E’ da sempre bollato come “l’assalto alla diligenza”. Quando la manovra è a un passo dall’approvazione, fioccano puntualmente emendamenti dell’ultima ora per inserire questa o quella modifica per accontentare qualcuno, facendoci scappare qualche regalino di Natale. Quest’anno, per esempio, è toccato alle centrali di biomasse (oli vegetali, legno, materiale organico) per la produzione di energia elettrica. Infatti, con un emendamento a firma Pd, sono stati prorogati di 4 anni gli incentivi per i vecchi impianti, ovvero operativi già da qualche anno, altrimenti in scadenza alla fine del 2016.
IL BLITZ DEL PD SULLE CENTRALI
La proposta di modifica, arrivata tre giorni fa mentre la manovra era ancora in commissione Bilancio della Camera, e firmata dal deputato democratico abruzzese Antonio Castricone (pare molto vicino al presidente della commissione Bilancio, Francesco Boccia) proroga alla fine del 2020 gli incentivi alle vecchie centrali biomasse, ovvero il pagamento di tariffe agevolate ridotte del 20%. Per le oltre 160 centrali a biomassa sparse per l’Italia e i cui incentivi sarebbero scaduti nel 2016 si tratta di un autentico toccasana, perché per altri 4 anni continueranno a pagare l’energia a prezzi scontati e sottomercato. Ma quanto ci guadagnano le centrali (e i loro proprietari) con il blitz del Pd nella legge di Stabilità?
UN PENSIERO DA 230 MILIONI
Il conto della serva l’ha fatto il sito Qualenergia.it, secondo cui la proroga degli incentivi dovrebbe corrispondere a una spesa per lo Stato (e un risparmio per le vecchie centrali) all’incirca di 230 milioni all’anno, anche se alcuni esperti consultati dal sito parlano di un costo intorno ai 300 milioni annui. Paga sololo Stato? In realtà no, visto che gli incentivi andranno a direttamente a intaccare il tetto di spesa per le altre rinnovabili (eolico e solare primis, più costose delle biomasse ma anche più pulite) fissato dal governo a 5,8 miliardi. Di cosa si tratta? In buona sostanza dei denari messi a disposizione dallo Stato, sotto forma di incentivi, per i produttori di energia elettrica da fonte rinnovabile. Superato questo tetto di spesa, gli incentivi vengono automaticamente bloccati. Quindi, i 230 milioni rappresentano una spesa aggiuntiva per lo Stato, avvicinando l’asticella a5,8 miliardi. L’estensione delle agevolazioni ai vecchi impianti erode così pericolosamente il budget messo a disposizione dal governo.
SE L’ACCORDO DI PARIGI VALE POCO (O NIENTE)
Ma c’è un’altra questione, possibilmente ancora più paradossale. Ovvero, a tre settimane dalla sigla a Parigi dell’accordo internazionale Cop21 sulla riduzione delle emissioni nell’atmosfera che almeno sulla carta imporrebbe agli Stati di fare di tutto per salvare il pianeta, la proroga degli incentivi a impianti di vecchia generazione meno all’avanguardia in termini di controllo emissioni ha un che di schizofrenico. Perchè incentivare impianti già un po’ datati e che peraltro hanno già beneficiato di parecchie agevolazioni (come i famosi “certificati verdi“), e non destinarli invece alle centrali di nuova generazioni, che ne avrebbero bisogno? Almeno per il momento non si sa.
CHI BENEFICIA DEGLI INCENTIVI?
Ma quali sono i gruppi che beneficeranno di questa nuova sfilza di incentivi? Sicuramente il gruppo Marcegaglia, dell’omonima famiglia dell’attuale presidente Eni, che a Cutro, in Calabria, possiede un’importante centrale elettrica alimentata a Biomasse, attiva da circa 8 anni e che si occupa dell’intera filiera delle biomasse della zona. Il gruppo ha poi altre centrali alimentate da combustibili derivati da rifiuti (Cdr) dislocate in Puglia. A Manfredonia (costata 50 milioni), a Modugno (45 milioni) e a Massafra (Taranto). Un’altro player di peso attivo nelle biomasse è Falk Renewables, che pochi mesi fa ha inaugurato un grosso impianto sempre in Calabria, a Rende in provincia di Cosenza. E in Abruzzo, terra d’origine del deputato firmatario dell’emendamento pro-biomasse? Nella regione se ne contano ben nove già attive, mentre un’altra ventina sono in fase di progettazione o sperimentazione. Non male.