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Iran e Usa, tutti i dettagli sull’ultima baruffa

Nella serata di martedì una motovedetta della Guardia rivoluzionaria iraniana ha fermato e messo sotto sequestro due imbarcazioni della Marina degli Stati Uniti partite dal Kuwait e dirette verso il Bahrein per una “missione di routine”: i dieci marinai, nove uomini e una donna, dell’equipaggio dei barchini americani sono stati messi in stato di fermo nell’isola di Farsi (vicino a dove si trovavano al momento della cattura, nella parte a nord del Golfo Persico).

DISCREPANZE SUGLI ARRESTI

Sia il Pentagono che il dipartimento di Stato hanno dichiarato che effettivamente le due navette americane erano finite fuori dalle acque internazionali e avevano sconfinato in quelle di compentenza iraniana, ma soltanto per un «problema meccanico» al sistema di navigazione, avvenuto mentre le barche erano dirette ad una nave cisterna per il rifornimento. Questo genere di imbarcazioni (si chiamano Riverine command boat) sono utilizzate solitamente per il pattugliamento delle coste e dei corsi fluviali: per la loro rapidità di movimento, sono usate anche per attività di spionaggio e possono trasportare mezzo plotone di fanteria anfibia.

Il segretario di Stato americano John Kerry, ha detto che i Marines saranno subito rilasciati, forse già mercoledì, grazie a colloqui diplomatici chiarificatori, avuti con il suo omologo a Teheran Jawad Zarif: i due hanno stretto il rapporto durante le lunghe trattative per arrivare alla chiusura dell’accordo sul nucleare iraniano. La Reuters però ha una diversa ricostruzione: fonti ufficiali della Repubblica islamica avrebbero dichiarato alle agenzie di stampa locali che parlare di rilascio immediato è solo «una speculazione». Se «durante gli interrogatori dovesse venir fuori che [gli americani] erano impegnati in una missione di raccolta informazioni, li tratteremo in modo diverso» ha dichiarato il portavoce dei Guardiani (IRGC) Ramezan Sharif alla Fars. A questo si aggiunge quello detto al canale all news della tv di stato, IRINN, dal comandante navale dell’IRGC, l’ammiraglio Ali Fadavi, secondo cui gli Stati Uniti avevano effettuato per 40 minuti manovre aeree e navali «provocatorie e poco professionali» dopo l’arresto dei Marines da parte degli iraniani. L’ammiraglio ha anche detto che l’Iran ha richiesto agli Stati Uniti scuse formali.

Farsi Island, dove attualmente sono detenuti gli americani, ospita un’importante base militare iraniana: le navette americane, secondo Teheran, stavano viaggiando in direzione dell’isola, per questo sono necessarie ulteriori indagini (cioè per chiarire se la loro era una missione di spionaggio). Sotto quest’ottica, spiega il New York Times, l’intervento di ammorbidimento del ministro Zarif potrebbe non essere sufficiente; il ministro ha dichiarato che i militari sono in buone condizioni e sono trattati con rispetto.

IL RILASCIO

L’Iran ha nella mattinata di mercoledì rilasciato i dieci marinai (e riconsegnato le due imbarcazione). Se da un alto i canali diplomatici sottolineavano come le rinnovate relazioni tra Iran e Stati Uniti avevano facilitato il susseguirsi positivo degli eventi, dall’altro i portavoce dei Guardiani dichiaravano alla tv di stato che tutto era avvenuto perché l’America aveva chiesto scusa. Ma Washington ha smentito le scuse: a quel punto sono state diffuse diverse foto e un video in cui veniva mostrato l’arresto dei militari americani.

(Le immagini dei militari americani arrestati e poi rilasciati dall’Iran: le foto su Formiche.net)

Alcuni osservatori, hanno giudicato la pubblicazione delle immagini un ulteriore atto di provocazione, perché i soldati americani sono stati ripresi in ginocchio e ammanettati sulla propria imbarcazione, cioè in pose definite “umilianti”. Le riprese fatte dai soldati iraniani, sono state interpretate anche come il segnale che l’arresto è stato un atto deliberatamente provocatorio.

PRECEDENTI

Quella avvenuta martedì, con l’arresto dei militari americani, è l’ultima in ordine cronologico (e forse la più grave) delle provocazioni lanciate da Teheran a Washington. Qualche giorno fa, due imbarcazioni iraniane avevano aperto live-fire (cioè, proiettili armati) in direzione della portaerei “Harry Truman”, che si trova sul Golfo, in acque internazionali, per partecipare alle operazioni contro lo Stato islamico. Il più vicino dei missili non guidati (dunque non controllabili e potenzialmente più pericolosi) era caduto ad appena un chilometro dalla Truman e da un altri paio di navi, tra cui un cacciatorpediniere francese; un chilometro, in mare, è una distanza breve. Una settimana prima, invece, Teheran aveva risposto con acredine alla possibilità di nuove sanzioni imposte da Usa e UE dopo che il panel Onu che si occupa di monitorare il comportamento iraniano sul tema “militare-nucleare” (esistente già prima dell’accordo siglato nel luglio scorso) aveva considerato come violazione dei termini d’intesa un test missilistico condotto dalla Repubblica islamica ad ottobre 2015 su un vettore, l’Emad, che avrebbe potenzialmente potuto trasportare testate nucleari. Il presidente Hassan Rouhani aveva reagito inviando una lettera, resa pubblica dalla stampa iraniana, in cui esortava il ministero della Difesa a procedere con la progettazione e costruzione di altri missili Emad, cioè l’opposto di quello chiesto dalle Nazioni Uniti. Pochi giorni dopo, il presidente del parlamento di Teheran si era fatto riprendere mentre visitava una base missilistica sotterranea segreta in Iran.

(Fota: Flickr, due navette simili a quelle bloccate dall’Iran)

 

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