visto. Questo era stata pensata dai due governi come una misura per migliore le funzionalità commerciali con il fine di aumentare il volume di scambi. Ad oggi, oltre il 13 per cento del totale delle importazioni turche arriva dalla Russia per un totale di affari pari a 32,7 miliardi di dollari annui.

Il turismo. Le coste turche sono meta agevole e piacevole per i turisti russi che scendono dal Mar Nero. Le località balneari si abbinano alle ricchezze storico-archeologiche a attraggono annualmente milioni di russi. Il complicarsi dei rapporti diplomatici potrebbe frenare anche questo nevralgico settore dell’economia turca. Mercoledì era prevista la visita ad Ankara del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov: cancellata per ovvie ragioni, il capo della diplomazia russa ha anche invitato i propri cittadini a non andare in Turchia per ragioni di sicurezza; non il migliore messaggio commerciale per il turismo turco, ma sono dichiarazioni rivedibili.

PUTIN REALPOLITIK

Solo il realismo politico molto spinto di Vladimir Putin è in grado di impedire al Cremlino di disporsi su posizioni dure nei confronti dei turchi e degli alleati occidentali. Posizioni per certi versi legittimate dal diritto e dalla logica, ma che incontrano un particolare contesto storico e geopolitico. Il presidente russo, infatti, sa di poter giocare la carta del jet abbattuto su altri tavoli negoziali, quelli per esempio che riguardano il sollevamento delle sanzioni conseguenti alla crisi ucraina e quelli in cui si decidono le sorti della Siria: in definitiva, la vicenda potrebbe essere un asso nella manica per ciò che riguarda la riqualificazione internazionale del leader russo.

UNA LETTURA LATERALE DELLA VICENDA DEL SU24

Alcuni analisti ritengono che dietro alle ragioni dell’abbattimento del bombardiere russo possano esserci le frustrazioni turche (l’Independent ha scritto una articolo molto critico verso Ankara, con un inizio che spiegava da sé l’intero pezzo: «Turkey is getting desperate»). Una parte di osservatori ritiene infatti che la Turchia pensava di poter giocare un ruolo chiave nella crisi siriana (cosa che cerca da anni), soprattutto dopo il G20 di Antalya, ma alla fine l’unico aspetto importante e in parte decisivo dell’intero vertice è stato il faccia a faccia tra Barack Obama e Putin. Da lì, i fatti di Parigi, che hanno segnato un passaggio ulteriore verso una possibile joint venture tra forze occidentali e russe in chiave anti-Isis (la Francia sta già coordinando le operazioni navali della portaerei “Charles de Gaulle” con quelle dell’incrociatore russo “Moskva”, per esempio). Alzare il livello della tensione sarebbe dunque una rischiosa strategia di Erdogan, per allontanare la possibilità che le forze amiche della Nato si uniscano a quelle russe nella soluzione della crisi siriana: una soluzione che messa in tale modo, prevederebbe un futuro di qualche genere per il regime, una sorta di divisione territoriale che concederebbe spazio anche ai curdi siriani del Rojava. Esattamente quello che Ankara non vuole.

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