C’è chi lo definisce un asilo e chi un manicomio. Parliamo di Forza Italia, che nell’ultima settimana ha vissuto ore complicate. Sulla linea politica, ma non solo. Innanzitutto tre giorni fa la tesoriera del partito, Maria Rosaria Rossi, ha avviato la procedura di licenziamento collettivo degli 81 dipendenti del partito rimasti (altri erano stati falcidiati prima). “Non ci sono più soldi e il tetto di 100 mila euro alle donazioni private imposto dalla nuova legge sul finanziamento pubblico non permette a Berlusconi di mettere denaro nel partito”, ha spiegato la Rossi. Vero, fino a un certo punto, perché l’ex Cavaliere, dopo aver ripianato perdite per 90 milioni di euro, si è bello che stufato di gettare soldi in un apparato che non gli interessa nemmeno granché. Il problema, oltre che economico, però è anche politico. “Non tutti si rendono contro del danno d’immagine provocato da questi licenziamenti. La gente penserà: se non siete capaci di tenere in piedi un partito con ottanta dipendenti, come pensate di governare l’Italia?”, sussurra un deputato forzista.
Poi c’è il caso Renato Brunetta, che è sintomatico degli altri malanni del partito berlusconiano. L’estremismo anti governativo del capogruppo a Montecitorio questa settimana ha avuto il risultato di spingere Matteo Renzi verso i grillini ed estromettere Forza Italia dalla partita sull’elezione dei giudici della Consulta. Se il premier avesse già deciso di rompere il dialogo con gli azzurri poco importa, sta di fatto che gli anti-brunettiani, ovvero quasi tutti, hanno preso la palla al balzo per tornare a chiedere la testa del capogruppo. La situazione è diventata insostenibile e paradossale, con i due presidenti, Romani e Brunetta, che non si parlano da settimane e si attaccano sui giornali. Se dipendesse dai deputati, Brunetta sarebbe già saltato. Ci penserà Berlusconi? Non a caso di parla di un’imminente sostituzione come capogruppo con l’ex ministro Mara Carfagna, per volontà dell’ex premier.
Il problema è che un cambio alla Camera si porterebbe dietro anche un cambio al Senato, come ha fatto notare Laura Ravetto, secondo cui “è arrivato il momento di eleggere due nuovi capigruppo”. Il Mattinale, giornale della discordia, intanto continua a essere realizzato dall’ex ministro della Funzione pubblica. “Paradossalmente l’essere diventato il punching ball di Renzi, come si è visto nel duro scontro in Aula, sta rafforzando Brunetta”, spiega Renato Farina, che col capogruppo collabora. La vicenda, però, va inquadrata in un contesto più ampio. “E’ vero che l’ex ministro dalla mano si è preso tutto il braccio, andando molto oltre i suoi compiti e creandosi una struttura personale e parallela al partito, ma Brunetta riempie spazi lasciati da altri. Lui fa politica in un partito dove non la fa più nessuno, compreso Berlusconi”, spiega un altro deputato azzurro.
Così si procede a tentoni, con una linea ondivaga che porta gli azzurri a non votare la mozione di sfiducia al ministro Boschi, annunciandone però un’altra a Palazzo Madama contro il governo. Sull’onda di alleanze e amicizie politiche che cambiano di giorno in giorno a seconda delle convenienze. Carfagna con la Gelmini, Gelmini con Romani, Romani contro la Carfagna, e così via. Mentre all’ombra del cerchio magico si consuma un derby di gelosie reciproche tra Deborah Bergamini e Andrea Ruggieri: entrambi si contendono l’ultima parola sulla comunicazione ed entrambi vorrebbero mettere le mani sul Mattinale.
Berlusconi dall’altro intanto guarda, ascolta, nicchia, prende tempo. Un giorno è convinto che un suo ritorno in campo risolleverebbe le sorti del partito, un altro si lascia prendere dallo sconforto e guarda a possibili successori cui passare il testimone (Della Valle?). E comunque va avanti a forza di rinvii, senza strategia e senza una linea politica chiara.
Il tutto mentre si rincorrono voci su nuove uscite (il senatore Piccinelli e l’ex governatrice del Lazio Renata Polverini guardano a Verdini) e non si riesce a sbrogliare la matassa dei candidati alle Regionali. “A Milano e a Roma siamo ancora a carissimo amico. Il problema è che il Cav vuole due imprenditori o esponenti della società civile. Nella Capitale non riesce a superare il veto della Meloni di Marchini, mentre sotto la Madonnina non ha ancora trovato un nome che abbia superato il responso dei suoi amati sondaggi”, racconta una fonte forzista. Dopo Bruno Vespa, l’ultimo nome uscito dal cilindro di Berlusconi per Roma è quello di Roberto Carlino, titolare di Immobildream. E qualcuno ironizza sul fatto che Forza Italia sia passata dal “miracolo italiano” al “non vendo sogni ma solide realtà…”.