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Come sarà la Repubblica di Calabresi

Mario Calabresi, Repubblica, Corriere della Sera

Beh, ogni tanto ci sono anche buone notizie, sia per il contenuto sia per lo stile di chi le ha prodotte.

E’ una buona notizia, per esempio, la sensibile prontezza con la quale Adriano Sofri ha annunciato, dal lontano Bangladesh in cui si trova, la rinuncia alla lunga e ben remunerata collaborazione con la Repubblica, quella di carta, non appena informato dell’avvicendamento deciso al vertice del giornale fra Ezio Mauro e Mario Calabresi. Che si passeranno le consegne il 14 gennaio: l’uno andando momentaneamente a casa, perché è francamente difficile immaginarlo alla sua età, e con la sua energia, solo ai giardinetti con il cagnolino, e l’altro trasferendosi a Roma da Torino, dove ora dirige la Stampa. Che peraltro era il giornale diretto da Mauro prima di essere chiamato da Eugenio Scalfari in persona a succedergli al timone della corazzata mediatica della sinistra italiana.

(CHI C’ERA ALLA FESTE DEI 90 ANNI DI SCALFARI. LE FOTO DI PIZZI)

Con eleganza che ha saputo spesso alternare ad una certa meno gradevole supponenza, Sofri ha motivato la rinuncia con la volontà di rispettare il lungo e proficuo rapporto personale avuto con il direttore uscente. In realtà, a dispetto delle interpretazioni maliziose che non mancheranno, in senso cioè critico rispetto al successore di Mauro, il dimissionario collaboratore della Repubblica ha voluto togliere dall’imbarazzo il nuovo direttore. Il cui papà, il celeberrimo commissario di Polizia Luigi Calabresi, fu ammazzato sotto casa il 17 maggio 1972 da fanatici lottacontinuisti su mandato del leader dell’omonimo movimento, che era appunto Sofri, condannato definitivamente per questo, dopo una lunga e controversa serie di processi, a 22 anni di carcere. Dei quali egli ha scontato in detenzione vera e propria solo nove, essendone state sette ridotti per condoni e quasi altrettanti trascorsi in semilibertà o sospensione di pena per ragioni di salute.

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Grazie anche all’innocenza sempre proclamata da Sofri, peraltro con un orgoglio che gli ha lungo impedito di chiedere la grazia presidenziale, Mario Calabresi condivise senza grande disagio la firma di Sofri negli anni in cui lavorò anche lui alla Repubblica, passandogli e titolandogli gli articoli come caporedattore, secondo qualche cronaca, non so se davvero attendibile, riproposta in queste ore.

(GLI SGUARDI FRA RENZI E CALABRESI ALLA PRESENTAZIONE DI ORIGAMI DELLA STAMPA)

Nonostante questo precedente, ripeto, Sofri ha ritenuto stavolta di togliere, diciamo così, il disturbo. Cosa che magari gli procurerà l’altrettanto signorile invito del nuovo direttore a proseguire la sua collaborazione, essendo Calabresi capace di questi gesti. E bastandogli e avanzandogli forse come difficoltà il compito di smentire l’impressione espressa da molti di essere stato scelto come successore di Mauro per “normalizzare” il giornale in senso renziano, a favore cioè del presidente del Consiglio e segretario del Pd. Che l’editore Carlo De Benedetti notoriamente apprezza, un po’ meno il fondatore Scalfari.

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L’avvicendamento al vertice della Repubblica di carta ha il merito, fra l’altro, di riabilitare il principio, il concetto, la circostanza, chiamatela come volete, del ventennio. Che fu infelice e infine drammatico con Mussolini, meno infelice ma ugualmente controverso con Silvio Berlusconi. Ed è invece una onorevole consuetudine a Repubblica, che in quarant’anni di vita che compirà proprio il giorno dello scambio fra Mauro e Calabresi, ha avuto due soli direttori.

(MAURO, DE BENEDETTI, SCALFARI E MONDARDINI ALLA FESTA PER I 60 ANNI DELL’ESPRESSO. LE FOTO DI PIZZI)

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Un’altra buona notizia, ma su tutt’altro versante, è il “licenziamento” dei centurioni disposto dal commissario straordinario del Campidoglio, giustamente colpito dalle “modalità inopportune, insistenti e talvolta aggressive” del lavoro troppo a lungo esercitato al Colosseo, al Pantheon, ma anche altrove, da questi curiosi travestiti da vecchi soldati romani.

Sfido chiunque abbia avuto e abbia una certa dimestichezza con Roma a dire di non aver mai visto qualcuno di questi centurioni posare davanti a macchine fotografiche, telefonini e simili senza rinunciare a palpeggiare la malcapitata turista di turno.

Questi centurioni andrebbero piuttosto prestati per i loro modi spicciativi al servizio d’ordine del Parlamento in seduta comune, che ha appena mandato a vuoto anche la ventottesima votazione per completare la composizione della Corte Costituzionale, al limite ormai del numero legale delle sue udienze, mancando tre dei cinque giudici di designazione delle Camere.

Un Parlamento incapace di garantire la funzionalità della Corte Costituzionale meriterebbe solo per questo – diciamo la verità – uno scioglimento anticipato. Ma non ditelo, per favore, a Renzi. E neppure a Calabresi, se davvero Renzi lo ha voluto al timone del maggiore giornale della sinistra italiana.

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