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Come agiscono i terroristi Isis

Di Marco Arnaboldi

Alle porte del 2016 ogni dipartimento di sicurezza e agenzia di informazione ha digerito la nuova nozione di rischio terroristico per la quale il pericolo – non più circoscrivibile alle operazioni direttamente demandate da gruppi che hanno sposato l’uso della violenza – è anche rappresentato da soggetti che, in seguito a un’esposizione alla subcultura jihadista e a una fanatizzazione ideologica, autonomamente si attivano e ricorrono alla forza. La loro azione è spesso descritta come imprevedibile, oscura, persino irrazionale. Quasi rinunciando a una comprensione del comportamento dei gruppi informali, ossia di quei collettivi nati dal basso in cui si ritrovano individui in corso di o dalla piena radicalizzazione, si tende a privilegiare lo studio e la repressione di altre cellule – pur autoctone ma più organizzate – che hanno sviluppato diverse forme di contributo relativamente alla galassia fondamentalista globale.

In queste righe si cerca di dimostrare che anche il jihadismo spontaneo, nelle sue fasi antecedenti ai momenti di contatto con gruppi convenzionali, può essere sistematicamente studiato tramite routine comportamentali e cognitive. Il sottobosco islamista italiano ed europeo, infatti, presenta alcune falsarighe indicanti il grado di maturità delle singole situazioni considerate. Per cogliere gli attributi delle varie realtà nostrane è utile immaginare uno sciame. Gli aspiranti jihadisti, infatti, raramente rimangono isolati dal resto dell’ambiente, tendendo invece a stabilire legami quantomeno conoscitivi con i loro affini. Pertanto è utile individuare, all’interno di un insieme di radicalizzati, alcuni sciami tramite cui identificare traiettorie di volo comuni.

Gli sciami di volatili sono privi di un capo, ma una variazione nel volo di un singolo elemento può essere imitata dagli altri. Allo stesso modo i proto­gruppi jihadisti, seppur non abbiano un leader, presentano attività, idee e comportamenti che risultano plasmati da pochi individui dotati di sufficiente influenza per modificare la direzione operativa del proprio collettivo. Questo è soprattutto visibile online: relativamente all’ambito italiano, più legato a Facebook che a Twitter, a differenza di quanto accade in alcuni Paesi nordeuropei, sono ben osservabili utenti il cui maggiore peso specifico li rende poli di attrazione e fonti di solennità rispetto alla loro cerchia di amici. Sfruttando la loro posizione privilegiata, questi individui assicurano la coesione del collettivo, ne definiscono l’orientamento e i contenuti mediatici, eliminano eventuali oppositori e mettono in atto dei meccanismi di autocontrollo per sviare l’attenzione delle autorità, ad esempio ostacolando la diffusione di alcuni materiali, richiedendo conversazioni private, e così via.

I proto­gruppi hanno ottime abilità nell’organizzare eventi, quali sessioni di proselitismo in piazza (la cosiddetta street da‘wa), incontri dottrinali o raccolte di fondi. Questo accade perché gli sciami più coesi si coordinano in tempi rapidi, potendo contare su un forte attaccamento alla causa e a un amichevole sostegno reciproco. Inoltre, non esistendo figure leader, i membri degli sciami godono di una certa libertà: raramente la proposta di un’iniziativa conosce richiesta (o negazione) di permesso. Pertanto si raggiungono elevate adesioni in tempi relativamente brevi.

Tuttavia, un membro può venire escluso in via di fatto dal suo sciame, avendo perso credibilità o avendo manifestato idee fuori dal coro. In questo senso gli sciami presentano una struttura altamente flessibile, in grado di adattarsi di volta in volta alle mutazioni della propria membership. Internamente, questi sono in grado di rimpiazzare assenze, escludere componenti non graditi o chiudersi al resto dell’ambiente. Esternamente, gli sciami assumono la forma più adatta rispetto alle condizioni del sistema che li ospita, mantenendo come primo obiettivo un basso profilo.

Dentro ogni sciame è possibile riconoscere ulteriori ristretti e affiatati circoli, a più alta densità di connessioni rispetto alla media dello sciame. Questi sono composti da individui che condividono amicizie e visioni ideologiche o hanno legami territoriali. A livello di circoli le interazioni e le attività svolte sono maggiori che nel resto dello sciame: per questo può capitare che due circoli appartenenti a diversi sciami collidano, andando così a definire entità superiori e ampliando il capitale umano dei gruppi. Può anche succedere che due circoli, venendo in contatto, generino conflitti. Il panorama islamista italiano, per dare un’idea di massima, presenta alcuni casi di frattura fra le realtà ascrivibili all’orizzonte ideologico di impostazione Ikhwan – vicini ai metodi dei Fratelli musulmani – e gli sciami hardliner – direttamente sostenitori di gruppi jihadisti – così come fra difensori di un salafismo classico e gruppi di ispirazione Deobandi. Non mancano, comunque, casi di individui che fungono da anello di congiunzione fra le varie esperienze islamiste nostrane.

Può capitare che gli sciami riescano a mettersi in contatto con gruppi islamisti formali. In alcuni casi questo può avvenire tramite i foreign fighter, che una volta raggiunto il gruppo di destinazione restano in contatto con il proprio circolo di provenienza. Se da un lato ciò aumenta il rischio attentati, poiché coordinati con l’appoggio del network di aggancio, dall’altro permette alle agenzie di sicurezza di collezionare intelligence e avere basi di studio più solide e battute in passato.

La peggiore delle situazioni, infatti, non è più rappresentata dal collegamento fra cellule spontanee e convenzionali, ma dalla fusione dei due livelli. Una sorta di realtà ibrida, in cui il jihadismo formale e quello informale si mescolano grazie alla semplicità con cui è possibile passare dal secondo al primo. Lo Stato islamico, rinnovando radicalmente il modello di reclutamento, permette a chiunque dia la propria fedeltà al Califfo di agire potenzialmente in nome di esso, e da questo essere riconosciuto. In tal senso, la buona riuscita delle operazioni messe in atto dalle autorità nel combattere il fenomeno jihadista non può più semplicemente passare dal riconoscimento del pericolo sul livello formale e dalla prevenzione sul livello informale, ma dovrà fare i conti con la ricerca di una soluzione comunicativa in grado di scollare l’immateriale – oltre che effettivo – tessuto connettivo che lega sottobosco e costellazione islamista.

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