L’Italia è ai ferri corti con l’Europa? Dopo il fronte aperto con la Germania dal premier Matteo Renzi sul gasdotto North Stream e le sanzioni alla Russia, uno dei temi caldi resta quello delle banche e della Legge di stabilità. Dopo gli scontri su Tercas e sul salva-banche, ora – ha scritto oggi Repubblica – i fari “sono sulla bad bank chiamata ad alleggerire gli istituti italiani dai crediti deteriorati: il negoziato è incagliato per ragioni tecniche, le tensioni politiche non aiutano e a Roma è giunta voce che la Commissione sta verificando se sia il caso di prepararsi a offrire un aiuto al sistema italiano tramite il Fondo salva-Stati (Esm) come avvenuto nel 2012 con Spagna e Cipro”. Obiettivo: domare così l’attivismo di Palazzo Chigi attraverso il guinzaglio della Troika.
Si tratta di uno scenario possibile? Le banche e l’economia italiana necessitano davvero di un commissariamento? O un’intesa su una bad bank, ora in fase di stallo, potrà essere raggiunta?
Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con l’economista Gianfranco Polillo, già sottosegretario all’Economia nel governo Monti.
Professore, ci sono i presupposti per un intervento dell’Esm?
Credo di no.
Perché?
Abbiamo un sistema bancario che, per nostra fortuna, parla poco inglese ed è dunque poco esposto alle grandi turbolenze internazionali dei mercati. La sua struttura è relativamente solida e non ha bisogno di interventi drastici.
Non è vero che se ne parla in ambienti europei?
Magari ci sarà qualcuno che ci ha pensato, ma non credo che in questo momento nessuno abbia intenzione di commissariare l’Italia.
Perché?
Viviamo un momento delicatissimo con la crisi in Medio Oriente, il jihadismo, le tensioni con la Russia e via dicendo. Senza contare che la crisi greca, di cui non parla più nessuno, è tutt’altro che passata. Nessuno in Europa vuole l’apertura di un nuovo scontro.
Non vede dunque tensioni tra Bruxelles, Berlino e Roma?
Rientra tutto nella normale dialettica politica. L’unica cosa che può aver innervosito realmente Angela Merkel può essere stata la discussione sul gasdotto North Stream. Ma non mi pare ci siano state grosse ripercussioni a riguardo.
Tutto a posto allora?
No, ci sono altri problemi.
Quali?
La bad bank per alleggerire gli istituti italiani da circa 200 miliardi di euro di crediti deteriorati, ad esempio.
Se non si troverà accordo sulla bad bank crede che allora l’Europa possa proporre all’Italia il ricorso al Fondo salva-Stati, come accaduto già con Spagna e Cipro?
Alla fine credo che un compromesso si troverà e sarà collegato a un altro dossier su cui i tedeschi hanno fatto dietro front, cioè la garanzia sui depositi. Se non c’è la garanzia sui depositi salta tutto il meccanismo di vigilanza europea immaginato da Mario Draghi. Ci sarà da discutere. Ma per ciò che riguarda la situazione italiana, non dimentichiamo che, anche se le norme sono cambiate, siamo di ancora in una fase di transizione. C’è spazio per negoziare. Penso che a Bruxelles siano più preoccupati della situazione delle nostre banche popolari e di quelle di credito cooperativo. Il governo si è impegnato a riformare il sistema sul modello francese, alla Crédit Agricole per intenderci. Ma l’economia non sembra ancora aver ripreso vigore. E molti istituti soffrono per questo e, in un circolo vizioso, non riescono ad avere indietro i prestiti concessi senza riuscire, così, a rifinanziare nuove e vecchie attività.
Molti osservatori notano che le banche tedesche si trovano in una situazione anche peggiore.
Vero, ma la Germania ha un surplus della bilancia commerciale e un attivo dello Stato che le consentono di far fronte alle crisi con loro risorse. Noi, invece, dobbiamo continuare a finanziare queste operazioni con titoli di Stato, e quindi debito pubblico. Un’operazione sempre più difficile. Senza contare che, agli occhi dell’Europa, chiamata a concederci maggiori spazi di manovra, la Legge di Stabilità appena varata non depone a nostro favore.
Quali pecche vede nella nuova Finanziaria?
Il governo partiva da una valutazione giusta, ovvero stimolare la domanda interna. Ma sarebbe stato più coerente puntare su una riduzione della pressione fiscale, invece di disperdere gli investimenti in mille rivoli. Questa cosa non l’ha notata solo il Movimento 5 Stelle, ma anche Bruxelles, che probabilmente ci farà ballare su questo.
Perché questa scelta da parte di Palazzo Chigi?
Da quel che so il governo non si è interessato molto di questo aspetto. La cura di certi aspetti è stata delegata ai relatori del Pd, che avevano il compito di tenere unita la maggioranza. Questo perché in Italia non c’è una maggioranza programmatica, ma solo numerica. Si è dovuto, dunque, accontentare il maggior numero possibile di partiti e deputati, perdendo di vista l’obiettivo primario.